DOMENICA
I DI AVVENTO (A)
Andiamo
con gioia incontro al Signore
Is
2,1-5; Sal 121 (122); Rm 13,11-14; Mt 24,37-44
Il Sal 121 è
uno dei più celebri e più appassionati canti delle ascensioni a Gerusalemme. E’
un saluto rivolto dai pellegrini alla città santa, e riflette l’emozione che
provavano i pellegrini ogni volta che giungevano in vista della città, sede del
tempio, luogo sacro della presenza di Dio. In questa domenica I di Avvento,
ricordiamo che noi tutti siamo in cammino verso la Gerusalemme celeste e ne
esprimiamo la gioia quando diciamo col salmista: “Quale gioia, quando mi
dissero: «andremo alla casa del Signore»”. All’inizio dell’Anno liturgico siamo
invitati a riprendere con rinnovato coraggio il nostro cammino verso la patria
del cielo, nel gioioso contesto di comunione e di pace di cui parla il salmo,
ma anche in attesa vigilante del Signore che viene.
L’Avvento
ricorda le due venute del Signore e le mette in intimo rapporto, la prima nel
mistero della incarnazione e la seconda alla fine dei tempi: “Al suo primo
avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli portò a compimento la
promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Verrà di nuovo nello
splendore della gloria e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora
osiamo sperare vigilanti nell’attesa” (prefazio dell’Avvento I). Questa I
domenica è tutta quanta incentrata sulla venuta del Signore alla fine dei
tempi, alla quale siamo invitati a prepararci. Quando facciamo delle scelte
nella vita di ogni giorno, le facciamo avendo davanti l’immagine di un futuro
che intendiamo raggiungere: economico, sociale, culturale, ecc. Oggi siamo
invitati a farle guardando anche al futuro di Dio, di un Dio che è venuto,
viene e verrà per noi.
Il brano
evangelico raccoglie alcune parole di Gesù in cui egli afferma che l’incontro
con lui alla fine del nostro pellegrinaggio terreno sarà improvviso e inatteso.
Il testo evangelico è tutto focalizzato sull’incertezza del quando, che viene
ripetuta tre volte: “vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il
Signore vostro verrà […] se il padrone di casa sapesse a quale ora […] nell’ora
che non immaginate…”. Siamo invitati quindi a risvegliare in noi uno spirito
vigilante. Non si tratta di una vigilanza passiva e inoperosa, ma attiva e
dinamica; dobbiamo andare incontro al Cristo che viene e dobbiamo farlo “con le
buone opere” (colletta). Tutta la vita deve essere una preparazione prolungata
e fedele ad accogliere Cristo che viene. Un messaggio simile lo troviamo nella
prima lettura, in cui il profeta ci esorta a percorrere il nostro cammino
“nella luce del Signore”. Nella lettura apostolica, san Paolo, riprendendo il
simbolismo della luce e, dopo aver ricordato che siamo nella notte in attesa
dell’alba luminosa dell’avvento di Cristo, ci invita a svegliarci perché il
giorno della salvezza è vicino. In questo contesto, l’Apostolo aggiunge che
dobbiamo gettare via le “opere delle tenebre” e comportarci “come in pieno
giorno”. Il futuro verso il quale camminiamo deve innestare nel presente la
tensione per l’impegno nei valori che, vissuti nel presente, conducono al
possesso di quelli futuri e definitivi. Ogni attimo della nostra vita è
impastato di eternità. Perdere la memoria del futuro equivale ad appiattire il
presente. Il cristiano essendo un uomo di memoria, è un uomo di attesa. La
nostra esistenza di credenti è destinata a svolgersi, come è naturale, in seno
alla storia concreta degli uomini ma allo stesso tempo è chiamata a far lievitare
la storia con la novità della speranza, cioè con la fede nel progetto di
salvezza che Dio compie nella storia.
La
partecipazione all’eucaristia è “pegno di salvezza eterna” (orazione sulle
offerte), ci sostiene nel nostro cammino e ci guida ai beni eterni (cf orazione
dopo la comunione).