Dal vortice di esperimenti
postconciliari alla routine pastorale di oggi, sul compito di onorare
qualitativamente le liturgie domenicali si è addensata l’applicazione di ogni
tipo di strategia additiva, trascinata dalla parola d’ordine della
“partecipazione attiva”, equivocata molto spesso a sua volta come immediatezza
emotiva del culto o comprensione cognitiva del rito. Ne è scaturita quella cura
molto ingenua di una liturgia affollata di espedienti a ribasso, più vicini
alla logica dell’intrattenimento che ai processi della mistagogia.
A complicare le cose ci si è
messo questo vento di ritorno per predilezioni neotridentine che in realtà si
innesta, per quanto inconsapevolmente, sulla stessa logica di incentivazione
emotiva dell’ordinario cabaret liturgico in diffusione quotidiana. Il “senso
del mistero” tanto rivendicato resta una sigla altrettanto pretestuosa che
quella della “partecipazione attiva”. Tutto in realtà è molto più misterioso di
questa chiara, chiarissima, attrazione per un immaginario di sicurezza
psichica.
Ho l’impressione che stiamo
comprendendo soltanto adesso, a cinquant’anni dal Concilio, la densa posta in
gioco della riforma liturgica e la competenza necessaria a dare forma eloquente
all’estetica del segno che le corrisponde.
Giuliano Zanchi, Liturgia ed esperienza cristiana, in “Celebrare in spirito e
verità. L’esperienza spirituale della liturgia”, Edizioni Glossa, Milano 2017,
pp. 35-36