Dieci anni fa, il 7 luglio del 2007,
Benedetto XVI pubblicava il Motu proprio Summorum
Pontificum. Il primo articolo di questo documento recita:
«Il Messale Romano
promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge
della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale
Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve
venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e
deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste
due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a
una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono
infatti due usi dell’unico rito romano».
Nella
lettera ai vescovi che accompagnava la pubblicazione del Motu proprio, il Pontefice
affermava, tra l’altro, che il documento intendeva «giungere ad una
riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Quindi il Motu proprio non doveva
produrre nessuna divisione, anzi doveva promuovere la riconciliazione
ecclesiale. Cosa è successo in questo decennio? La lettura dei libri pubblicati
dagli uni e dagli altri nel decorso di questo decennio, i diversi blog che si
occupano di liturgia, alcuni convegni promossi in questi anni dimostrano che
siamo lontani dall’agognata riconciliazione.
A
questo proposito, posso raccontare che agli inizi della entrata in vigore del
Motu proprio, mi trovavo a Buenos Aires nel Convegno annuale promosso dai
liturgisti argentini. Mi è stato raccontato da uno dei liturgisti partecipanti
al convegno che l’arcivescovo, il card. Bergoglio, lo aveva chiamato per
incaricargli la celebrazione della Messa domenicale in una chiesetta ad un
gruppo, allora di una ventina di persone, che voleva celebrare con la forma
straordinaria. Il suddetto liturgista, un po’ perplesso, disse al arcivescovo
che lui non era d’accordo con questi gruppi. La risposta del cardinale fu
chiara: “Lo dico a lei perché se do l’incarico ad un sacerdote che è d’accordo
con questi gruppi, mi divide la diocesi”.
M. Augé