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martedì 11 aprile 2017

IL TRIDUO PASQUALE


 

GIOVEDI SANTO: MESSA VESPERTINA “IN CENA DOMINI”

 
Es 12,1-8.11-14; Sal 115 (116); 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

Nel Sal 115 l’orante, dopo aver superato pericoli e insidie varie, proclama l’intervento liberatore di Dio: nel corso di una celebrazione comunitaria al tempio offre un sacrificio di ringraziamento a Dio con una coppa di vino. Il salmo era usato nella liturgia ebraica come preghiera di ringraziamento al termine della cena pasquale. In un certo modo, esso riassumeva quanto si era compiuto nella cena. La Chiesa ha ripreso questo salmo nella messa del Giovedì santo e nei vespri del Venerdì santo e del Sabato santo. Nel giovedì il ritornello del salmo responsoriale orienta l’attenzione verso il calice del Signore come dono di salvezza. Dal calice eucaristico, comune a Cristo e alla Chiesa, scaturisce la vita per l’umanità. Questo è veramente il calice della salvezza.
Il brano evangelico d’oggi inizia con queste parole: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.  La sera del Giovedì Santo celebriamo l’ora di Gesù, l’ora in cui egli manifesta pienamente se stesso facendosi dono per noi. Nell’eucaristia facciamo memoria di Gesù, del suo dono personale in nostro favore e siamo inviati ai nostri fratelli per farli partecipi della “pienezza di carità e di vita” (cf. colletta della messa) attinta dal mistero eucaristico.
Nel racconto fondatore dell’eucaristia riportato da san Paolo (cf. seconda lettura) si pone nelle labbra di Gesù per ben due volte, dopo le parole sul pane e quelle sul calice, l’ordine: “fate questo in memoria di me”. Cosa significa fare, ripetere questi gesti “in memoria” di Gesù? Per cogliere il significato di questa espressione bisogna risalire all’istituzione della Pasqua ebraica, di cui ci parla la prima lettura; dopo le prescrizioni rituali riportate dal testo, il brano conclude con queste parole: “Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore…” Nella cultura giudeo-cristiana, ricordare o fare memoria esprime la convinzione che l’evento salvifico si attualizza nella storia. In questo senso, l’eucaristia non è un ricordo solo interiore o un segno senza riscontro nella realtà, ma ripresentazione efficace nel sacramento del sacrificio di Cristo nell’oggi della Chiesa in tensione verso la realtà gloriosa del Cristo risorto.
La memoria di Gesù è dinamica: essa proietta in avanti la Chiesa che in questo modo ha preso contatto con il suo Signore e che deve esprimere nell’esistenza ordinaria quello che Gesù ha vissuto sulla terra, vale a dire l’amore a Dio a agli uomini “sino alla fine”. Questo è il senso della lavanda dei piedi (cf. vangelo), tramandata solo da Giovani al posto dell’istituzione eucaristica. In questo modo, san Giovanni presenta l’eucaristia come il sacramento dell’abbassamento, dell’obbedienza, del sacrificio spirituale e dell’amore di Cristo, del dono totale di sé per la salvezza di noi tutti.
Possiamo concludere affermando che il messaggio del Giovedì Santo è tutto qui: vivere, ad esempio di Cristo, la nostra fede come dono di noi stessi al servizio dei nostri fratelli, nella obbedienza a Dio Padre. Questo è il senso dell’eucaristia, questa è la missione fondamentale del sacerdozio ministeriale nella Chiesa e questo è il nocciolo della vita cristiana sintetizzata nel comandamento nuovo dato da Gesù quando dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 15,12).
 

 

VENERDI’ SANTO: PASSIONE DEL SIGNORE

 
Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42
 

L’autore del Sal 30, perseguitato dai suoi nemici, invoca con profonda speranza l’aiuto di Dio, di cui altre volte ha ricevuto soccorso. E’ una preghiera piena di fiducia nel Signore: l’orante è certo che mai sarà deluso e che quindi la sua preghiera sarà esaudita. Nel racconto della passione, san Luca scrive che Gesù, riprendendo il v. 6 di questo salmo, gridò a gran voce prima di spirare: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Sono le parole che ripetiamo oggi come ritornello del salmo responsoriale. 
Le tre letture bibliche di questo Venerdì santo accentuano la dimensione gloriosa della croce, anche se non manca il simbolismo della croce – scandalo. Nel racconto della passione secondo Giovanni e, in genere nel quarto vangelo, la croce è già la gloria di Dio anticipata. Vediamolo più in dettaglio soffermandoci su alcune caratteristiche del racconto della passione nel vangelo di san Giovanni, in particolare nell’arresto di Gesù e nel momento della sua morte.
Una prima caratteristica è la consapevolezza. Gesù è pienamente consapevole di tutto ciò che sta per accadere contro di lui. La consapevolezza di Gesù nei confronti della passione e morte è segnalata tre volte nel vangelo di Giovanni (13,1; 18,4; 19,28). E in tutti e tre i casi è adoperato un verbo greco (oida) che indica una consapevolezza piena, chiara e stabile. Dopo la consapevolezza, il secondo tratto è la libertà. Giovanni racconta che Gesù “uscì fuori”, andando lui stesso incontro a coloro che venivano ad arrestarlo. Gesù non è un uomo impotente nelle mani dei suoi aguzzini, ma un uomo che si consegna da sé.  Gesù si preoccupa addirittura dei suoi discepoli e dice a coloro che vengono ad arrestarlo: “se cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. E’ sempre Lui che domina e dirige tutta la scena. Quando Pietro colpisce con la spada Malco, il servo del sommo sacerdote, la risposta di Gesù al gesto di Pietro è un secco rifiuto di ogni tipo di resistenza: “Rimetti la spada nel fodero”. La ragione è la volontà del Padre, alla quale Gesù non intende in alcun modo di sottrarsi.
Se ora ci spostiamo alla fine del racconto, nei momenti vicini alla morte di Gesù, notiamo che anche qui Egli è pienamente consapevole degli eventi tragici di cui è protagonista, eventi che Gesù gestisce appunto come vero protagonista. In questa parte del racconto, ricorre tre volte il verbo “compiere”. Che cosa è compiuto? Dopo aver preso l’aceto, Gesù dice “E’ compiuto”, che non significa semplicemente che la fine è giunta. Bensì: l’opera che il Padre ha affidato a Gesù, è compiuta, realizzata fino in fondo; Gesù ha condotto fino al limite estremo il suo amore (“li amò sino alla fine”, leggevamo ieri nel vangelo). Le Scritture si sono compiute. La Croce non è un compimento come gli altri, ma il termine a cui tutta la Scrittura, e dunque il disegno di Dio tendeva. Subito dopo Giovanni descrive la morte di Gesù dicendo che Egli “consegnò lo spirito”. Gesù muore cosciente e consenziente: è Lui che china il capo e rende lo spirito. Gesù conclude la sua opera in un atto di serena consapevolezza e nell’atteggiamento che gli è stato abituale lungo tutta la vita: il dono.
Un soldato trafigge il fianco di Gesù con la lancia e “subito ne uscì sangue e acqua”, dice Giovanni. Perché il sangue e l’acqua? Il sangue è il segno del valore redentore del sacrificio di Gesù, e l’acqua è il simbolo dello Spirito Santo e della vita che di quel sacrificio sono il frutto. Dalla Croce del Venerdì santo scaturiscono per tutta l’umanità questi doni che durano per sempre.

 

 

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

 

Gn 1,1-2,2; Gn 22,1-18; Es 14,15-15,1; Is 54,5-14; Is 55,1-11; Bar 3,9-15.32-4,4; Ez 36,16-17a.18-28; Rm 6,3-11; dal Sal 117 (118); Lc24,1-12

 

La celebrazione della Veglia pasquale si divide in quattro parti: la liturgia della luce o “lucernario”, la liturgia della Parola, la liturgia battesimale e la liturgia eucaristica. I diversi momenti celebrativi della Veglia hanno un filo conduttore: l’unità del disegno salvifico di Dio che si compie nella Pasqua di Cristo per noi.
L’antico testo dell’Annuncio pasquale è percorso da una profonda coscienza teologica di tipo sapienziale e contemplativo, che si nutre di stupore e di adorazione, di lode e di ringraziamento e in tale linguaggio si esprime: si parte dalla contemplazione della storia delle opere salvifiche compiute da Dio, il cui primo atto è la creazione del cosmo e dell’uomo, per arrivare alla nuova creazione dell’uomo in Cristo morto e risorto: “il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti”. Ciò che l’annuncio pasquale proclama con accenti lirici, viene in seguito ripreso dalle letture bibliche, che in modo progressivo introducono i partecipanti nella contemplazione dei principali eventi della storia salvifica: la creazione (Gn 1,1-2,2); il sacrificio di Abramo (Gn 22,1-18); il passaggio del Mar Rosso (Es 14,15-15,1); la Gerusalemme nuova, ricostruita dopo l’esilio (Is 54,5-14); la chiamata ad una alleanza eterna (Is 55,1-11); la guida splendente della luce del Signore (Bar 3,9-15.32,4-4); la promessa di un’acqua pura e purificatrice (Ez 36,16-28); il battesimo, mistero pasquale (Rm 6,3-11); l’annuncio della Risurrezione (Mt 28,1-10). Più che una descrizione storica in senso moderno, la storia della salvezza, tratteggiata dalle letture bibliche, è da interpretarsi come una confessione di fede nell’azione salvifica di Dio e quindi come storia unitaria che trova in Cristo senso pieno e compimento.
Le orazioni che si recitano dopo le singole letture anticotestamentarie interpretano questi brani in chiave cristologica, ecclesiale e sacramentale. Così siamo invitati a passare: dalla prima creazione alla “creazione nuova”, più mirabile ancora, che si opera nella nostra redenzione; dal gesto sacrificale di Abramo sul figlio Isacco al sacrificio di Cristo; dalla liberazione del popolo di Dio attraverso il Mar Rosso al battesimo sacramento della nostra liberazione; dalla Gerusalemme nuova, ricostruita dopo l’esilio, alla Chiesa nuovo popolo di Dio; dalla chiamata ad una alleanza eterna alla realtà di questa alleanza sigillata nella Pasqua di Cristo e partecipata nei sacramenti; dall’invito a camminare illuminati dalla Sapienza divina alla luce dello Spirito che ci è stata elargita nel battesimo; dalla promessa di un’acqua pura e purificatrice all’acqua battesimale che ci purifica e ci trasforma.
Dopo le letture bibliche segue la liturgia battesimale che ci immerge nella morte di Gesù per una vita nuova nello Spirito. Finalmente, la celebrazione eucaristica, momento culminante della Veglia, che è in modo pieno il sacramento della Pasqua, cioè memoriale del sacrificio della Croce e presenza del Cristo risorto, completamento dell’iniziazione cristiana, pregustazione della Pasqua eterna. La celebrazione della Pasqua significa quindi per noi tutti la ripresa di un programma di vita che si realizza in un impegno permanente di rinnovamento mai pienamente raggiunto. Questo è il frutto della Pasqua indicato dalla colletta della messa: che “tutti i tuoi figli, rinnovati nel corpo e nell’anima, siano sempre fedeli al tuo servizio”. Solo la nostra morte vissuta “in Cristo” potrà compiere il senso dell’esistenza cristiana. Nel frattempo, si tratta di rimanere fedeli a quel germe di vita nuova che abbiamo ricevuto nel battesimo e cresce e si consolida nell’eucaristia  fino al compiersi in noi della Pasqua definitiva.
 

 


DOMENICA DI PASQUA: RISURREZIONE DEL SIGNORE – MESSA DEL GIORNO

 
At 10,34a.37-43; Sal 117 (118); Col 3,1-4 (oppure: 1Cor 5,6b-8); Lc 24,1-12

 
Il Sal 117 è un inno di gioia e di vittoria, proclamato in ogni eucaristia della settimana pasquale e nella liturgia delle ore di ogni domenica. Il salmo forma parte del “hallel egiziano”, così chiamato perché si cantava specialmente in occasione del memoriale della liberazione degli Israeliti dall’Egitto, durante il sacrifico dell’agnello e durante la cena pasquale. La liturgia della domenica di Pasqua ci ricorda che il nostro agnello pasquale è Cristo (cf. seconda lettura alternativa, sequenza, prefazione pasquale I e antifona alla comunione); nel mistero della sua risurrezione dai morti si compiono tutte le speranze di salvezza dell’umanità: è questo il giorno di Cristo Signore.

La risurrezione di Cristo dai morti rappresenta il centro del mistero cristiano, è la base e la sostanza della nostra fede. “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1Cor 15,14). Con queste parole l’apostolo Paolo esprime il cuore di tutto il messaggio cristiano. Il vangelo narra l’evento storico della risurrezione di Gesù, ripensato e raccontato a scopo di fede: Giovanni sottolinea che si tratta di una vera risurrezione, ma l’interesse prevalente dell’evangelista sembra essere di carattere ecclesiale; egli infatti sottolinea anzitutto l’itinerario di fede dei discepoli nel Cristo risorto. Nella prima lettura, ascoltiamo san Pietro che annuncia con decisione al popolo il mistero della risurrezione del Signore di cui egli e gli altri apostoli sono testimoni. Nella seconda lettura, san Paolo trae da questo evento le conseguenze per una vita cristiana rinnovata.

Ci soffermiamo brevemente sulla seconda lettura alternativa, tratta dalla prima lettera ai Corinzi, dove l’affermazione centrale del brano è: “Cristo, nostra Pasqua è stato immolato!”, parole riprese poi dall’antifona alla comunione. Il prefazio pasquale I parla di Cristo “vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo”. La sequenza adopera l’espressione: “vittima pasquale”, riferita sempre a Cristo, e aggiunge: “L’agnello ha redento il suo gregge”. Nell’Antico Testamento l’immolazione dell’agnello era l’elemento essenziale della celebrazione della Pasqua (cf. Es 12). Il Nuovo Testamento, e particolarmente il vangelo di Giovanni, hanno considerato l’agnello pasquale come figura di Gesù. Egli muore sulla croce nella Paresceve, nell’ora in cui nel tempio si immolavano gli agnelli per la celebrazione della cena pasquale. Lo stesso apostolo Giovanni nell’Apocalisse descrive la glorificazione dell’Agnello: “L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione […] A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5, 12-13). L’agnello sgozzato e glorificato è la nostra Pasqua!