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giovedì 13 luglio 2017

Pane e vino come Cristo comanda




di Riccardo Barile13-07-2017

Si sta diffondendo in questi giorni una Lettera circolare della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ai Vescovi su pane e il vino per l’Eucaristia, datata 15 giugno 2017, solennità del Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo.

In sintesi, nelle affermazioni di fondo il documento non presenta alcuna novità, anche se il ribadire certe affermazioni è una novità nel senso che qua e là potrebbero essere disattese o in pratica o in teoria. Non è un documento sui celiaci, perché ciò che vi si dice ribadisce alla lettera documenti precedenti. La novità riguarda invece la produzione, il controllo, l’uso della materia eucaristica secondo le odierne condizioni. Poi, come spesso capita, qualcuno ha preso l’occasione per dare vita a un dibattito allargato, che sembra veramente troppo largo, cioè fuori luogo. Ma procediamo con ordine.

LE AFFERMAZIONI FONDAMENTALI

«Il pane utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere azzimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente, in modo che non ci sia alcun rischio di de-composizione. Ne consegue, dunque, che quello preparato con altra materia, anche se cereale, o quello a cui sia stata mescolata materia diversa dal frumento, in quantità tale da non potersi dire, secondo la comune estimazione, pane di frumento, non costituisce materia valida per la celebrazione del sacrificio e del sacramento eucaristico. È un grave abuso introdurre nella con-fezione del pane dell’Eucaristia altre sostanze, come frutta, zucchero o miele» (n. 48).

Lo stesso per il vino, che «deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee». In particolare non si ammetta «nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida» (n. 3).

Soprattutto l’ultima determinazione è molto di più che una norma pratica. Infatti, sulla scorta di documenti precedenti citati alla lettera, prende posizione su di una questione sollevata oggi in un contesto di multiculturalità e di globalizzazione quasi sconosciuto al contesto antico: è possibile sostituire questi alimenti “comuni” del bacino mediterraneo (pane e vino) con altri cibi “comuni” di altre culture (ad esempio il riso o la birra), dal momento che, in fondo, il segno del convito prevale sugli elementi che lo compongono? La risposta è: no, bisogna attenersi alla tradizione di Cristo e non solo non è possibile sostituire questi elementi, ma neppure è possibile alterarli più che tanto. E su tutto ciò la Chiesa ha l’autorità di stabilire che cosa si intende per pane e per vino in relazione al loro uso eucaristico.

PRECISAZIONI SU ALCUNE CASISTICHE

Nella confezione del pane e del vino eucaristici è possibile - “materia valida” - usare «organismi geneticamente modificati» (n. 5). Per il vino è possibile usare «il mosto, cioè il succo d’uva, sia fresco sia conservato sospendendone la fermentazione tramite procedure che non ne alterino la natura» (n. 4,b).

Infine per le ostie ad uso dei celiaci, queste non possono essere «completamente prive di glutine»: possono esserne solo «parzialmente prive» in modo tale che la carenza di glutine non richieda l’uso di «sostanze estranee» o di «procedimenti tali da snaturare il pane» appunto per ottenere la panificazione (n. 4,a). Stupisce un poco che non si sia suggerito l’uso pastorale di comunicarsi con il solo vino consacrato per quei casi di intolleranza totale al glutine. Evidentemente lo si può sempre fare applicando le disposizioni per la comunione al calice.

Certamente chi legge troverà questa casistica una cosa da “scribi e farisei”, ma si dà il caso che anche questa è la vita della Chiesa, abbondantemente supportata da testimonianze delle Scritture. Ad esempio Ger 18,18 dice che «la legge non verrà meno ai sacerdoti, né il consiglio ai saggi, né la parola ai profeti» e la Chiesa ha ereditato queste tre dimensioni nel suo insegnamento: non tutto e non sempre è profezia, non tutto e non sempre è parola di alta saggezza, ma qualche volta l’insegnamento è spiegazione della legge e casistica, come qui. E guai se mancasse.

LE NOVITÀ SULLA VIGILANZA DELLA PRODUZIONE DELLA MATERIA EUCARISTICA

Premesso che spetta ai Vescovi «di vigilare sulla qualità del pane e del vino destinati all’Eucaristia e, quindi, su coloro che li preparano» (n. 1), mentre un tempo alcune comunità religiose garantivano l’attendibilità del “prodotto”, oggi ciò accade sempre meno: mancano le vocazioni anche alle “suore delle ostie”! Le quali ostie, per celiaci e non, si trovano anche nei supermercati e tramite internet.

A fronte di questa nuova situazione, sta al Vescovo «informare e richiamare al rispetto assoluto delle norme i produttori di vino e di pane per l’Eucaristia» (n. 2).

Tuttavia, per evitare sovraccarichi ai singoli Vescovi e allo scopo di ottenere garanzie sufficienti, si suggerisce «che una Conferenza Episcopale possa incaricare una o più Congregazioni religiose oppure altro Ente in grado di compiere le necessarie verifiche sulla produzione, conservazione e vendita del pane e del vino per l’Eucaristia in un dato Paese e in altri Paesi in cui vengano esportati» (n. 7).

Infine - un tempo sarebbe risultato inutile precisarlo - «quanti confezionano il pane e producono il vino per la celebrazione devono nutrire la coscienza che la loro opera è orientata al Sacrificio Eucaristico e ciò domanda loro onestà, responsabilità e competenza» (n. 6).

IL CANTO DEL GRILLO

Il teologo Andrea Grillo nel suo blog “Come se non” in data 11 luglio 2017, con sensibilità diametralmente opposta alla nostra precedente e soddisfatta citazione di Ger 18,18 che giustificava la “casistica” anche nella vita della Chiesa, ha visto il documento come l’ennesima manifestazione di una “società chiusa”, preoccupata e autorizzata a produrre “certezze immediate e immediatamente applicabili”, nel nostro caso stabilire ciò che è pane e vino e ciò che non lo è, addirittura per assicurarsi una sorta di “controllo del popolo”. Ma pane e vino non sono concetti teologici e la Chiesa non ha competenza a definirli a partire dalla loro realtà naturale, in quanto c’è una componente culturale umana che sfugge. Facendo un passo in avanti in questo senso, addirittura “pane e vino portano nella eucaristia [rigorosamente con la iniziale minuscola: N.d.R.] non solo una materia fisica, ma una storia e una simbolica che deve arricchirsi delle logiche del femminile, del minorile, del folle, del carcerato, del figlio naturale e del disabile”.

Come valutare? Certo in assoluto non spetta alla Chiesa definire che cosa è pane e che cosa è vino, come non le spetta definire che cosa è plastica o alluminio, ma spetta alla Chiesa stabilire che cosa è pane e vino in relazione alla celebrazione dell’Eucaristia, in relazione a che cosa ha fatto Cristo, perché «noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) e queste determinazioni non sono per dominare il popolo, ma al suo servizio per la salvezza.

Quanto alla storia simbolica rinchiusa nel pane: il pane spezzato e il sangue versato sono anzitutto simbolicamente orientati al sacrificio della Croce e alla alleanza eterna con il Crocifisso/Risorto, ma questo simbolismo non può essere espresso solo dal pane e dal vino: necessita delle parole esplicative di Gesù Cristo, che la Chiesa pronuncia nella preghiera eucaristica.

A sua volta anche il pane e il vino, o meglio la loro confezione, esprimono un simbolismo umano, ma nel caso dell’Eucaristia esso è legato non a una confezione qualsiasi, ma a quella confezione che la Chiesa stabilisce “valida” per obbedire al comando di Cristo. E qui bisogna precisare che compito della Chiesa non è solo e sempre assimilare e accogliere culture diverse, ma prima ancora di far entrare le culture nella sua tradizione, in questo caso a cominciare dalla confezione del pane e del vino eucaristici. Il quale simbolismo umano nella confezione del pane e del vino eucaristici oggi resta molto problematico perché bisognerebbe che ogni comunità facesse il proprio pane e il proprio vino: ma è realistico?

Quelle di Andrea Grillo sembrano dunque problematiche - in questo caso - veramente al di sopra delle righe, anche se, come annotava il card. Pericle Felici nel suo Diario del Concilio, si tratta di un «fiorire di cervelli» al quale i superiori (leggi: Paolo VI) dovrebbero guardare con imparzialità; e invece «talora ne sentono il fascino» (21 giugno 1964, p. 399). Come allora, forse così e di più oggi.


Fonte: La Bussola Quotidiana

P.S.- Due persone che apprezzo e considero amiche si esprimono in modo diverso sullo stesso argomento. Le due meritano la mia attenzione. M. A.