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venerdì 11 febbraio 2022

DOMENICA VI DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 13 Febbraio 2022

 



 

Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26

 

 

Nel breve brano di Geremia (prima lettura) ascoltiamo lo stesso messaggio del salmo responsoriale: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore”. Anzi, il salmo responsoriale riprende le parole di Geremia e le sviluppa con nuove immagini. Che senso ha confidare nel Signore, porre la legge di Dio al centro della nostra vita? Che significa scegliere la via non di rado faticosa del bene? “Confidare nel Signore” significa porre il fondamento dell’edificio della propria esistenza in Dio. Il contrario equivale a costruire l’esistenza sulla fragilità ed i limiti delle proprie risorse. Due vie o due possibili scelte. Su questo dualismo legato alle decisioni umane, si articola anche la struttura delle beatitudini, che il vangelo d’oggi ci propone nell’originale versione di san Luca. 

 

Le beatitudini sono l’espressione più genuina del messaggio evangelico, e quindi possono essere considerate come una sintesi della fisionomia morale del discepolo di Gesù. Nel testo che ci offre Luca emerge con insistenza l’esaltazione della povertà che l’evangelista presenta come una chiara esigenza per colui che intende seguire Gesù. Infatti, la prima beatitudine, che definisce e specifica tutte le altre, inizia con queste parole: “Beati voi poveri…”, e in seguito: “Beati voi che ora avete fame…” Nella redazione di san Luca, alla serie delle quattro beatitudini segue poi quella delle quattro maledizioni o dei quattro “guai”: “Ma guai a voi, ricchi… Guai a voi, che ora siete sazi…”. La povertà esaltata dalle beatitudini, pur essendo una vera povertà, non è una misura mortificante di austerità, non è disprezzo dei beni di questo modo; viene piuttosto presentata come una situazione che diventa segno della disposizione totale del cuore di colui che intende seguire Gesù povero e stabilire con lui una vera comunione di vita. Il povero è beato, perché ha le mani e il cuore aperti all’attesa di Dio, che non delude. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che “la vera felicità non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore” (n. 1723). Santa Teresa di Gesù lo dice sinteticamente: “a chi possiede Dio non manca nulla: Dio solo basta”.

 

Si potrebbe riassumere il messaggio della parola di Dio in questa domenica con le parole dell’antifona d’ingresso, tratte dal Sal 30: Dio è “mio baluardo e mio rifugio”, o anche col ritornello del salmo responsoriale: “Beato l’uomo che confida nel Signore”; chi confida in Lui, non resterà mai deluso. Ci viene proposta una scelta di campo, un’opzione che in definitiva è tra l’autosufficienza e la totale fiducia nel Signore. Nel brano proposto come seconda lettura, san Paolo ribadisce indirettamente questa stessa dottrina quando afferma che per la potenza di Dio Cristo è risorto e quindi anche per noi si dischiude la speranza della risurrezione: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Si tratta sempre di riporre ogni nostra speranza nel Signore.