Ml 3,19-20a: Sorgerà
con raggi benefici il sole di giustizia
Sal 97 (98): Il
Signore giudicherà il mondo con giustizia
2Ts 3,7-12: Ordiniamo
di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità
Lc 21,5-19: Con la
vostra perseveranza salverete la vostra vita
Il Sal 97 è un cantico gioioso al Signore che viene come
re e giudice a giudicare il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine.
Sono invitati a partecipare a questo inno esultante tutti gli abitanti del
mondo e l’intero cosmo: i mari, i fiumi, le montagne. La Chiesa dà al salmo un
significato messianico e lo interpreta come profezia della vittoria finale di
Dio sulle potenze malefiche e predizione della salvezza che ne conseguirà per
tutti i popoli. Il ritornello, ispirandosi a Ap 22,20, ci invita a chiedere che
questo intervento salvifico e definitivo del Signore si compia ovunque e per
tutti gli uomini. Alla luce di questo salmo,
la fine del mondo e il giudizio universale, temi che ci propone oggi la
parola di Dio, sono da considerarsi come un giorno di festa in cui Dio viene a
stabilire definitivamente la giustizia.
Questo “giorno del Signore”, così lo chiama la Bibbia, è
descritto dalla prima lettura come “un giorno rovente come un forno”, in cui
Dio annienterà i superbi e gli ingiusti, ma salverà coloro che hanno timore del
suo nome, e cioè quelli che servono Dio con fedeltà. Per questi “sorgerà raggi
benefici il sole di giustizia” (cf anche I Vespri, ant. al Magn). Il vangelo
raccoglie le parole di Gesù sugli ultimi tempi, di cui questi ne rivela
l’incertezza dell’ora. Di qui l’invito del canto al vangelo: “Risollevatevi e
alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (cf Lc 21,28). In attesa
del compimento della vicenda terrena, ci viene dato come codice di
comportamento l’esortazione di san Paolo ai cristiani di Tessalonica: in attesa
del trionfo della giustizia, in attesa che il male sia vinto, l’Apostolo ci
invita a vivere la nostra vita nella pace lavorando, cercando di non essere di
peso agli altri, guadagnandoci così il nostro destino. Questa esortazione
combacia con l’affermazione di Gesù che conclude il discorso sulla fine dei
tempi con queste parole: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”
(II Vespri, ant. al Magn.).
La perseveranza è frutto della grazia, è frutto dello
Spirito, ma è anche risposta coerente e quotidiana della nostra volontà al dono
di Dio. La vita cristiana non è passiva attesa di doni che piovono dal cielo; è
invece ricerca appassionata, impegno generoso che si traduce in un concreto
sforzo per testimoniare la giustizia e la salvezza di Dio. In questo mondo
siamo di passaggio. Tante volte invece le realtà terrene ci si offrono in tutta
la loro forza seducente, in modo che non è facile mantenersene liberi. Il
nostro sguardo deve rivolgersi verso quei beni che ci procurano “felicità piena
e duratura” (colletta). A questo proposito, sant’Agostino dice che il cristiano
deve “servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo” (Ufficio delle letture,
2a lettura). Dio ha progetti di pace su di noi, non progetti di
sventura (cf ant. d’ingresso, Ger 29,11). Pertanto, il linguaggio immaginoso
che usa la Scrittura per descrivere il giorno finale non deve incutere paura.
Non serve vivere in attesa ansiosa e oziosa del futuro. L’attesa cristiana si
chiama speranza, la quale non è né ansiosa né oziosa ma attiva. La vita è
amministrazione di un dono che ci è stato affidato, quindi è responsabilità.
Bisogna prendere sul serio il tempo presente. Siamo chiamati non all’evasione
dal mondo, ma a costruire qui e ora le premesse che preparano l’avvento
definitivo del regno di Dio.
Il Signore che verrà alla fine dei tempi come giudice è
realmente presente nell’eucaristia sotto gli umili segni sacramentali del pane
e del vino. Nell’eucaristia quindi è racchiusa e già in atto la beata speranza
che alimenta l’attesa e il desiderio della Chiesa e di ogni credente nel
ritorno del Signore. Perciò gridiamo ai quattro venti con gli antichi
cristiani: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).