Se adesso il vino segna una frontiera fra i due Mediterranei,
quello ebraico- cristiano e quello musulmano, in origine non era così. Tant’è
che i protagonisti delle Mille e una notte, la celebre raccolta di fiabe
mediorientali del X secolo, brindano spesso e volentieri con il nettare
fermentato dell'uva e di altri frutti. Perché, in realtà, nelle sure meccane,
quelle che precedono l’Egira, cioè il trasferimento di Maometto dalla Mecca a
Medina, che nel 622 d.C. dà inizio all’era musulmana, non c'è traccia della
proibizione del vino. La sedicesima sura, detta An-Nahl (“Le api”), dice
addirittura: “Pure dai frutti dei palmeti e delle vigne ricavate bevanda
inebriante e cibo eccellente”.
Molte interdizioni compaiono invece nelle sure medinesi, quando
l'Islam diventa religione di Stato, caricandosi di valenze politiche e
identitarie. “In verità col vino e il gioco d'azzardo, - dice la quinta sura, -
Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal ricordo
di Allah”. Ma i musulmani del tempo non interpretano questa rivelazione come un
vero e proprio divieto. Così capita di frequente che fedeli ubriachi assistano
ai riti religiosi diventando molesti. Per evitare queste pericolose derive
dell'ebbrezza Maometto dà un giro di vite con una ulteriore rivelazione. “Oh
voi che credete, non accingetevi alla preghiera in stato di ebbrezza, ma
attendete di poter sapere quello che dite” (Cor IV, 43). Ma nemmeno
questa volta le persone si danno una regolata. E addirittura, alla piaga
dell'alcol si somma quella del gioco d'azzardo. All'epoca i seguaci del Profeta
impazziscono per il maysir, la competizione con le frecce che ha anche
un tradizionale valore divinatorio. Allora Maometto si vede costretto a usare
il pugno di ferro: “Oh voi che credete! In verità il vino, il gioco d'azzardo,
le pietre idolatriche, le frecce divinatorie, sono sozzure, opere di Satana; evitatele,
così che per avventura possiate prosperare” (Ibid. V, 90). È allora che
la rinuncia al vino diventa un comportamento che fa la differenza tra i
credenti della Mezzaluna e tutti gli altri popoli.
Tutte le scuole coraniche del tempo e quelle che si sono susseguite
convengono che con la quinta sura il Profeta abbia vietato senza appello il
vino. Ma di quale vino si tratta? Molto probabilmente non quello d’uva, ma
quello prodotto dalle classi popolari attraverso la fermentazione di diversi
tipi di datteri. A quel tempo si producono ben cinque tipologie di vino. Con
uva, datteri, miele, farina di grano e orzo. Insomma, la scure maomettana
finisce per cadere anche sul semplice succo d'uva non fermentato e in
particolare sugli alcolici senza eccezione. E i musulmani più rigorosi non si
azzardano nemmeno a toccare le bottiglie che contengono le bevande di Satana. E
tantomeno sono disposti a servirle ad altri. Perché l'impurità di queste
sostanze è simbolica prima ancora che materiale. Ma anche nelle religioni esiste
il lieto fine. Infatti, nella quarantasettesima sura Muhammad ci dice
che dopo la morte il buon musulmano verrà premiato con il “vino paradisiaco”. Per
dissetarsi, infatti, il defunto avrà a disposizione liquidi in abbondanza: “Vi
saranno fiumi d'acqua incorruttibile, e fiumi di latte dal gusto immutabile, e
fiumi di vino delizioso per chi beve, e fiumi di miele purissimo” (Ibid. XLVII,
15).
Fonte: Elisabetta Moro – Marino Niola, Mangiare come Dio
comanda (Vele 213), Giulio Einaudi editore, Torino 2023, pp. 110-112.