A Buddha, insieme a Pitagora, dobbiamo una delle due
filosofie che hanno gettato le basi dell'alimentazione non violenta. Per uno
strano scherzo del destino, sono vissuti entrambi nel sesto secolo prima di
Cristo, ma in due mondi paralleli, l'India è stata l'orizzonte del primo,
l'Italia greca la patria di elezione del secondo.
A dire il vero, sia Buddha sia Pitagora pensano da filosofi
più che da religiosi. L'uno e l'altro, infatti, elaborano una riflessione sulla
vita e sul rapporto tra l'uomo e le altre creature. E propongono un'alimentazione
al servizio della pace interiore e dell'armonia. E soprattutto condannano i
sacrifici animali che a quel tempo sono una pratica frequentatissima tanto nel
mondo orientale che in quello occidentale. Così il vegetarianismo diventa molto
più di una dieta. È a tutti gli effetti una obiezione di coscienza alimentare
in nome dei diritti del vivente. E al tempo stesso una presa di posizione
politica. Molte altre fedi dopo di loro promuoveranno l'embargo alla caccia e
alla pesca. In Asia, per limitarci agli esempi più significativi, verranno i seguaci
di Krishna e i seguaci di Jina il Vittorioso. Nel Mediterraneo si avvicenderanno
orfici, neoplatonici, ermetici, gnostici e manichei, e nel Medioevo bogomili e catari,
conosciuti anche come albigesi. Fino ai vegetariani e vegani di oggi, che
evitano di cibarsi di altre creature viventi non per obbedire a un comandamento
di Dio, ma per togliere un peso dalla coscienza dell'io.
Fonte: Elisabetta Moro – Marino Niola, Mangiare come Dio
comanda (Vele 213), Giulio Einaudi editore, Torino 2023, pp. 121-122.