Frequentemente
il gesto è considerato come la traduzione corporea di un’intenzione o un
ragionamento che lo precede: “Voglio manifestarti il mio bene, potrei dirtelo,
scriverlo, ma decido di raffigurare questo mio pensiero spiegandolo con una
carezza”. Niente di tutto questo. I gesti non sono spiegazioni di pensieri, ma
pensieri e desideri nella loro più originaria forma corporea; non sono
espressioni al seguito di una precedente riflessione, ma prime intenzioni del
nostro corpo, aventi proprietà e sfumature che nessuna parola o nessuno scritto
riusciranno a rendere. “Abbracciare” è ben più di dire o scrivere “ti voglio
bene”. Uno schiaffo sul volto è decisamente più pesante di offernsivi insulti
scritti o verbali. Nei gesti troviamo non solo il corpo che ingenuamente si
esprime, appunto, grazie al “corporaggio”, poiché essi sono il risultato dell’educazione
(“saluta!”, “non mettere le dita nel naso!”, “non gridare!”) e quindi della
trasmissione della tradizione gestuale di una famiglia, come del resto sono
influenzati dal costume tipico di una società.
Fonte: G. C.
Pagazzi, Questo è il mio corpo. La grazia
del Signore Gesù, EDB 2016, 61.