Is
53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45
Nel
brano evangelico odierno possiamo distinguere due momenti. Nel primo, vediamo
gli apostoli e fratelli Giacomo e Giovanni che si avvicinano a Gesù per chiedergli
l’onore dei primi posti accanto a lui nella gloria. Notiamo che la richiesta
degli apostoli segue immediatamente il terzo annuncio della passione, morte e
risurrezione fatto da Gesù ai Dodici sulla strada per Gerusalemme (cf. Mc
10,32-34). Con la Ioro incosciente richiesta, i due figli di Zebedeo
dimostrano, da un lato, la loro incomprensione delle parole che Gesù ha appena
pronunciato sul futuro di sofferenza e di morte e, dall’altro, rivelano di
vivere la comunità come finalizzata alla loro personale riuscita. Evidentemente
gli interessi dei discepoli si muovono su un livello del tutto diverso da
quello su cui si muove Gesù, totalmente proteso a fare la volontà del Padre.
Nel secondo momento, troviamo la risposta di Gesù, il quale rifiuta le pretese
dei discepoli e al tempo stesso propone un nuovo ordine di valori ai quali si
deve attenere colui che intende seguirlo: “Voi sapete che coloro i quali sono
considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse […] Tra voi però non
è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi
vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Gesù dice come orientare
la tendenza a primeggiare in modo che l’agire del discepolo sia una vera
contestazione del comune agire degli uomini e serva a costruire una comunità di
fratelli: ognuno deve mettere i propri doni, i carismi ricevuti, al servizio
del bene comune, senza ricerca di privilegi.
Il
discepolo, quindi, deve distanziarsi dalle logiche mondane e conformarsi al
comportamento del Figlio dell’uomo, che “non è venuto per farsi servire, ma per
servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (cf. anche la prima lettura).
In queste lapidarie parole di Gesù sono racchiuse quattro avvertenze: la prima
è che servire è una dimensione dell’intera esistenza, non un frammento del
nostro tempo o del nostro agire. Servire cioè è un modo di esistere, uno stile
che nasce dal profondo di se stessi. La seconda avvertenza è che lo stile del
servizio si oppone nettamente alla logica del farsi servire. Non si possono
vivere alcuni spazi come servizio e altri come ricerca di sé. La terza
avvertenza è che servire significa in concreto vivere sentendosi responsabile
degli altri. La quarta avvertenza e forse la più importante: il vero servizio
non raggiunge soltanto i bisogni, ma accoglie la persona. Si potrebbe essere
efficienti per quanto riguarda i bisogni, trascurando poi del tutto le persone.
Per Gesù i “molti” per i quali dona la vita sono persone, volti, non masse
anonime o semplicemente problemi da risolvere.
L’insegnamento
di Gesù punisce la nostra ambizione, il nostro pensare incentrato sull’esito
personale, sulla nostra inconfessata brama di potere, la nostra ricerca di
prestigio, il nostro vaneggiare di grandezza. I discepoli di Gesù siamo
chiamati a porre nella società i germi concreti di uno stile di vita nuovo, di
una generosità grande e piena. La parola di Gesù stigmatizza la logica dei
poteri mondani, ma soprattutto si rivolge alla Chiesa. La prima testimonianza
“politica” della Chiesa consiste nella sua strutturazione interna,
nell’organizzazione delle sue strutture di autorità e nel modo di vivere
l’autorità, che dev’essere conforme a quanto vissuto da Cristo e da lui
richiesto ai discepoli.