Nel
fascicolo della rivista dei Gesuiti La
Civiltà Cattolica, che sarà pubblicato il prossimo 10 dicembre, c’è un articolo del Prof. Cesare Giraudo s.i. dal titolo «La
riforma liturgica a 50 anni dal Vaticano II. “Parlare di riforma della riforma”
è un errore» (fascicolo 3995 [10 dicembre 2016] 432-445). Si tratta di un
articolo che merita attenzione dato che, come si sa, La Civiltà Cattolica è esaminata in fase di bozza dalla Segreteria
di Stato della Santa Sede, da cui ha l’approvazione definitiva. Offro in
seguito una breve sintesi del contenuto dell’articolo del Prof. Giraudo.
Si
tratta di un testo di ampio respiro, che parte dalla consapevolezza che ancora si
incontrano cattolici “che non nascondono le loro perplessità nei confronti
della riforma liturgica” (p. 432). Dopo un cenno alle diverse riforme
liturgiche nel corso dei secoli, l’autore si sofferma sulla Sacrosanctum Concilium, e nota che il
documento non adopera le parole reformare/reformatio,
ma la coppia instaurare/instauratio,
il cui significato è “far stare di nuovo”, cioè riportare qualcosa allo stato
originario (p. 433). In questo contesto di ritorno allo stato originario, l’autore
interpretata anche l’affermazione di Pio V nella bolla Quam primum con cui il Pontefice promulga il Messale restituito “all’originaria
normativa rituale dei santi Padri” (ad
pristinam sanctorum Patrum normam ac ritum), parole e programma che troviamo pure in SC
50. Dato, poi, che di fatto il Messale di Pio V non fu altro che il Missale secundum consuetudinem Romanae
Curiae con qualche ritocco, l’autore può affermare che quell’incompiuto
progetto del concilio di Trento e di Pio V è stato ripreso da un altro
concilio, il Vaticano II, e da un altro Pontefice, Paolo VI. Perciò è giusto
affermare che, con l’aiuto dei progressi nelle discipline liturgiche compiuti
negli ultimi quattro secoli, il Messale di Paolo VI è il coronamento di un
sogno che ebbe Pio V (p. 436-438).
Il
Prof. Giraudo riconosce che nella riforma liturgica attuata dopo il Vaticano
II, “accanto alle luci, di certo preminenti, non mancano le ombre”. Infatti “la
risposta al progetto che emerge dai Praenotanda
dei libri liturgici, a cinquant’anni dalla loro promulgazione, lascia
ancora molto a desiderare” (p. 439). Dopo un elenco sintetico delle luci e
delle ombre, l’autore pone a confronto le diverse opinioni sulla riforma liturgica
e indica alcuni rimedi proposti per rilanciarla. In questo contesto, si sofferma sulla
conferenza tenuta a Londra il 5 luglio scorso dal card. Sarah, in cui il
Prefetto del culto prospettava come rimedio una eventuale riforma della riforma
e, in concreto, proponeva l’orientamento comune di sacerdoti e fedeli, rivolti
insieme nella stessa direzione. In data 11 luglio, un comunicato della Sala
Stampa della Santa Sede precisava che sull’orientamento dell’altare non c’erano
delle novità e inoltre affermava che era meglio evitare di usare l’espressione
“riforma della riforma”, riferita alla liturgia. Il Prof. Giraudo aggiunge quanto
papa Francesco ha dichiarato con chiarezza in una intervista rilasciata recentemente
a p. Antonio Spadaro: “Il Vaticano II e la Sacrosanctum
Concilium si devono portare avanti come sono. Parlare di ‘riforma della
riforma’ è un errore” (p. 443).
L’autore
termina affermando che i veri rimedi da tutti condivisibili sono due. In primo luogo occorre puntare
sulla necessaria e urgente riscoperta del sacro, che sia Benedetto XVI con Summorum Pontificum sia papa Francesco in varie
occasioni ci hanno ricordato. “Se abbiamo perso la dimensione del sacro,
dobbiamo riscoprirla e farla nostra il più presto possibile, attraverso il
giusto impiego di quei segni gestuali e verbali che aiutano a tenerla desta,
quali un certo doveroso mantenimento della lingua latina e del patrimonio
musicale che ha caratterizzato l’intera tradizione dell’Occidente” (p. 444). Vi
è poi il tema della formazione liturgica. Resta infatti molto da fare per
giungere a un’assimilazione completa della costituzione SC. “La riforma
liturgica è malata per il semplice motivo che i suoi odierni fruitori l’hanno
recepita in maniera debole. Si tratta di una malattia da curare, non di un
malato da sopprimere” (p. 445).
Il
testo del Prof. Giraudo è tutto da leggere. In modo pacato e chiaro sono toccati
i principali punti dell’attuale dibattito liturgico.
M.
A.