Come
salmo responsoriale ci viene proposto un brano della prima parte del lungo Sal
88. Si tratta di un inno alla bontà e alla fedeltà di Dio, che si manifestano
nella creazione, nel governo del mondo e nella protezione accordata al suo
popolo. Non solo la grande storia della salvezza, ma anche la piccola storia di
ciascuno di noi rivela la presenza discreta e prodigiosa di Dio. Per questo
innalziamo la nostra preghiera per esaltare la sua grande misericordia. Il
salmista, poi, proclama beato il popolo che cammina alla luce del volto del
Signore. È un invito a vivere l’alleanza con Dio, dimostrando al Signore fedele
alle sue promesse, che siamo disposti a collaborare con lui, per essere fedeli
alle nostre.
Dei
brani della Scrittura proposti oggi alla nostra attenzione, si possono fare
diverse letture. Cercheremo di leggere i testi unitariamente sviluppando il
tema del camminare alla luce del volto del Signore, tema emerso già nel salmo
responsoriale. Nella prima lettura (2Re 4,8-11.14-16) si parla di un cammino che
va dalla sterilità alla fecondità: la vita di colui che accoglie il fratello, e
con lui la visita di Dio, diventa una vita feconda. Nella seconda lettura (Rm
6,3-4.8-11) san Paolo ci propone un cammino che va dalla morte alla vita: nel
battesimo siamo stati sepolti con Cristo per camminare in una vita nuova,
quella di Cristo risorto. Si tratta di una partecipazione alla vita del Risorto
che si sviluppa nel pellegrinaggio terreno per giungere al suo definitivo
compimento nella gloria.
È
però sulla lettura evangelica (Mt 10,37-42) che vorrei soffermarmi. Le parole
di Gesù raccolte in questo brano sono particolarmente dure ed esigenti. Il
Signore ci propone il cammino paradossale della croce, quello che egli stesso
ha percorso: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama
il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce
e non mi segue, non è degno di me”. Di
fronte alla radicalità di queste parole, è giusto domandarsi quale sia il loro
vero significato. Gesù non chiede di “sentire” più affetto per lui che per i
propri familiari. Non si tratta di sentimenti, ma di valori, di porre cioè
Cristo e la sua volontà prima di ogni altro valore e di ogni altra volontà. Non
sarebbe un buon figlio chi, per far contenti i propri genitori, diventasse un
ladro o un criminale. Anzi, questa maniera di agire sarebbe proprio il modo di
disprezzare quella vita e quella dignità che i genitori ci hanno dato come
valore da custodire. San Benedetto ha sintetizzato in modo giusto questa
dottrina quando indirizzandosi ai monaci, che hanno fatto una scelta radicale
di Cristo, dice nella sua Regola:
“Nulla anteporre all’amore di Cristo” (4,21), e poi, quando più avanti afferma,
parlando dell’obbedienza: “Essa è propria di coloro che ritengono di non avere
assolutamente nulla più caro di Cristo” (5,2). Nessun vincolo umano e nessuna
illusoria tentazione deve quindi sottrarre il discepolo di Gesù dalla fedeltà
al suo Signore.
Il
nostro passaggio sulla terra non è una passeggiata turistica, ma un faticoso
cammino, che tuttavia nasconde e nello stesso tempo rivela un grande mistero,
quello del Cristo morto e risorto. Alla fine del cammino c’è la partecipazione
piena e definitiva alla vita del Risorto.