13-07-2017
Si sta
diffondendo in questi giorni una Lettera circolare della Congregazione per il
Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ai Vescovi su pane e il vino per
l’Eucaristia, datata 15 giugno 2017, solennità del Ss.mo Corpo e Sangue di
Cristo.
In sintesi, nelle
affermazioni di fondo il documento non presenta alcuna novità, anche
se il ribadire certe affermazioni è una novità nel senso che qua e là
potrebbero essere disattese o in pratica o in teoria. Non è un documento sui
celiaci, perché ciò che vi si dice ribadisce alla lettera documenti precedenti.
La novità riguarda invece la produzione, il controllo, l’uso della materia
eucaristica secondo le odierne condizioni. Poi, come spesso capita, qualcuno ha
preso l’occasione per dare vita a un dibattito allargato, che sembra veramente
troppo largo, cioè fuori luogo. Ma procediamo con ordine.
LE AFFERMAZIONI
FONDAMENTALI
«Il pane utilizzato nella
celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere azzimo,
esclusivamente di frumento e preparato di recente, in modo che non ci sia alcun
rischio di de-composizione. Ne consegue, dunque, che quello preparato con altra
materia, anche se cereale, o quello a cui sia stata mescolata materia diversa
dal frumento, in quantità tale da non potersi dire, secondo la comune
estimazione, pane di frumento, non costituisce materia valida per la
celebrazione del sacrificio e del sacramento eucaristico. È un grave abuso
introdurre nella con-fezione del pane dell’Eucaristia altre sostanze, come
frutta, zucchero o miele» (n. 48).
Lo stesso per il vino,
che «deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non
alterato, né commisto a sostanze estranee». In particolare non si ammetta
«nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non
costituiscono materia valida» (n. 3).
Soprattutto l’ultima
determinazione è molto di più che una norma pratica.
Infatti, sulla scorta di documenti precedenti citati alla lettera, prende
posizione su di una questione sollevata oggi in un contesto di multiculturalità
e di globalizzazione quasi sconosciuto al contesto antico: è possibile
sostituire questi alimenti “comuni” del bacino mediterraneo (pane e vino) con
altri cibi “comuni” di altre culture (ad esempio il riso o la birra), dal
momento che, in fondo, il segno del convito prevale sugli elementi che lo
compongono? La risposta è: no, bisogna attenersi alla tradizione di Cristo e
non solo non è possibile sostituire questi elementi, ma neppure è possibile
alterarli più che tanto. E su tutto ciò la Chiesa ha l’autorità di stabilire
che cosa si intende per pane e per vino in relazione al loro uso eucaristico.
PRECISAZIONI SU ALCUNE
CASISTICHE
Nella confezione del pane e del
vino eucaristici è possibile - “materia valida” - usare «organismi
geneticamente modificati» (n. 5). Per il vino è possibile usare «il mosto, cioè
il succo d’uva, sia fresco sia conservato sospendendone la fermentazione
tramite procedure che non ne alterino la natura» (n. 4,b).
Infine per le ostie ad
uso dei celiaci, queste non possono essere «completamente prive di
glutine»: possono esserne solo «parzialmente prive» in modo tale che la carenza
di glutine non richieda l’uso di «sostanze estranee» o di «procedimenti tali da
snaturare il pane» appunto per ottenere la panificazione (n. 4,a). Stupisce un
poco che non si sia suggerito l’uso pastorale di comunicarsi con il solo vino
consacrato per quei casi di intolleranza totale al glutine. Evidentemente lo si
può sempre fare applicando le disposizioni per la comunione al calice.
Certamente chi legge
troverà questa casistica una cosa da “scribi e farisei”, ma
si dà il caso che anche questa è la vita della Chiesa, abbondantemente
supportata da testimonianze delle Scritture. Ad esempio Ger 18,18 dice che «la
legge non verrà meno ai sacerdoti, né il consiglio ai saggi, né la parola ai
profeti» e la Chiesa ha ereditato queste tre dimensioni nel suo insegnamento:
non tutto e non sempre è profezia, non tutto e non sempre è parola di alta
saggezza, ma qualche volta l’insegnamento è spiegazione della legge e
casistica, come qui. E guai se mancasse.
LE NOVITÀ SULLA
VIGILANZA DELLA PRODUZIONE DELLA MATERIA EUCARISTICA
Premesso che spetta ai Vescovi
«di vigilare sulla qualità del pane e del vino destinati all’Eucaristia e,
quindi, su coloro che li preparano» (n. 1), mentre un tempo alcune comunità
religiose garantivano l’attendibilità del “prodotto”, oggi ciò accade sempre
meno: mancano le vocazioni anche alle “suore delle ostie”! Le quali ostie, per
celiaci e non, si trovano anche nei supermercati e tramite internet.
A fronte di questa nuova
situazione, sta al Vescovo «informare e richiamare al rispetto assoluto
delle norme i produttori di vino e di pane per l’Eucaristia» (n. 2).
Tuttavia, per evitare
sovraccarichi ai singoli Vescovi e allo scopo di ottenere
garanzie sufficienti, si suggerisce «che una Conferenza Episcopale possa incaricare
una o più Congregazioni religiose oppure altro Ente in grado di compiere le
necessarie verifiche sulla produzione, conservazione e vendita del pane e del
vino per l’Eucaristia in un dato Paese e in altri Paesi in cui vengano
esportati» (n. 7).
Infine - un tempo sarebbe
risultato inutile precisarlo - «quanti confezionano il pane e producono il vino
per la celebrazione devono nutrire la coscienza che la loro opera è orientata
al Sacrificio Eucaristico e ciò domanda loro onestà, responsabilità e competenza»
(n. 6).
IL CANTO DEL GRILLO
Il teologo Andrea Grillo nel suo blog “Come se non” in data 11 luglio
2017, con sensibilità diametralmente opposta alla nostra precedente e
soddisfatta citazione di Ger 18,18 che giustificava la “casistica” anche nella
vita della Chiesa, ha visto il documento come l’ennesima manifestazione di una
“società chiusa”, preoccupata e autorizzata a produrre “certezze immediate e
immediatamente applicabili”, nel nostro caso stabilire ciò che è pane e vino e
ciò che non lo è, addirittura per assicurarsi una sorta di “controllo del
popolo”. Ma pane e vino non sono concetti teologici e la Chiesa non ha
competenza a definirli a partire dalla loro realtà naturale, in quanto c’è una
componente culturale umana che sfugge. Facendo un passo in avanti in questo
senso, addirittura “pane e vino portano nella eucaristia [rigorosamente con la
iniziale minuscola: N.d.R.]
non solo una materia fisica, ma una storia e una simbolica che deve arricchirsi
delle logiche del femminile, del minorile, del folle, del carcerato, del figlio
naturale e del disabile”.
Come valutare? Certo in
assoluto non spetta alla Chiesa definire che cosa è pane e
che cosa è vino, come non le spetta definire che cosa è plastica o alluminio,
ma spetta alla Chiesa stabilire che cosa è pane e vino in relazione alla
celebrazione dell’Eucaristia, in relazione a che cosa ha fatto Cristo, perché «noi
abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) e queste determinazioni non sono per
dominare il popolo, ma al suo servizio per la salvezza.
Quanto alla storia
simbolica rinchiusa nel pane: il pane spezzato e il
sangue versato sono anzitutto simbolicamente orientati al sacrificio della
Croce e alla alleanza eterna con il Crocifisso/Risorto, ma questo simbolismo
non può essere espresso solo dal pane e dal vino: necessita delle parole
esplicative di Gesù Cristo, che la Chiesa pronuncia nella preghiera eucaristica.
A sua volta anche il
pane e il vino, o meglio la loro confezione, esprimono
un simbolismo umano, ma nel caso dell’Eucaristia esso è legato non a una
confezione qualsiasi, ma a quella confezione che la Chiesa stabilisce “valida”
per obbedire al comando di Cristo. E qui bisogna precisare che compito della
Chiesa non è solo e sempre assimilare e accogliere culture diverse, ma prima
ancora di far entrare le culture nella sua tradizione, in questo caso a
cominciare dalla confezione del pane e del vino eucaristici. Il quale
simbolismo umano nella confezione del pane e del vino eucaristici oggi resta
molto problematico perché bisognerebbe che ogni comunità facesse il proprio
pane e il proprio vino: ma è realistico?
Quelle di Andrea Grillo
sembrano dunque problematiche - in questo caso -
veramente al di sopra delle righe, anche se, come annotava il card. Pericle
Felici nel suo Diario
del Concilio, si tratta di un «fiorire di cervelli» al quale i
superiori (leggi: Paolo VI) dovrebbero guardare con imparzialità; e invece
«talora ne sentono il fascino» (21 giugno 1964, p. 399). Come allora, forse
così e di più oggi.
Fonte: La Bussola Quotidiana
P.S.- Due persone che apprezzo e considero amiche si esprimono in modo diverso sullo stesso argomento. Le due meritano la mia attenzione. M. A.