Nell’Anno
santo della Misericordia, Stella Morra ci offre un volumetto molto originale e
interessante (Dio non si stanca. La
misericordia come forma ecclesiale, EDB 2015). L’Autrice, nel solco del magistero
di papa Francesco, intende mostrare come la misericordia sia una categoria
profondamente significativa, una categoria che impone ripensamenti strutturali
oltre che personali e che può essere la linea guida della riforma ecclesiale e
della vita cristiana che molti si augurano.
Trascorso
mezzo secolo dal Vaticano II, non abbiamo trovato ancora la “forma” che ci
permetta di avanzare più liberamente e speditamente. La Chiesa è abitata da una
forma, certamente venerabile, ma non più adatta alla congiuntura presente. La
si può chiamare “gregoriana”, se si riferisce a papa Gregorio VII che l’ha
messa in moto nell’XI secolo; “scolastica” se la si considera contemporanea
all’Europa delle cattedrali; “tridentina” se si pensa alla maniera in cui il
concilio tridentino è stato applicato nella Chiesa dell’Occidente moderno;
“romana”, se si considera la determinazione dei papi contemporanei nel
definirla e mantenerla, soprattutto i papi Pio (IX, X, XI, XII). Oggi si
tratterebbe di “ag-giornare”, dare alla luce una forma nuova. Papa Francesco è
riuscito a usare una sola parola per dare una forma nuova: la categoria della
“misericordia” può essere la nuova cornice per ripensare una forma cristiana
radicale.
Il
Vaticano II ha affrontato la questione della “forma” e ha provato a introdurre
un’altra categoria generatrice. L’ha chiamata “storia della salvezza” e ha
provato a farla funzionare. Il quadro costruito da Tommaso d’Aquino non riesce
a sopportare una categoria che negli ultimi anni l’aveva fatta progressivamente
da padrona: la categoria della storia. Tra il XIX e l’inizio del XX secolo,
quasi ogni aspetto della vita si pensa come un cambiamento, un processo, un
movimento. Predomina quindi l’idea di progresso. Questa sensibilità va a
cozzare clamorosamente contro la forma del cristianesimo basata, a causa della
mediazione aristotelica, sul principio esattamente contrario. Anche oggi quando
si parla di “riforma”, la si pensa anzitutto come ritorno alla forma originaria,
e non come progresso. Giovanni XXIII invece nel discorso di apertura del
Vaticano II, parla di “aggiornamento” e non di “riforma”. Non si tratta di
cercare la forma delle origini (cosa però che non va esclusa) quanto piuttosto
di essere all’altezza del giorno che viene.
La
Morra, nel proporre la misericordia come linea guida della riforma ecclesiale e
della vita cristiana in genere, non dà una definizione di cosa essa intende per
misericordia, ma ne analizza sette operazioni, di cui do solo l’elenco: ha un
suo oggetto fuori di sé; è un bidirezionale perfetto; ha un carattere
processuale interno; ha un spiccato valore pratico; è una categoria inclusiva;
non è propria di un’appartenenza; in essa azione ed emozione producono
pensiero.
Assumere
una categoria generatrice diversa di quella a cui siamo abituati comporta
ripensare il tutto alla luce di questa. Un lavoro immenso ma affascinante.
m.a.