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sabato 8 luglio 2017

IL CARD. SARAH RIPROPONE LA “RIFORMA DELLA RIFORMA”


In occasione del decimo anniversario della pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, La Nef  (juillet-août 2017 – n. 294) ospita un lungo intervento del Card. Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto divino, in cui il cardinale ripropone e concretizza le sue note posizioni sulla “riforma della riforma” della liturgia della Messa paolina. Il testo ha una prima parte di carattere storico e dottrinale, che introduce ad una seconda parte propositiva.
Sarah afferma che “la liturgia è diventata un campo di battaglia, il luogo in cui si affrontano i campioni del messale preconciliare e quelli del messale riformato del 1969”. In questa situazione, scopo del suo intervento è la “riconciliazione liturgica”. Pur apprezzando l’amore per la liturgia e le ottime intenzioni del porporato, credo che il suo ragionamento non è esento di alcune ambiguità.

Sulla scia di papa Benedetto XVI, il card. Sarah rivendica la piena coerenza dell’uso della forma straordinaria della liturgia romana con le prescrizioni del Vaticano II, e si domanda: “Come si può pensare che il Concilio abbia voluto contraddire ciò che era in uso prima?” Certamente, Eminenza, “contraddire” no, ma “riformare” si; Sacrosanctum Concilium “desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia” (n. 21). E naturalmente si tratta di riformare la liturgia che era celebrata in quel momento nella Chiesa. In seguito, Sarah, a sostegno della sua tesi, sostiene che è “erroneo considerare che le due forme liturgiche esprimano due teologie opposte. La Chiesa ha una sola verità che insegna e celebra”. Anche qui, devo dire che due teologie “opposte” no, ma “diverse” certamente. Come lo stesso cardinale afferma, citando Benedetto XVI, “la storia della liturgia è fatta di crescita e di progresso”. Se si applica quindi questo principio alla riforma di Paolo VI, possiamo affermare che c’è nel Messale del 1969 una crescita e un progresso. Si noti poi che il cardinale mette sullo stesso piano “teologia” e “verità” e afferma che c’è una “sola verità”. Ma non si può dire lo stesso della teologia: una cosa è la teologia postridentina dei sacramenti e altra la teologia sacramentaria che si ispira al Vaticano II. Non si tratta di “ermeneutica della rottura”, ma della crescita e del progresso.

Qualcuno giudicherà forse irrilevanti queste mie riflessioni critiche alla prima parte del testo del card. Sarah. Credo invece che questo tipo di lettura “minimalista” fatta dal cardinale, comune negli ambienti tradizionalisti, è ambigua e strumentale, serve cioè a giustificare ed esaltare quanto Summorum pontificum ha deciso. Come è stato detto da altri, i padri del Vaticano II che hanno votato Sacrosanctum Concilium non intendevano creare due forme rituali della liturgia romana. So la risposta che alcuni daranno a questa mia osservazione: il Vaticano II non intendeva neppure fare una riforma come quella del Messale del 1970. Ma, ammesso e non concesso, che la Messa paolina sia andata oltre la lettera della Costituzione sulla liturgia, la soluzione decisa con Summorum Pontificum non solo non ha risolto il problema ma lo ha radicalizzato. Mia opinione è che dopo alcuni anni di esperienza della Messa riformata, si poteva intervenire e correggere, arricchire o cambiare alcuni elementi della Messa paolina e puntare sulla celebrazione dignitosa di essa. Ora invece tutto diventa più complesso, come prova la proposta che Sarah fa nel resto del suo scritto.

Infatti, il cardinale ha il merito di esprimere una sua proposta concreta per arrivare “ad un rito comune riformato con lo scopo di facilitare la riconciliazione all’interno della Chiesa”. In primo luogo, il cardinale si augura che si possa arrivare ad un calendario liturgico comune per le due forme del rito romano, e anche ad una “convergenza” dei lezionari. Sua Eminenza sa, meglio di me, che una commissione ad hoc ha lavorato negli anni del pontificato di papa Ratzinger senza riuscire a produrre una proposta concreta, date le difficoltà dell’operazione.

Ma la cosa più significativa è l’elenco di cambiamenti o “arricchimenti” della forma ordinaria che in seguito propone il cardinale: l’orientamento verso il Signore; la genuflessione prima della elevazione e dopo il Per ipsum; la comunione in ginocchio e sulla bocca; l’uso del latino in alcune parti della Messa “per ritrovare l’essenza profonda della liturgia”; la “preghiera silenziosa del Canone”, la cui esperienza viene esaltata; l’inserimento nella prossima edizione del Messale riformato delle preghiere al piede dell’altare della forma straordinaria in un modo semplificato e adattato, nonché le preghiere dell’offertorio della stessa forma straordinaria… Dimenticavo: viene anche proposto che, dopo la consacrazione, le dita che hanno toccato l’ostia santa, rimangano unite. Quest’ultima proposta riflette una teologia eucaristica non più proponibile.

Queste proposte vengono giustificate dal card. Sarah perché, secondo lui, la forma ordinaria ha bisogno di essere “arricchita con gli atteggiamenti sacri che caratterizzano la forma straordinaria”. Più volte abbiamo parlato in questo blog del senso del mistero o del sacro nella liturgia. Basta ricordare qui quanto ho postato qualche giorno fa di Loris della Pietra: “Di fronte agli accenti polemici di chi lamenta la sparizione di un presunto 'senso del mistero', occorre ribadire che esso non può essere confinato in una fase evolutiva del rito romano e tanto meno in quegli aspetti che tendono piuttosto a occultare che a mostrare, ma è dato e mediato dalla partecipazione alle modalità 'linguistiche' proprie del rito”.

Concludendo, cito ancora una affermazione del card. Sarah verso la fine del suo intervento: “Per alcuni, l’espressione ‘riforma della riforma’ è diventata sinonimo del dominio di un clan sull’altro”. Probabilmente questa sensazione è possibile dal momento che l’espressione in questione riguarda la riforma della forma ordinaria, dimenticando che il Vaticano II ha decretato la riforma di quello che oggi si chiama forma straordinaria del rito romano. Quindi l’espressione "riforma della riforma" diventa “buffa”. Ripeto che capisco le buone intenzioni del card. Sarah, ma credo che le sue proposte sono guidate da una visione minimalista della Sacrosanctum Concilium e difficilmente troverebbero un consenso ampio nella Chiesa. Anzi, potrebbero addirittura provocare una nuova divisione e allora ci ritroveremmo con tre forme del rito romano: l’ordinaria, la straordinaria e la “ibrida”.



Matias Augé


Il testo in inglese di questo post lo si trova in:

http://www.praytellblog.com/index.php/2017/07/08/cardinal-sarah-again-advocates-reform-of-the-reform/