In
occasione del decimo anniversario della pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, La
Nef (juillet-août 2017 – n. 294)
ospita un lungo intervento del Card. Sarah, Prefetto della Congregazione per il
culto divino, in cui il cardinale ripropone e concretizza le sue note posizioni
sulla “riforma della riforma” della liturgia della Messa paolina. Il testo ha
una prima parte di carattere storico e dottrinale, che introduce ad una seconda
parte propositiva.
Sarah
afferma che “la liturgia è diventata un campo di battaglia, il luogo in cui si
affrontano i campioni del messale preconciliare e quelli del messale riformato
del 1969”. In questa situazione, scopo del suo intervento è la “riconciliazione
liturgica”. Pur apprezzando l’amore per la liturgia e le ottime intenzioni del
porporato, credo che il suo ragionamento non è esento di alcune ambiguità.
Sulla
scia di papa Benedetto XVI, il card. Sarah rivendica la piena coerenza dell’uso
della forma straordinaria della liturgia romana con le prescrizioni del
Vaticano II, e si domanda: “Come si può pensare che il Concilio abbia voluto
contraddire ciò che era in uso prima?” Certamente, Eminenza, “contraddire” no,
ma “riformare” si; Sacrosanctum Concilium
“desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia” (n. 21). E
naturalmente si tratta di riformare la liturgia che era celebrata in quel
momento nella Chiesa. In seguito, Sarah, a sostegno della sua tesi, sostiene
che è “erroneo considerare che le due forme liturgiche esprimano due teologie
opposte. La Chiesa ha una sola verità che insegna e celebra”. Anche qui, devo
dire che due teologie “opposte” no, ma “diverse” certamente. Come lo stesso
cardinale afferma, citando Benedetto XVI, “la storia della liturgia è fatta di
crescita e di progresso”. Se si applica quindi questo principio alla riforma di
Paolo VI, possiamo affermare che c’è nel Messale del 1969 una crescita e un
progresso. Si noti poi che il cardinale mette sullo stesso piano “teologia” e
“verità” e afferma che c’è una “sola verità”. Ma non si può dire lo stesso
della teologia: una cosa è la teologia postridentina dei sacramenti e altra la
teologia sacramentaria che si ispira al Vaticano II. Non si tratta di
“ermeneutica della rottura”, ma della crescita e del progresso.
Qualcuno
giudicherà forse irrilevanti queste mie riflessioni critiche alla prima parte
del testo del card. Sarah. Credo invece che questo tipo di lettura “minimalista”
fatta dal cardinale, comune negli ambienti tradizionalisti, è ambigua e
strumentale, serve cioè a giustificare ed esaltare quanto Summorum pontificum ha deciso. Come è stato detto da altri, i padri
del Vaticano II che hanno votato Sacrosanctum
Concilium non intendevano creare due forme rituali della liturgia romana.
So la risposta che alcuni daranno a questa mia osservazione: il Vaticano II non
intendeva neppure fare una riforma come quella del Messale del 1970. Ma,
ammesso e non concesso, che la Messa paolina sia andata oltre la lettera della
Costituzione sulla liturgia, la soluzione decisa con Summorum Pontificum non solo non ha risolto il problema ma lo ha radicalizzato.
Mia opinione è che dopo alcuni anni di esperienza della Messa riformata, si poteva
intervenire e correggere, arricchire o cambiare alcuni elementi della Messa
paolina e puntare sulla celebrazione dignitosa di essa. Ora invece tutto
diventa più complesso, come prova la proposta che Sarah fa nel resto del suo
scritto.
Infatti,
il cardinale ha il merito di esprimere una sua proposta concreta per arrivare
“ad un rito comune riformato con lo scopo di facilitare la riconciliazione
all’interno della Chiesa”. In primo luogo, il cardinale si augura che si possa
arrivare ad un calendario liturgico comune per le due forme del rito romano, e
anche ad una “convergenza” dei lezionari. Sua Eminenza sa, meglio di me, che
una commissione ad hoc ha lavorato negli anni del pontificato di papa Ratzinger
senza riuscire a produrre una proposta concreta, date le difficoltà dell’operazione.
Ma
la cosa più significativa è l’elenco di cambiamenti o “arricchimenti” della
forma ordinaria che in seguito propone il cardinale: l’orientamento verso il
Signore; la genuflessione prima della elevazione e dopo il Per ipsum; la comunione in ginocchio e sulla bocca; l’uso del
latino in alcune parti della Messa “per ritrovare l’essenza profonda della
liturgia”; la “preghiera silenziosa del Canone”, la cui esperienza viene
esaltata; l’inserimento nella prossima edizione del Messale riformato delle
preghiere al piede dell’altare della forma straordinaria in un modo semplificato
e adattato, nonché le preghiere dell’offertorio della stessa forma straordinaria…
Dimenticavo: viene anche proposto che, dopo la consacrazione, le dita che hanno
toccato l’ostia santa, rimangano unite. Quest’ultima proposta riflette una
teologia eucaristica non più proponibile.
Queste
proposte vengono giustificate dal card. Sarah perché, secondo lui, la forma
ordinaria ha bisogno di essere “arricchita con gli atteggiamenti sacri che
caratterizzano la forma straordinaria”. Più volte abbiamo parlato in questo
blog del senso del mistero o del sacro nella liturgia. Basta ricordare qui
quanto ho postato qualche giorno fa di Loris della Pietra: “Di fronte agli accenti polemici di chi
lamenta la sparizione di un presunto 'senso del mistero', occorre ribadire che
esso non può essere confinato in una fase evolutiva del rito romano e tanto
meno in quegli aspetti che tendono piuttosto a occultare che a mostrare, ma è
dato e mediato dalla partecipazione alle modalità 'linguistiche' proprie del
rito”.
Concludendo, cito ancora una affermazione del
card. Sarah verso la fine del suo intervento: “Per alcuni, l’espressione ‘riforma
della riforma’ è diventata sinonimo del dominio di un clan sull’altro”. Probabilmente
questa sensazione è possibile dal momento che l’espressione in questione riguarda
la riforma della forma ordinaria, dimenticando che il Vaticano II ha decretato
la riforma di quello che oggi si chiama forma straordinaria del rito romano. Quindi
l’espressione "riforma della riforma" diventa “buffa”. Ripeto che capisco le buone intenzioni del card.
Sarah, ma credo che le sue proposte sono guidate da una visione minimalista
della Sacrosanctum Concilium e
difficilmente troverebbero un consenso ampio nella Chiesa. Anzi, potrebbero
addirittura provocare una nuova divisione e allora ci ritroveremmo con tre
forme del rito romano: l’ordinaria, la straordinaria e la “ibrida”.
Matias Augé
Il testo in inglese di questo post lo si trova in:
http://www.praytellblog.com/index.php/2017/07/08/cardinal-sarah-again-advocates-reform-of-the-reform/
Il testo in inglese di questo post lo si trova in:
http://www.praytellblog.com/index.php/2017/07/08/cardinal-sarah-again-advocates-reform-of-the-reform/