1Re
19,4-8; Sal 33 (34); Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
La prima lettura ci racconta
la disperata fuga del profeta Elia attraverso il deserto, perseguitato a morte
dalla crudele e onnipotente regina fenicia, Gezabele, che dominava in
Israele. Stanco e sfinito al punto da
desiderare la morte come suprema liberazione, l’angelo di Dio interviene ed il
profeta viene rinvigorito da un cibo miracolosamente preparato davanti a lui.
Il racconto conclude con queste parole: “Con la forza di quel cibo camminò per
quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb”, luogo natale
del popolo ebraico. Anche noi nel nostro pellegrinare per il deserto della
vita, specie nei momenti di stanchezza o di scoraggiamento, ci rendiamo conto
che non abbiamo le forze per continuare, non ce la facciamo più, non ci basta
il nutrimento terreno, abbiamo bisogno di qualcosa di più consistente, un
nutrimento che ci rinvigorisca dentro.
La pagina evangelica che
leggiamo oggi ci presenta, per la seconda domenica consecutiva, un brano del
grande discorso di Gesù dopo il miracolo dei pani. Gesù si proclama “pane
disceso dal cielo”, dato agli uomini perché “chi ne mangia non muoia” ma viva
in eterno. Questo pane, se mangiato e assimilato, è sorgente in noi di una vita
perenne che non teme la morte. Se Gesù si identifica con il pane della vita
dato da Dio, allora vuol dire che “mangiare” significa anche “credere”. Solo
così viene superata la morte. In altre parole, la vita piena e definitiva si
ottiene solo mediante la fede in Cristo, anzi mediante la condivisione del
destino di colui che è il pane vivo disceso dal cielo. Il brano evangelico
esalta la forza trasformatrice e “divinizzante” del pane di vita, germe della
nostra risurrezione. Mangiando questo pane inizia in noi la risurrezione,
inizia un processo di crescita che sarà più forte di ogni deserto. Non
invocheremo più il Signore perché ci faccia morire, come aveva fatto Elia;
sapremo vivere la nostra morte secondo quanto insegna il mistero racchiuso in
quel pane della vita.
Nella seconda lettura, san
Paolo ci spiega che Gesù è diventato salvezza dell’uomo perché “ha dato se
stesso per noi”. Gesù è “il pane della vita” perché è la rivelazione di Dio a
noi e, più in particolare, perché ha dato tutto se stesso per la liberazione
dell’uomo dal male e dal peccato. L’incarnazione storica del Figlio di Dio in
Gesù Cristo, culminante nella croce con la donazione della sua vita per la
nostra salvezza, si prolunga nel segno sacramentale del pane eucaristico.
L’Apostolo aggiunge ancora: “camminate nella carità, nel modo in cui anche
Cristo ci ha amato”. E’ un invito a diventare noi stessi “eucaristia”, dono per
gli altri. Nella solidarietà reciproca, nell’impegno per gli altri, nella fede
e nella speranza nonostante ogni scacco, si esperimenta e si esprime la vitale
presenza di Cristo tra noi.