Come scriveva Seneca, bisogna “imparare a
vivere finché si vive” (La brevità della vita VII, 3). E un grande
cristiano Dietrich Bonhoeffer dirà che “l’uomo comprende veramente sé stesso
solo a partire dal proprio limite”. Questa verità ci impone di leggere la
nostra vita come segnata da un inizio e da una fine. Assumere il proprio limite vuol dire imparare a
discernere le sue diverse forme ed espressioni riconoscendolo come tale, in
relazione alla propria storia e ai propri vissuti esperienziali, e in questo
modo si potranno trovare le strategie per renderlo terreno fecondo e per farne
momento di crescita. Il limite è costitutivo della persona umana. Per
l’uomo e la donna d’oggi, una delle espressioni più tipiche della difficoltà a
raggiungere il senso di sé sembra essere la non accettazione del proprio
limite.
Per il cristiano la morte è una nuova nascita: come il feto,
attraverso una crisi formidabile, viene espulso dal grembo materno nel mondo,
così la persona umana attraverso l’evento drammatico della morte viene espulso
dal grembo di questa terra per un mondo nuovo più vasto e misterioso che è il
mondo di Dio. Con la morte cadono tutti i limiti della nostra condizione
terrena per essere liberi pienamente e definitivamente nella totalità della
nostra esperienza, portando con noi la nostra storia che troveremo in Dio. Il mistero della morte, che si è compiuto nei
nostri congiunti, ci invita ad approfondire il senso della vita da cui la morte
ricava significato. Tutti abbiamo bisogno di un qualche punto di riferimento o,
detto in altre parole, nessuno può vivere senza ideali. Alla luce di questi
ideali cerchiamo di dare un senso alla vita. Per il credente il vangelo
rappresenta l’ideale a cui far riferimento. La vita presente prepara quella futura e definitiva. Nell’aldilà
ritroveremo ciò che abbiamo seminato qui. Il pensiero della morte è salutare
quando ci incoraggia ad una vita vissuta consapevolmente, quando ci aiuta a non
disperdere il dono di Dio che è in noi.