Zc 9,9-10; Sal 144; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30
Il salmo responsoriale (Sal 144) è una
celebrazione solenne della regalità di Dio. Il salmista celebra l’onnipotenza
del Signore svelata nelle grandi gesta della storia della salvezza. Ma la
potenza di Dio si manifesta nella bontà paziente, la sua forza nella tenerezza
compassionevole, la sua grandezza nel chinarsi sul bisognoso.
Il breve brano dell’Antico Testamento, proposto
come prima lettura, annuncia la venuta del Re di Sion: “Ecco, a te viene il tuo
re”. In queste parole emerge la promessa del nuovo Davide. Le parole profetiche
evocano anche qui l’immagine mite e umile di Gesù che cavalcando un asino fa il
suo trionfale ingresso in Gerusalemme. Come in altri scritti della tradizione
profetica, il Messia viene annunciato non come un potente guerriero, ma come un
messaggero umile e giusto che spezzerà i simboli di guerra e l’orgoglio
dell’umana superbia con la forza dirompente dell’amore che si manifesta nella
debolezza della croce.
Nel brano evangelico, Gesù si presenta come
colui che realizza in pienezza le promesse profetiche. Egli si propone alle
folle come alternativa di liberazione rispetto al potere opprimente dei loro
capi. Al posto dell’insopportabile peso della legge e dell’oppressivo potere
dei suoi interpreti, egli propone il proprio “giogo”, facile da portare. Gesù
promette di dare ristoro a tutti coloro che sono affaticati e oppressi, e li
invita a imparare da lui che è “mite e umile di cuore”. Gesù si presenta quindi
come colui che cammina davanti a noi invitandoci a mettere i nostri piedi sulle
sue orme. Dio si manifesta nel suo Figlio incarnato come un Dio umile che si
rivela agli umili abbassandosi sino alle dimensioni infime dell’umanità per
dare all’uomo stima di se stesso, nonché impulso e speranza di liberazione di
quanto ci umilia, ci disonora e ci opprime.
La seconda lettura spiega in cosa consista
seguire Gesù e portare il suo giogo. Paolo lo fa richiamando le due possibilità
di vita che si prospettano alla libertà dell’uomo: “vivere secondo la carne” o
“vivere secondo lo Spirito”. Carne e Spirito sono due principi contrapposti di
vita. La carne è l’uomo nella sua debolezza, caducità e fragilità. Non possiamo
pretendere di costruire la propria vita sulla nostra fragilità; abbiamo bisogno
dello Spirito di Dio. L’uomo che vive secondo la carne cerca se stesso e
rifiuta il giogo di Cristo. Invece, l’uomo che vive secondo lo Spirito si
lascia condurre dallo Spirito divino che lo libera dall’orgoglio accecante e
dall’egoismo paralizzante. Assoggettarsi al giogo di Cristo significa vivere secondo
lo Spirito. Infatti, la vita nello Spirito si configura come una crescente
esperienza della nostra progressiva trasfigurazione nel Signore, della nostra
appartenenza a Cristo, del dono della vita divina che, nel Risorto, ci è stata
comunicata. Questa esperienza raggiungerà il suo compimento solo quando la
potenza dello Spirito Santo trasfigurerà il nostro corpo mortale per renderlo
conforme al corpo glorioso del Signore.