NATALE
DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2017
Messa
della notte
Is 9,1-3.5-6; Sal 95
(96); Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
Il brano evangelico
della notte di Natale illustra con scarna e suggestiva semplicità il contesto
storico e geografico della nascita di Gesù. Il Salvatore nasce in un momento
ben determinato della storia umana, in un luogo povero e sconosciuto. Testimoni
di questo evento sono stati alcuni umili pastori che vegliavano di notte
facendo la guardia al loro gregge. Un angelo è apparso ai pastori, annunciando
la portata salvifica dell’avvenimento: “Oggi, nella città di Davide, è nato per
voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. E’ un “oggi” vero spartiacque della
storia. Il tempo dell’attesa è finito: il Salvatore, il promesso discendente di
Davide, è nato, ed è nato oggi. La liturgia di questa notte ripete l’avverbio
di tempo “oggi”, che nella sua semplicità esprime il dinamismo salvifico
dell’economia sacramentale, eco e continuazione dell’economia storico-salvifica
(cf. antifona d’ingresso, salmo responsoriale, canto al vangelo, antifona alla
comunione). Nella notte di Natale siamo invitati a fare nostra la gioia dei
tempi messianici e a ringraziare Dio “nel più alto dei cieli” per le meraviglie
da lui compiute a favore degli uomini che egli ama. La gioia natalizia ha come
fondamento il fatto che la salvezza si realizza nell’oggi.
Notiamo i tre titoli
dati dall’angelo a Gesù: Salvatore, Cristo e Signore. Il ritornello del salmo responsoriale riprende le parole
dell’angelo ai pastori: “Oggi è nato per noi il Salvatore”. Come sottolinea il riferimento
alla città di Davide, questo Salvatore si identifica col Messia, il Cristo. Non
si tratta perciò di una salvezza qualunque, ma di quella messianica in cui si
verifica la salvezza definitiva. Anche il brano profetico della prima lettura
preannuncia una prodigiosa liberazione e l’instaurazione di un regno di pace e
di giustizia ad opera di un fanciullo della stirpe davidica. Il brano paolino
della seconda lettura parla della “manifestazione della gloria del nostro
grande Dio e Salvatore Gesù Cristo”. Gesù riceve il nome di Signore (Kyrios), espressione che sta a
significare il nome di Dio. Gesù ha applicato a se stesso il Sal 110, dove
Davide chiama il Messia suo Signore.
La moltitudine
dell’esercito celeste loda Dio e dice: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e
sulla terra pace agli uomini che egli ama”. La nascita di Gesù è la
manifestazione della gloria divina al mondo. Nelle teofanie dell’Antico
Testamento l’autorivelazione di Dio agli uomini era parziale e avveniva fra
spaventosi fenomeni cosmici. A Natale il mondo divino si automanifesta in modo
compiuto e nella semplicità di un Bambino in un’atmosfera di gioia che
coinvolge cielo e terra. Dio si manifesta sotto sembianze umane. Si tratta
quindi di riconoscere il mistero della presenza di Dio nelle trame degli eventi
umani, di credere in Dio a partire da una realtà che agli occhi del nostro
corpo appare puramente umana. E’ in questa ottica che possiamo interpretare i
piccoli segni che accompagnano il grande segno, il Bambino: le fasce, la mangiatoia…
I termini “gloria” e “pace” sono intimamente collegati e si illuminano a
vicenda: la “gloria” sale finalmente a Dio dalla terra, perché in Cristo si
attua il suo disegno di amore e di salvezza; la “pace” esprime la pienezza dei
beni messianici, fra cui anche l’effettiva rappacificazione degli uomini fra di
loro.
Convocati per la
gioiosa celebrazione della liturgia natalizia siamo invitati a testimoniare
“nella vita l’annunzio della salvezza, per giungere alla gloria del cielo”
(preghiera dopo la comunione).
NATALE
DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2017
Messa
dell’aurora
Is 62,11-12; dal Sal 96 (97); Tt 3,4-7; Lc 2,15-20
La Messa natalizia
dell’aurora ci propone ancora un brano evangelico tratto da san Luca, che fa
seguito a quello letto nella messa della notte. In questa seconda parte del
racconto, i protagonisti sono i pastori e Maria. I pastori vanno a Betlemme ad
adorare il Bambino e poi annunciano ciò che hanno visto. Maria appare in
meditazione silenziosa davanti al bambino “che giace in una mangiatoia”.
Una volta gli angeli si
sono allontanati dai pastori, essi si affrettarono a recarsi a Betlemme:
“Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto
conoscere”. All’annuncio segue l’ubbidienza della fede. I pastori vogliono
vedere l’evento. La parola del
Signore è sempre un evento. Per questo si affrettano e trovano Maria e Giuseppe
e il bambino. Quanto è stato annunciato dall’angelo è vero e se lo dicono l’un
l’altro e raccontano ciò che di quel bambino è stato detto loro. Luca parla di
“tutti quelli che udivano…” La scena
quindi si allarga: è agli abitanti di Betlemme, a tutti coloro che trovano nel
loro cammino che i pastori raccontano quanto è avvenuto. I pastori se ne sono
andati “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”.
Il loro andare diventerà, nel corso del Vangelo e degli Atti degli Apostoli,
paradigma della diffusione del Vangelo tra le genti. Il messaggio infatti è per
tutti gli uomini che Dio ama (cf. Lc 2,14).
L’atteggiamento di
Maria, l’altra protagonista del racconto lucano, si differenzia da quello degli
altri: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo
cuore”. La parola “meditare” merita qui una particolare attenzione. Nel Nuovo
Testamento è usata soltanto da Luca nel suo vangelo e negli Atti. Il
significato originario e fondamentale del termine è “raccogliere”, “collegare”,
“mettere a confronto” eventi e parole, realtà e mistero. Viene da pensare,
innanzitutto, che Maria mettesse le cose udite dai pastori in relazione con
quello che le era già stato rivelato sul suo bambino. E’ poi probabile che ella
collegasse questi fatti con quello che i padri e i profeti avevano detto nella
Scrittura. Maria custodiva tutte queste cose non nella mente, ma “nel cuore”,
cioè nel luogo più segreto e interiore della persona, là dove lo spirito prende
contatto con le cose di Dio, le riconosce e le conserva incancellabili. Ecco
quindi che Maria vive una magnifica esperienza di ascolto, rendendosi
disponibile in un crescendo di fede e di comprensione del mistero della
salvezza in Gesù, a tutte le mediazioni autorevoli, anche nella loro apparente
irrilevanza e umiltà; fino a farsi ascoltatrice della Parola viva del suo figlio
Gesù. Fin d’ora Maria è il tipo di ogni vero uditore della parola di Dio. Maria
è la “vergine dell’ascolto sapienziale” perché, come il sapiente biblico,
ricorda quanto Dio le ha donato di vivere, medita per riconoscere negli eventi
vissuti i segni della misericordia divina, di cui ci parla san Paolo nella
seconda lettura della messa.
In questo mattino di
Natale, anche noi siamo invitati a fare proprio come i pastori: andare,
trovare, vedere, riferire sono i verbi dell’accoglienza e della testimonianza.
La loro esperienza, le loro azioni altro non sono che l’immagine viva di quello
che significa credere nel Signore Gesù. Come Maria, anche noi siamo invitati a
contemplare il mistero del Verbo fatto carne, conoscere con la fede la
profondità del mistero e viverlo con amore intenso e generoso (cf. preghiera
dopo la comunione).
NATALE
DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2017
Messa del
giorno
Is 52,7-10; Sal 97
(98); Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
Tra le letture bibliche
della Messa del giorno di Natale, emerge lo splendido brano della prima pagina
del vangelo di Giovanni, testo sobrio e solenne al tempo stesso, di profonda
dottrina cristologica, vero antidoto contro ogni eventuale lettura
sentimentale, fatua e consumistica del mistero natalizio. Oggetto dei 18
versetti del prologo giovanneo è Gesù Cristo, colto nelle sue diverse
dimensioni.
Anzitutto meritano una
particolare attenzione le prime battute del prologo: “In principio era il
Verbo…” Il termine “principio” è accompagnato dal verbo essere al tempo
imperfetto (“era”). In questo modo, Giovanni intende affermare che una realtà
sussiste indipendentemente dai condizionamenti imposti dal decorrere del tempo.
Infatti quando l’evangelista vuole significare la delimitazione temporale
utilizza i verbi “essere fatto” per dire che una cosa ha avuto inizio in un
determinato momento, e “diventare” per alludere a qualche aspetto della
mutabilità. Ecco quindi che l’espressione giovannea intende dire che il Verbo
era precedentemente all’esistere del tempo, all’ “in principio” in cui
l’esistente ha preso inizio, dunque da sempre, dall’eternità. In questo modo,
Giovanni ci mostra che il Cristo ingloba in sé non solo l’orizzonte dell’antica
Alleanza ma anche quello della creazione.
Questo “Verbo” eterno
“si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. “Carne”, senza ulteriori
specificazioni, non significa semplicemente uomo, ma l’uomo legato alla terra,
debole e caduco. Si direbbe che Giovanni intenda sottolineare tutta la diversità
e distanza fra il divino e l’umano. Il Verbo che era “presso Dio” ora è “fra
noi”, non solo vicino a noi ma pienamente partecipe della nostra umanità. Nel
linguaggio biblico “carne” non significa il corpo dell’uomo contrapposto allo
spirito, ma l’uomo intero colto nella sua caducità, nella sua debolezza, nel
suo essere consegnato alla morte. Possiamo quindi affermare che il cosmo e la
storia, lo spazio e il tempo, le cose e l’uomo, l’essere tutto acquistano nel
mistero dell’Incarnazione un senso perché in essi si inserisce il Verbo eterno
di Dio.
Qual è l’atteggiamento
dell’uomo dinanzi a questo mistero? Giovanni afferma che il Verbo “venne fra i
suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato il
potere di diventare figli di Dio…” Dinanzi a questo mistero la reazione è
duplice: il rifiuto aggressivo o l’accoglienza fedele. Giovanni qualche
versetto prima usa l’espressione: “il mondo non l’ha riconosciuto”.
“Riconoscere” e “accogliere” sono due verbi importanti che il seguito del vangelo
di Giovanni chiarisce. Riconoscere non è solo ascoltare la parola di Gesù e
neppure solo capirne il senso, ma comprendere che le sue parole provengono dal Padre (cf. anche la seconda lettura).
Si tratta quindi di riconoscere, ascoltando le parole e vedendo i segni da lui
compiuti, che Gesù è il Figlio che viene dal Padre: è dunque il mistero della
persona di Gesù, la sua origine, che va compresa e riconosciuta. E accogliere
implica apertura, disponibilità e sequela.
Nella colletta della
messa, riallacciandoci al v. 12 del prologo, chiediamo a Dio che “possiamo
condividere la vita divina di suo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra
natura umana”.