1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102; 1Cor15,45-49;
Lc 6,27-38
Le letture bibliche di questa
domenica al tempo stesso che ci invitano a celebrare la misericordia di Dio, ci
propongono di imitarla. Infatti, il vertice dell’insegnamento di Gesù nel
vangelo d’oggi è costituito dall’invito a diventare “misericordiosi” come lo
stesso Padre celeste è misericordioso. Attraverso questa imitazione di Dio noi
ci trasformiamo in figli suoi.
La liturgia eucaristica
inizia col canto d’ingresso il quale è una fiduciosa e gioiosa confessione di
fede nella misericordia di Dio: “Io nella tua fedeltà ho confidato […] Canterò
al Signore che mi ha beneficato” (canto d’ingresso - Sal 12,6). La prima
lettura ci propone la grandezza di animo di Davide che, pur avendo occasione di
eliminare il suo nemico, il re Saul, si mostra misericordioso con lui e lo
risparmia perché, nonostante tutto, è “il consacrato del Signore”. Con questo
gesto Davide, eminente figura messianica, annuncia il superamento della
vendetta e apre la strada al perdono. Gesù nel brano evangelico odierno
proclama il suo nuovo comandamento sull’amore che si estende anche ai nemici,
che non solo bisogna amare, ma anche fargli del bene, benedirli e per i quali
si deve pregare. L’insegnamento di Gesù è fondato su due principi: il primo, preso
dalla saggezza degli antichi, dice “come volete che gli uomini facciano a voi, così
anche voi fate a loro”; il secondo è squisitamente teologico e dice “siate
misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. Il modello proposto è
infinito, è l’amore stesso di Dio. In particolare, il perdono dei nemici è un
gesto di bontà, di grandezza e di sapienza, perché è imitazione del modo di
agire di Dio, che “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi”. Alla fine del
brano evangelico viene enunciato il criterio che regola il rapporto dell’agire
dell’uomo e quello di Dio: “con la misura con la quale misurate, sarà misurato
a voi in cambio”. Si fa esperienza dell’amore salvifico di Dio nella misura in
cui si è generosi e misericordiosi con gli altri, anche se nemici.
Lungo l’anno liturgico
ritorna più volte il tema dell’amore come centro della vita cristiana. C’è
forse il rischio di assuefarsi al solito e vago discorso che ci richiama ad
amarci gli uni gli altri. L’appello di Gesù è però estremamente concreto, realistico,
al tempo stesso che esigente e radicale. L’amore cristiano deve essere vissuto
in modo profondo e totalizzante, come comportamento interiore ed esteriore che
abbraccia tutti, che non esclude nessuno. Se è rivoluzionario l’annuncio delle
“beatitudini”, proclamate domenica scorsa, lo è forse anche di più l’annuncio
di un amore che insegna ad amare l’altro solo perché è l’altro. Questo ideale
sublime lo ha incarnato perfettamente Cristo, l’ultimo Adamo, la cui immagine
sarà compiuta in noi con la nostra partecipazione piena alla risurrezione del
Signore (cf. seconda lettura). Occorre passare dalla mensa della Parola alla
mensa del corpo di Cristo: “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere
amati e l’amare a propria volta gli altri […] L’amore può essere ‘comandato’
perché prima è donato” (Benedetto XVI, Deus
caritas est, n. 14).