Sal 99 (100): Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.
Ap
7,9.14b-17: Una moltitudine immensa che
nessuno poteva contare.
Gv
10,27-30: Le mie pecore ascoltano la mia
voce.
Nel brano evangelico, Gesù si presenta come il vero pastore dell’umanità,
che stabilisce uno stretto rapporto di conoscenza o esperienza, di unione e intimità con l’uomo,
lo guida e lo conduce alla vita eterna. La seconda lettura ci riporta alla fase
finale del regno, a quella celeste, quando il gregge di Cristo avrà già
raggiunto i pascoli eterni e sarà una moltitudine immensa, che nessuno può
contare; l’Agnello immolato e vittorioso sarà il loro pastore e tergerà ogni
lacrima dai loro occhi. Nel frattempo la Chiesa, seguendo l’esempio degli
apostoli (cf. prima lettura), continua ad annunciare a tutte le genti “sino
all’estremità della terra” la salvezza in Cristo.
Per meglio capire le parole di Gesù che si presenta come buon pastore,
bisogna tener conto del contesto più generale in cui egli ha fatto questa
affermazione. Con l’immagine del buon pastore, Gesù intende rispondere in
qualche modo a coloro che gli chiedono insistentemente se sia lui il Messia.
Per i suoi interlocutori il Messia era considerato perlopiù una sorta di figura
politica, un personaggio di potere. Il Signore invece scegliendo l’immagine del
buon pastore rivela in quale altro modo inatteso egli sia il Messia. Egli non
avanza pretesa alcuna di dominio sull’uomo, ma solo una proposta di amore e di
servizio che arriva fino al dono della vita.
La domenica del buon pastore ci riporta ai pastori della Chiesa. Il Signore
chiama, ha bisogno di uomini e donne che si dedichino in modo particolare
all’annuncio del vangelo radunando la comunità attorno alla mensa della Parola
e dell’Eucaristia e donando a piene mani il perdono e la tenerezza di Dio.