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domenica 24 aprile 2016

TROPPO ZELO…



Nicola Bux, Con i sacramenti non si scherza, Cantagalli, Siena 2016. 223 pp.

Tra gli “intenti” del prof. Bux nello scrivere questo volume, c’è quello di affrontare “il problema odierno nella Chiesa, il dissenso sulla natura della liturgia” (p. 14). Già in queste parole si percepisce lo spirito di “crociata” che anima le pagine del libro.

Mi soffermo qui solo su alcune affermazioni dell’autore nell’ambito della celebrazione eucaristica.

“Il latino in quanto lingua ‘sacra’ ha una potenza comunicativa, in quanto è adoperata all’interno di un atto sacro…” (p. 42). Se la sacralità del latino dipende dal fatto che è adoperata all’interno di un atto sacro, ciò sarebbe valido anche per qualsiasi altra lingua adoperata all’interno di un atto sacro. La Costituzione Sacrosanctum Concilium non parla del latino come lingua “sacra”. Nella stessa pagina l’autore parla di un fraintendimento della participatio actuosa da parte dei fautori delle lingue parlate. Noto però che la partecipazione passa attraverso il segno e quindi anche attraverso la lingua adoperata. Ricordo inoltre che la Costituzione liturgica vuole che i riti (parole e gesti) “siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli”. Mi sembra quindi fuori posto l’affermazione del Bux in questa stessa pagina quando dice: “Bisogna interrogarsi seriamente circa la disobbedienza verso il concilio ecumenico Vaticano II”.

Dopo aver affermato giustamente che tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale vi è distinzione di essenza e non solo di grado, l’autore dice: “infatti i fedeli partecipano attivamente alla celebrazione eucaristica ma non la celebrano” (p. 87). Basterebbe citare il Catechismo della Chiesa Cattolica per capire la falsità di questo ragionamento: “L’assemblea che celebra è la comunità dei battezzati” (CCC n. 1141). Questa affermazione non annulla la mediazione necessaria del sacerdozio ministeriale. Un’assemblea eucaristica esiste solo se presieduta  da un ministro ordinato, vescovo o presbitero.

Sul rapporto sacrificio/banchetto nell’Eucaristia, l’autore afferma: “Se nel ‘600 la messa veniva vista più come adorazione che come rendimento di grazie per il sacrificio di Cristo, oggi siamo in presenza di un altro eccesso: la messa vista unicamente come banchetto, non anche come sacrificio” (pp. 105-106). Questo “unicamente” dovrebbe essere documentato; non è riscontrabile né nei libri liturgici del dopo Vaticano II né nei trattati di teologia pubblicati in questi anni. La sottolineatura della dimensione conviviale dell’Eucaristia non solo non cancella quella sacrificale, ma aiuta a capire quest’ultima nella sua vera ricchezza.

“Bisognerebbe rimettere il tabernacolo al centro, perché le persone siano aiutate a comprendere che la chiesa è il luogo della presenza del Signore, non un aula da usare solo quando ci si raduna per la liturgia…” (p. 106). Come la mettiamo con le grandi basiliche romane? Non ha anche un senso creare uno spazio ad hoc (dove ciò sia possibile), per la conservazione del Ss.mo Sacramento? In molte chiese costruite in questi anni c’è la cosiddetta cappella feriale, uno spazio adatto per questo scopo.

Vi sono altre prese di posizione del prof. Bux, che meriterebbero qualche precisazione, come l’accanimento che egli dimostra, al seguito di A. Schneider, contro la comunione ricevuta sulla mano… (pp. 99-101), un uso documentato fino al secolo IX! Ma mi fermo qui. Mi sembra che affrontare in questo modo gli abusi nell’ambito della celebrazione liturgica impoverisce la concezione stessa della liturgia riformata dopo il Vaticano II. Certamente gli abusi vanno combattuti, ma non a scapito degli usi. Le “novità” introdotte dalla riforma di Paolo VI vanno accolte, spiegate se necessario, ma non combattute.  Non si butta il bambino insieme con l’acqua sporca.

m. a.