Il nuovo testo riporta
una traduzione letterale del latino – ros = rugiada – in quanto
ha le sue radici nella Sacra Scrittura. Tralasciando i fenomeni geografici
propri della mezzaluna fertile che hanno fatto della rugiada un grande alleato
per le coltivazioni in terre aride, a livello scritturistico la tal/drosos è
considerata un mistero legato alla fedeltà di Dio: “Chi genera le gocce della
rugiada?”, chiede Dio rispondendo a Giobbe (38.28). La sua origine è
considerata celeste (Gen 7,28; Dt 33,28; Ag 1,10; Zac 8,12), essa scende improvvisamente
(2Sam 17,12) ma con dolcezza (Dt 32,2) si posa sulla terra e vi rimane la notte
intera (Gb 29,19) e l’esposizione ad essa è causa di conforto (Ct 5,2; Dn
4,15.23.25.33). Essa è transitoria, evapora subito all’alba (Gb 7,9; Os 6,4);
molto desiderata è quella attesa durante le calde estati dei tempi del raccolto.
Vi sono due questioni
però da considerare: come si ricollega la rugiada con il mistero dell’Eucaristia?
Il termine ros/rugiada esclude a priori quella di effusione oppure la
comprende?
La rugiada era
considerata dalle popolazioni del Medio Oriente una vera e propria benedizione,
giacché consentiva la coltivazione in zone altrimenti aride durante tutto l’anno.
Per questo motivo gli antichi non esageravano nel riconoscere alla rugiada un ruolo
di grazia proveniente da Dio: essa permetteva di coltivare i terreni anche
durante i periodi di siccità (Sir 18,16; 43,22), ma soprattutto rende fertili i
terreni del Neghev permettendo un raccolto abbondante di uva; da qui nasce la
preghiera di benedizione: “Dio ti conceda la rugiada del cielo, la fertilità
della terra e abbondanza di frumento e vino” (Gen 27-28; cf. Dt 33,28).
L’assenza della rugiada è una disgrazia da evitare (Ag 1,10; cf. Gb 29,19; Zac
8,21) perché significa siccità e assenza di raccolto (1Re 17,1; cf. 2Sam 1,21).
Considerato il ruolo che la rugiada acquista nel garantire la vita nonostante
la siccità, essa viene presto assunta a simbolo della risurrezione: “poiché la
tua rugiada è rugiada di luce, e la terra ridarà alla vita le ombre” (Is
26,19). Nasce così la frase talmudica “la rugiada della risurrezione”.
In Sal 133,3 si dice che
la rugiada scende sull’Ermon, monte santo, detto anche monte Sion (Dt 4,48).
Oltre al fatto che era considerato un luogo sacro, ciò che lo caratterizza è la
presenza di nevi perenni in netto contrasto con la siccità delle regioni
circostanti; il disgelo dei ghiacciai dell’Ermon alimentano il fiume Giordano. La
sua vicinanza a Cesarea di Filippo ha indotto alcuni a suggerire l’Ermon come
il monte della Trasfigurazione (Mt 9,2 e parall).
Bastano queste poche
indicazioni per rendersi conto di come il termine rugiada sia
biblicamente legato alla realtà dell’Eucaristia, che è come rugiada che porta
la vita laddove vi è siccità, e che è dono dell’amore di Dio, ossia dello
Spirito Santo che ha operato la risurrezione di colui che realmente è contenuto
in corpo, anima e divinità nel pane eucaristico. Ne consegue, inoltre, che il
termine ben assorbe in sé anche il tema della effusione, indicando “con la
rugiada del tuo Spirito” la missione stessa della terza persona trinitaria
in seno alla celebrazione della cena del Signore.
Fonte: Emilio Bettini, Ars
celebrandi. Introduzione alla terza edizione del Messale Romano, Palumbi,
Teramo 2021, 50-52 (non sono state riprese le note)