La Lettera
apostolica Desiderio desideravi, firmata da Papa Francesco il 29 giugno
dell’anno scorso, è un documento, come dice il testo, "sulla formazione
liturgica del Popolo di Dio". Tuttavia, nel primo paragrafo della Lettera,
viene ulteriormente precisato l'obiettivo che il Papa si propone con questa
pubblicazione: "Vorrei semplicemente offrire alcuni elementi di
riflessione per contemplare la bellezza e la verità della celebrazione
cristiana" (n. 1). Non si tratta, quindi, di una nuova Istruzione o di un
Direttorio con norme specifiche sulla formazione liturgica, ma piuttosto di una
meditazione o di una catechesi per comprendere la bellezza della celebrazione
liturgica e il suo ruolo nella vita cristiana e nell'annuncio del Vangelo.
D'altra parte, la Carta è esplicitamente collocata "dopo la pubblicazione
[un anno prima] del Motu Proprio Traditionis custodes" sull'uso
della liturgia romana con i libri anteriori alla riforma del 1970, di cui il
Papa conferma e approfondisce le decisioni.
I 65 paragrafi
del documento sono suddivisi in 8 sezioni, più una breve introduzione (n. 1) e
una lunga conclusione (nn. 61-65): nelle prime sei sezioni predomina la
dimensione dottrinale e spirituale della liturgia (nn. 2-26); nelle ultime due
sezioni, più lunghe, dedicate alla formazione liturgica e all'Ars celebrandi,
predomina la dimensione pratica o pastorale della liturgia (nn. 27-60). In ogni
modo, però, dottrina, spiritualità e prassi sono intrecciate lungo tutto il
documento. Nella presentazione e commento della Lettera apostolica seguirò lo schema appena
proposto, diviso in due grandi parti, sottolineando ciò che mi sembra più importante
e commentando alcuni punti che lo richiedano.
1. La natura
della liturgia vista nel contesto della storia della salvezza.
Nel
discorso di questa prima parte del documento, si percepisce un itinerario che
va da Cristo alla Chiesa per arrivare alla comprensione della liturgia. È lo stesso metodo che adopera la Costituzione sulla
liturgia del Vaticano II (cfr. SC, nn. 5-7). La domanda chiave di questa prima
parte potrebbe essere: "Che cos'è la liturgia nel contesto della storia
della salvezza?" Come prima risposta, mi piace definirla dicendo che la liturgia o, se
vogliamo, l'anno liturgico è il Vangelo celebrato. Il Vangelo è la
"buona notizia" dell'adempimento delle promesse fatte da Dio ad
Abramo, Isacco e Giacobbe. Queste promesse trovano compimento nel Figlio di Dio
incarnato, fatto uomo, morto e risorto, cioè nel mistero pasquale di Cristo. E
qui possiamo collegarci alla Lettera apostolica quando afferma: "Se non
avessimo avuto l'Ultima Cena, cioè l'anticipazione rituale della sua morte [di
Gesù], non avremmo potuto comprendere come l'esecuzione della sua condanna a
morte potesse essere l'atto di culto perfetto e gradito al Padre, l'unico vero
atto di culto" (n. 7). Con
altre parole: Gesù spezza il pane per darci una chiave di lettura di ciò che
poi sarebbe successo sulla croce. Quando Gesù dice: "Questo è il mio corpo
dato per voi", "Questo è il mio
sangue versato per voi", possiamo comprendere il significato della sua
morte. In questa morte, atto di perfetta obbedienza al Padre e di supremo amore
per noi, "Dio è perfettamente glorificato e gli uomini santificati"
(SC, n. 7). Questa "ultima" e irripetibile Cena è presente nella
celebrazione dell'eucaristia fino al ritorno del Signore alla fine dei tempi
(cfr. n. 4). Siamo tutti invitati a questa Cena. Ma non tutti hanno
ancora ricevuto l'invito e altri lo hanno dimenticato o perso nei tortuosi
sentieri della vita (cfr. n. 5). L'eucaristia,
quindi, ha anche una dimensione evangelizzatrice. "Per
questo la Chiesa ha sempre custodito, come suo tesoro più prezioso, il comando
del Signore: ‘Fate questo in memoria di me’ " (n. 8).
Il
mistero dell’Incarnazione ci permette di farci delle domande, come, ad esempio:
Chi sa come era Gesù? Il tono della sua voce, il suo sguardo, come si muoveva,
come si avvicinava ai malati, e li toccava per guarirli… A questo proposito, la
Lettera cita le parole di san Leone Magno, quando dice: "Ciò che era
visibile di Gesù, ciò che si vedeva con gli occhi e si toccava con le mani, le
sue parole e i suoi gesti, la concretezza del Verbo incarnato, è passato nella
celebrazione dei sacramenti" (n. 9). Queste parole
ci aiutano a comprendere la profondità di quello che chiamiamo la presenza
“sacramentale” del Signore. Nella celebrazione liturgica incontriamo il Signore
Gesù e siamo raggiunti dalla potenza della sua Pasqua (cfr. n. 11). "La
fede cristiana o è un incontro con Lui o non è" (n. 10). "La forza
salvifica del sacrificio di Gesù, di ogni sua parola, di ogni suo gesto, sguardo,
sentimento, ci raggiunge nella celebrazione dei Sacramenti" (n. 11). Nella
celebrazione liturgica c’è la potenza di Cristo che continua a raggiungerci per
guarirci. Il nostro primo incontro con la Pasqua del Signore è il battesimo:
"In perfetta continuità con l'Incarnazione, ci è data la possibilità, in
virtù della presenza e dell'azione dello Spirito, di morire e risorgere in
Cristo" (n. 12). L’Incarnazione non è solo un evento, è anche un metodo.
Il breve
riferimento alla Chiesa inizia con una citazione della Costituzione Sacrosanctum
Concilium, n. 5, che, a sua volta, cita parole di sant'Agostino:
"Dal costato di Cristo addormentato sulla croce sgorgava il mirabile
sacramento di tutta la Chiesa" (n. 14). "Il soggetto che agisce nella
liturgia è sempre e soltanto Cristo-Chiesa, il Corpo mistico di Cristo"
(n. 15).
E ora passiamo al
significato teologico della liturgia (nn. 16-26). Possiamo dividere questa
parte in tre temi principali: la bellezza della verità della celebrazione
cristiana; i pericoli che possono sfigurarla; e lo stupore davanti al mistero. Il Papa
ricorda ancora una volta che con questa Lettera vuole invitare tutta la Chiesa
a "riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione
cristiana" (n. 16). La verità della bellezza della celebrazione cristiana si riferisce
soprattutto al suo significato teologico come descritto al n. 7 della Costituzione sulla liturgia del Vaticano II, che la Lettera apostolica commenta con
queste parole: "la liturgia è il sacerdozio di Cristo rivelato e donato a
noi nella sua Pasqua, presente e operante oggi attraverso i segni sensibili
[...] perché lo Spirito, immergendoci nel mistero pasquale, trasformi tutta la
nostra vita, conformandoci sempre più a Cristo" (n. 21).
Questa è la
verità della celebrazione cristiana. Quali sono i pericoli che possono
sfigurarla? In primo luogo, "una comprensione superficiale e riduttiva del
suo valore o, peggio ancora, la sua strumentalizzazione al servizio di una
qualche visione ideologica, qualunque essa sia" (n. 16). In secondo luogo,
il Papa cita due tentazioni di cui egli ha parlato in diverse occasioni: lo
gnosticismo, che riduce la fede cristiana a un soggettivismo che rinchiude
l'individuo nell’immanenza della propria ragione o dei suoi
sentimenti; e il neo-pelagianesimo, che annulla il valore della grazia per
confidare solo nelle proprie forze (cfr. n. 17). La liturgia può essere
sfigurata se cade in queste tentazioni, ma, ben compresa, è essa stessa un
antidoto efficace contro tali tentazioni. Contro il soggettivismo dello
gnosticismo, la celebrazione liturgica, che non appartiene all'individuo ma a
Cristo-Chiesa, ci libera dalla prigione dell'autoreferenzialità (cfr. n. 19).
Contro il neo-pelagianesimo, che presuppone una salvezza conquistata con le
proprie forze, la celebrazione liturgica ci purifica proclamando la gratuità
del dono della salvezza accolta nella fede (cfr. n. 20). Infine, un altro
pericolo che può deturpare la liturgia è "la ricerca di un estetismo
rituale, che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito,
o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale" (n. 22). Naturalmente,
le rubriche devono essere osservate "per non privare l'assemblea di ciò
che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nel modo rituale che
la Chiesa stabilisce" (n. 23). Le parole e i gesti della liturgia ci
vengono dati dalla Chiesa, non è roba nostra.
Infine, questa
prima parte, secondo la divisione che abbiamo proposto della Lettera
apostolica, si conclude con l'invito a "stupirsi" davanti al mistero
pasquale celebrato. Questo stupore non si riferisce alla vaga
espressione "senso del mistero", citato da alcuni, contro la riforma
liturgica che l'avrebbe eliminato. Lo stupore di cui parla il Papa non è una sorta di disorientamento di
fronte a una realtà oscura o ad un rito enigmatico, ma è proprio il contrario:
è l’ammirazione per il fatto che il disegno salvifico di Dio ci è stato
rivelato nella Pasqua di Gesù, la cui efficacia continua a raggiungerci nella
celebrazione dei sacramenti. Possiamo, quindi, affermare che liturgia è per noi
l'oggi della storia della salvezza. Se la riforma avesse eliminato questo "senso
del mistero", piuttosto che un'accusa, sarebbe stato un merito. Quando lo
stupore è vero, non c'è rischio che non si percepisca l'alterità della presenza
di Dio. La bellezza, come la verità, genera stupore e spinge oltre il senso
fisico delle cose, oltre l’estetica e, riferendosi al mistero di Dio, conduce
all'adorazione (cfr. n. 25). È
attribuita a Platone l'affermazione, ripresa in seguito dalla Scolastica:
"pulchritudo est splendor veritatis", la bellezza è lo
splendore della verità. È in questo contesto che dobbiamo comprendere la
bellezza della liturgia.
2. La necessità
della formazione liturgica e l'arte della celebrazione.
In questa seconda
parte del documento si incontrano due grandi sezioni: la necessità di una seria
e vitale formazione liturgica (nn. 27-47) e l'Ars celebrandi (nn.
48-60).
2.1. All'inizio della prima
sezione, dedicata alla formazione, il Papa si domanda: come
recuperare la capacità di vivere pienamente l'azione liturgica? (cfr. n. 27). E
più avanti al n. 31, citando SC n. 10, afferma: se la liturgia è "il
culmine a cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui
scaturisce tutta la sua forza", si comprende la posta in gioco nella
questione liturgica. E qui vale la pena citare la seguente parte di questo
numero del documento: “Sarebbe
banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come
una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma
rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa
dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che
un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma
liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà
della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente
descritta dalla Lumen gentium. Per questo – come ho spiegato nella
lettera inviata a tutti i Vescovi – ho sentito il dovere di affermare che “i
libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo
VI e Giovanni Paolo II,
in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II,
sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”
(Motu Proprio Traditionis custodes, art. 1)”.
Si tratta, quindi, di un
problema ecclesiologico. Ci possiamo domandare: Quale visione di Chiesa ha il
Vaticano II? In poche, scarne ed essenziali parole, possiamo affermare che la
Chiesa è un mistero di comunione. In questo contesto, la celebrazione liturgica
è un atto comunitario e, al tempo stesso, personale, che richiede la
partecipazione libera e responsabile dei battezzati all'azione cultuale.
La non accettazione della riforma,
così come una comprensione superficiale di essa, non favorisce la ricerca delle
risposte adeguate alla domanda: come crescere nella capacità di vivere
pienamente l'azione liturgica? Abbiamo bisogno di una formazione liturgica
seria e vitale. La Lettera apostolica distingue e analizza poi i due aspetti
strettamente connessi di questa formazione: la formazione alla liturgia
e la formazione dalla liturgia (cfr. n. 34).
La formazione alla liturgia deve
superare l'ambito accademico, da lungo tempo fiorente, e trovare forme
accessibili a tutti i fedeli, affinché acquisiscano la capacità di comprendere
i testi delle preghiere, il dinamismo rituale e il loro valore antropologico
(cfr. n. 35). Ma la conoscenza che viene dallo studio è solo il primo passo per
poter entrare nel mistero celebrato. I ministri che presiedono le assemblee
liturgiche hanno una particolare responsabilità in questo compito formativo,
che potranno svolgere adeguatamente se vivranno essi stessi la celebrazione
come esperienza di fede e conformeranno la loro vita al mistero che celebrano
(cfr. n. 36).
Poi, e in questo contesto, il Papa sottolinea
l'importanza della formazione liturgica nei seminari. Oltre allo studio, i
seminaristi dovrebbero avere l'opportunità di sperimentare celebrazioni
esemplari anche dal punto di vista rituale che permettano loro di vivere la
vera comunione con Dio. “Tale esperienza è
fondamentale perché una volta divenuti ministri ordinati, possano accompagnare
le comunità nello stesso percorso di conoscenza del mistero di Dio” (n.
39).
E ora ci riferiamo alla formazione
liturgica dalla liturgia stessa o attraverso la liturgia, che è quella
che occupa più spazio nella Lettera apostolica. La conoscenza del mistero di
Cristo non consiste nell'assimilazione mentale di un'idea, ma in un reale
coinvolgimento esistenziale con una persona, Cristo (cfr. n. 41). Questa implicazione
esistenziale avviene – in continuità e coerenza con il metodo dell'Incarnazione
– attraverso la via sacramentale. La liturgia è fatta di cose, non di
astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, suoni, luci, odori, gesti,
silenzi, ecc. Possiamo dire che è tutto il
creato che viene assunto per essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo
incarnato, crocifisso, morto, risorto, e asceso al Padre (cfr. nn.
42-43).
La riforma liturgica è stata
necessaria, ma non è sufficiente. Occorre mettere in atto una formazione che
educhi a celebrare. In questo contesto, si ricorda che Romano Guardini
affermava che il primo compito della formazione liturgica è che l’uomo diventi nuovamente capace di simboli, capace di
leggere i simboli, qualcosa in cui l'uomo moderno è analfabeta. È un impegno che riguarda tutti, ministri ordinati e
fedeli. Il compito non è facile perché l’uomo moderno non solo non sa più
leggere i simboli, ma quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza. Ciò accade
anche con il nostro corpo, che è il primo ad essere coinvolto nell’azione
simbolica. Il corpo è simbolo perché è visibilità dell’anima spirituale
nell’ordine del corporeo. La nostra apertura al trascendente, a Dio, è
costitutiva: non riconoscerla ci porta inevitabilmente ad una non conoscenza
oltre che di Dio, anche di noi stessi. Basta vedere il modo paradossale con il
quale viene trattato il corpo, ora curato in modo quasi ossessivo inseguendo il
mito di una eterna giovinezza, ora ridotto ad una materialità alla quale è
negata ogni dignità. Il fatto è che non si può dare valore al corpo partendo
solo dal corpo. Ogni simbolo è nello stesso tempo potente e fragile: se non
viene rispettato, se non viene trattato per quello che è, si infrange, perde di
forza, diventa insignificante. Non abbiamo lo sguardo di Francesco
d'Assisi che guardava il sole e lo chiamava fratello. Si tratta di recuperare la capacità di porre e di comprendere i simboli
della liturgia. L’aver perso la capacità di comprendere il valore
simbolico del corpo e di ogni creatura rende il linguaggio simbolico della
liturgia quasi inaccessibile all’uomo moderno. Non si tratta, tuttavia, di
rinunciare a tale linguaggio: non è possibile rinunciarvi perché è ciò che la
Santissima Trinità ha scelto per raggiungerci nella carne del Verbo (cfr.
n. 44). La lettura simbolica non è una questione di conoscenza mentale, è
invece un'esperienza vitale (cfr. n. 45). Se le cose create sono parte
indispensabile dell'azione sacramentale, dobbiamo porci davanti ad esse con uno
sguardo nuovo, non superficiale, rispettoso, grato (cfr. n. 46). La liturgia
educa a una sana visione ecologica del mondo
Vorrei commentare la grave
affermazione di Guardini che ho appena citato, secondo cui l'uomo moderno è
“analfabeta" nella lettura dei simboli. Un filosofo di origine coreana
Byung-Chul Han, professore in una università di Berlino, ha recentemente
scritto un piccolo libro tradotto in diverse lingue, il cui titolo in italiano
è La scomparsa dei riti. I riti, dice l’autore, sono azioni simboliche,
che trasmettono e rappresentano quei valori e quegli ordini che mantengono
coesa una comunità. Il mondo di oggi soffre di una forte scarsità del
simbolico. E nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e metafore
generatrici di significato che danno stabilità alla vita. Sono le forme rituali
che, come la cortesia, rendono possibile, non solo un bel rapporto
interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato con le cose (edizione
italiana edita da Nottetempo, Milano 2021, cfr. pp. 11-27).
Il Papa pensa che nell'educazione
ad acquisire questa sintonia con i simboli della liturgia, i genitori, i nonni,
così come i parroci e i catechisti possano avere un ruolo importante. Molti di
noi hanno imparato da loro la forza dei gesti liturgici, come il segno della
croce, l'inginocchiarsi o le formule della nostra fede (cfr. n. 47).
2.2. L'ars celebrandi è un
modo per salvaguardare e crescere nella comprensione dei simboli della liturgia. Ci
muoviamo sempre nel settore del simbolico. E presupponiamo sempre ciò che
abbiamo detto sulla natura teologica della liturgia. Infatti, l'ars
celebrandi “non può essere ridotta alla mera osservanza di un apparato di
rubriche, né può essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia –
creatività senza regole" (n. 48).
Come ogni arte, l'ars celebrandi
richiede alcune conoscenze: la comprensione del dinamismo descritto dalla
liturgia (memoriale, presenza del mistero, per viverlo nella vita); l'armonia
con l'azione dello Spirito; la conoscenza delle dinamiche del linguaggio
simbolico (cfr. n. 49). Senza trascurare tutte le conoscenze tecniche, che
possono sempre essere utili, come, ad esempio, le tecniche
di comunicazione persuasiva, è necessario soprattutto rispettare la
natura della liturgia e l'azione dello Spirito in essa. Secondo R. Guardini,
citato più volte dal Papa, l'arte di celebrare è una "disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida;
un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere
e al nostro comportamento religioso”. È così che si impara l’arte del
celebrare. (cfr. n. 50).
L'ars celebrandi non
riguarda solo i ministri ordinati che presiedono la celebrazione. È una realtà
alla quale sono chiamati tutti i battezzati. La liturgia ci offre gesti e
parole che mettono ordine nel nostro mondo interiore, facendoci sperimentare
sentimenti, emozioni, atteggiamenti, comportamenti. La celebrazione liturgica è
un'azione che coinvolge il corpo nella sua totalità (cfr. n. 51). Il Papa
ricorda che tra questi gesti rituali che appartengono a tutta l'assemblea, il
silenzio occupa un posto molto importante. Non è un rifugio per nascondersi in
un intimo isolamento, come se la ritualità fosse una distrazione. Il silenzio
liturgico è il simbolo della presenza e dell'azione dello Spirito Santo, che
anima ogni azione celebrativa. Il silenzio ci aiuta a interiorizzare il mistero
celebrato (cfr. n. 52). Ogni gesto e ogni parola della celebrazione espressa
con "arte" forma la personalità cristiana del singolo e della
comunità (cfr. n. 53).
A questo
proposito, mi piace citare il filosofo francese Paul Ricoeur, il quale,
parlando di una particolare esperienza liturgica alla quale aveva partecipato,
affermava: "mi strappa dalla mia soggettività e mi offre non le mie parole
o i miei gesti, ma quelli della comunità"; e proseguiva: "Sono
contento di questa oggettivazione dei miei sentimenti: quando entro
nell'espressione cultuale [...] entro nella forma che mi forma"; e
conclude: "Sì, grazie alla liturgia vengo fondamentalmente strappato dalla
preoccupazione di me stesso" (Paul Ricoeur, La logica di Gesù. Testi scelti a cura di Enzo Bianchi,
Qiqajon, Magnano [BI] 2009, 87). Questa esperienza è possibile se la mente
concorda con la voce, se ci lasciamo guidare dal rito, parole e gesti, non
dalle nostre fantasie (cfr. SC, n. 90).
La Lettera apostolica si concentra poi sulla
responsabilità specifica che i ministri ordinati hanno nell'ars celebrandi.
Molte volte, il modo di vivere la celebrazione delle comunità è condizionato –
nel bene, e purtroppo anche nel male – dal modo in cui i parroci presiedono la
celebrazione: con austera rigidità o creatività smodata, frettolosi o lenti,
spensierati o eccessivamente raffinati, affabili o ieratici, ecc.
L'inadeguatezza di questi e di altri modelli ha una radice comune: "un
personalismo esagerato nello stile celebrativo che, a volte, esprime una
malcelata mania di protagonismo" (n. 54). Come dice il Vaticano II, “la liturgia è
azione sacra per eccellenza” (SC, n. 7). Se la liturgia è “actio”, fa
quello che dice, non dice quello che fa: avanzano, quindi, gli interventi
esplicativi. I tentativi di alcuni, poi, di trasformare i riti della liturgia
in riti "stravaganti", non funziona: festeggiare con paramenti
barocchi in latino o con il naso del clown e musica pop. Si tratta di
iniziative rituali opposte, ma con la stessa matrice: l'illusione che il
problema siano "questi" riti proposti dal libro liturgico. La
soluzione cambia secondo i gusti personali: alcuni preferiscono "fughe
retrò", all'indietro, e altri "sfoghi da cabaret", ma sono solo
due facce della stessa medaglia.
Sul tempo del
Covid-19 è stato scritto: "molti sacerdoti hanno scoperto la celebrazione
[dell'Eucaristia] senza la presenza del popolo. In questo modo, hanno
sperimentato che la liturgia è primariamente e soprattutto il culto della
maestà divina [...] Celebrando da soli non avevano più davanti agli occhi il
popolo cristiano, e così hanno potuto prendere coscienza che la celebrazione
della Messa è sempre rivolta a Dio Trinità" (https://www.hommenouveau.fr/3199/religion/exclu---covid-19-et-culte-chretien--br-une-lettre-du-cardinal-sarah.htm).
Meraviglia questa esaltazione della celebrazione eucaristica senza la presenza
del popolo. Noto che il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1329), tra i
nomi dati all'Eucaristia, cita quello di "Assemblea eucaristica [sinassi], in quanto
l'Eucaristia viene celebrata nell'assemblea dei fedeli, espressione visibile
della Chiesa". Il servizio dei ministri non va inteso separatamente o al
di sopra di quello di tutta l'assemblea, ma va inteso in una visione unitaria e
globale: nella Chiesa riunita che celebra, ciascuno interviene secondo ruoli
diversi (cfr. 1 Cor 12,4-11.28-30; Rm 12,6-8). Il sacerdote che deve celebrare
da solo per capire il senso della messa probabilmente non ha capito il
significato del suo sacerdozio che è "ministeriale". Il ministero ordinato, nella comunità e davanti alla comunità, non
esiste come struttura parallela rispetto alla ministerialità di alcuni e alla
partecipazione di tutti. È giusto, anzi necessario, distinguere le rispettive
competenze, ma allo stesso tempo va sottolineata l'unità dell'azione rituale.
A questo
proposito, il Papa dice: “Il presbitero vive la sua tipica partecipazione alla
celebrazione in forza del dono ricevuto nel sacramento dell’Ordine: tale
tipicità si esprime proprio nella presidenza” (n. 56). Perché questo
servizio sia fatto bene – con arte – è di fondamentale importanza che il
sacerdote sia accuratamente consapevole di essere una presenza particolare del
Risorto (cfr. SC, n. 7). Il Risorto è il protagonista e non la nostra
immaturità. E il Papa aggiunge qui una bella affermazione: “Presiedere
l'Eucaristia è immergersi nella fornace dell'amore di Dio. Quando questa realtà
è compresa o anche solo intuita, non abbiamo certo più bisogno di un direttorio
che ci imponga un comportamento corretto" (n. 57).
E ormai verso la fine del
documento, si afferma: “Divenuti strumenti per
far divampare il fuoco del suo amore sulla terra, custoditi nel grembo di
Maria, Vergine fatta Chiesa (come cantava san Francesco), i presbiteri si
lasciano lavorare dallo Spirito che vuole portare a compimento l’opera che ha
iniziato nella loro ordinazione" (n. 59). Il sacerdote che presiede: non siede su un trono; non ruba la
centralità dell'altare, segno di Cristo; non può vantarsi del ministero che gli
è stato affidato; “non può narrare al Padre
l’ultima Cena senza esserne partecipe. Non può dire: ‘Prendete, e mangiatene
tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi’, e non vivere lo
stesso desiderio di offrire il proprio corpo, la propria vita per il popolo a
lui affidato. È ciò che avviene nell’esercizio del suo ministero” (n.
60). Parole forti e chiare che ci interpellano e ci fanno capire che la
liturgia ben celebrata è la fonte primaria della spiritualità sacerdotale come
lo è di tutti i battezzati.
In conclusione, possiamo dire che
il Papa colloca in qualche modo quanto detto nel testo della Lettera nel
contesto dell'anno liturgico e della celebrazione domenicale: "Vi invito a
riscoprire il senso dell'anno liturgico e del giorno del Signore" (n. 63).
E chiude il documento invitando anche ad abbandonare le polemiche e mantenere
la comunione.
Come abbiamo visto, la Lettera apostolica Desiderio desideravi non è un trattato teologico, giuridico
o disciplinare, ricco di norme e rubriche, né è un trattato sugli abusi
liturgici. Si tratta, invece, di un documento fresco, dal tono pastorale e
spirituale, anche meditativo, una sintesi vera e adeguata di ciò che la
liturgia è nella vita della Chiesa e di ciascuno
di noi. Con questo documento siamo invitati a recuperare il gusto del celebrare
insieme, lasciandoci trasformare dallo Spirito Santo che opera nella liturgia.
In tal modo saremo capaci di innalzare con la voce di Cristo la lode, la
supplica e il rendimento di grazie al Padre.