L'uomo religioso, secondo
Cicerone, è colui che riconsidera (da relegere) con cura tutto ciò che
riguarda il culto degli dèi e pratica questo culto con diligenza; non è colui
che “crede”, ma colui che celebra nelle forme dovute i riti tradizionali. Su
questa posizione si rivelerà netta la differenza cristiana espressa dalla
teologia di Lattanzio e di Agostino.
Secondo Lattanzio, a Dio noi
siamo connessi strettamente e legati da un vincolo di pietà dal che la religio
prese questo nome, non come ha interpretato Cicerone da “riprendere” (a relegendo,
“raccogliere di nuovo, considerare con attenzione”).
Secondo Agostino, avevamo
perduto Dio trascurandolo: è evocata in questo modo la storia della salvezza
cristiana, di una umanità che alle origini abbandona il suo Creatore cadendo
nel peccato e che ritorna a Lui nel processo di conversione. Religio per
Agostino e un re-eligere, è uno scegliere di nuovo Dio, un ritornare a
legarsi a Lui. Si parla, infatti, di un “tendere”, di un “rivolgersi” a Dio. E se
in Lattanzio questo rivolgersi a Dio è pietas, con Agostino diventa dilectio.
In Tommaso D'Aquino è evidente
l'ispirazione agostiniana, però Tommaso aggiunge che questo nuovo legame è dato
dalla fede.
Gli autori citati pur
appartenendo a una medesima area linguistica culturale sono testimoni di
profondi mutamenti di significato del termine religio senza che peraltro
si dimentichi una certa continuità. La grande svolta avvenuta con Agostino, il
quale ha dato un'impronta più specifica dal punto di vista della fede religiosa
illuminata dalla rivelazione cristiana e, infine, con il grande Tommaso d'Aquino,
con la sistematicità della comprensione del dato di fede nel più ampio contesto
della ragione.
Fonte: questo testo è ispirato
all’opera di Antonio Ascione – Dario Sessa, In ascolto del sacro, Un
itinerario di fenomenologia della religione, Roma 2020, pp. 14-31.