Ez
34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46
Celebriamo Cristo “Re dell’universo”. Per
comprendere correttamente questo titolo dato a Cristo bisogna riferirsi alla
tradizione biblica del Dio re-pastore. L’immagine del “re” e del “pastore”
nell’antichità erano interscambiabili; così come quelle del “gregge” e del
“regno”. Il Sal 22 parla di Dio Pastore buono che pasce il suo popolo, lo fa
riposare su pascoli erbosi e lo conduce ad acque tranquille. Nella persona di
Cristo, il Dio che fu Pastore e Ospite di Israele, si è fatto incontro agli
uomini con un volto umano e con amore e bontà che superano ogni intendimento.
Il salmo esprime la grande fiducia nel Signore che illumina, conforta e guida i
credenti nei sentieri della vita.
L’anno liturgico si chiude sottolineando la
centralità di Cristo nella storia e nella vita dell’uomo nonché il suo primato
sull’universo. In effetti la solennità di Cristo Re dell’universo non intende
riconoscere a Cristo un semplice titolo onorifico, ma il suo diritto a essere
il centro della storia umana, la sua chiave di lettura. Il senso della storia
del mondo e della vita dell’uomo si decide nel rapporto con Gesù Cristo e il rapporto
con Gesù Cristo si decide nel rapporto coi fratelli. Questo doppio tema è
quello che illustrano le letture bibliche odierne.
La prima lettura contiene un annuncio di
speranza che il profeta Ezechiele fa pervenire al popolo d’Israele in un momento
travagliato della sua storia. Dinanzi alla incapacità dei capi politici e
religiosi d’Israele di essere autentiche guide al servizio del popolo, è Dio
stesso che promette di prendersi cura d’Israele. Il Signore “pascerà”
direttamente il suo gregge, nella speranza che questi risponderà alle sue premure.
La tenerezza infinita di Dio è l’altra faccia della sua sovrana autorità, della
sua onnipotenza.
La profezia di Ezechiele trova pieno compimento
in Cristo. Il brano della lettera ai Corinzi della seconda lettura contempla la
storia come un processo attraverso il quale il mondo deve essere sottomesso
alla sovranità redentrice di Gesù. Il progetto di Dio è l’uomo liberato dalla
schiavitù del peccato e ricondotto alla pienezza della verità e dell’amore e
questo progetto è stato realizzato da Gesù Cristo. E quando tutto sarà stato
sottomesso a Cristo, “anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha
sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”. Queste parole ci
introducono nel brano evangelico d’oggi. Infatti, san Matteo ci presenta a Cristo
Signore quando verrà nella sua gloria a giudicare il mondo. Il criterio con cui
Cristo giudicherà “tutti i popoli” sarà quello di aver amato, servito, aiutato,
consolato chi si sia trovato in situazione di miseria, di povertà, di sofferenza,
di malattia, di ingiustizia. Gesù afferma che in ognuna di queste situazioni lui
era presente, per cui ogni gesto compiuto in favore del fratello in realtà era
diretto a lui. Chi ha amato i fratelli di fatto ha amato Cristo. Ecco perché
riconoscere la regalità di Cristo significa imitarne lo spirito, incontrarlo
nel fratello e impegnarsi a liberarlo dalle sue necessità. L’amore attua e
dilata i confini del regno di Cristo, che non è una realtà né geografica né
spaziale né temporale, ma è la sovranità del suo amore, che si attua già nel
cuore di ogni uomo e nelle realizzazioni terrene e si compirà in pienezza alla
fine quando “Dio sarà tutto in tutti” (cf. seconda lettura). Sintetizzando
possiamo dire, riferendoci al grandioso scenario del giudizio finale che “alla
sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore” (San Giovanni della Croce).