Is 61,1-2.10-11; Lc
1,46-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Oggi il salmo
responsoriale è costituito da un brano del Magnificat.
Si tratta della preghiera per eccellenza di Maria, il canto dei tempi
messianici nel quale confluiscono l’esultanza dell’antico e del nuovo Israele.
Maria, nel suo cantico, è cosciente dei legami che la stringono alla comunità
del popolo di Dio. La Madre di Gesù proclama che ciò che Dio ha fatto nella sua
persona, lo ha fatto per se stessa e per tutto il popolo dei credenti.
Pertanto, la grazia profusa in Maria deve ridondare a beneficio dell’intera
Chiesa del popolo di Dio. Ogni giorno alla sera cantando il Magnificat la Chiesa riprende le parole
della Madre del Signore per manifestare la propria speranza nell’adempimento
delle promesse divine in favore dell’umanità.
Le tre letture bibliche
dell’odierna domenica contengono altrettanti messaggi, i quali sono da
considerarsi complementari. Giovanni Battista annuncia che il Messia viene tra
noi come uno “sconosciuto”. Isaia lo presenta come Messia dei “poveri”. Paolo
ci invita a “gioire” per la venuta del Messia e ad andargli incontro. Questi
temi si collocano come un prolungamento naturale del messaggio della domenica
precedente: la gioia che scaturisce dal cuore dell’uomo che riconosce e
accoglie Cristo che viene e che è presente nella storia esige una condivisione
con i fratelli e, in particolare, un atteggiamento di servizio ai più poveri,
come naturale componente della conversione e logica conseguenza dell’incontro
con Cristo. Priva di questi segni, la conversione stessa si esaurisce in una
sorta di velleitarismo spiritualistico, destinato a rimanere infruttuoso.
Il tema della gioia è
presente già nell’antifona d’ingresso: “Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo
ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino” (Fil 4,4.5). Lo stesso tema troviamo
nell’orazione colletta e in qualche antifona della Liturgia delle ore. La gioia di cui parlano i testi odierni non è
una chimera e neppure un sentimento passeggero frutto di un’emozione o di una
esaltazione momentanee; è invece una realtà profonda che procede dall’essere
stati salvati e dal sapersi, perciò, in pace con “il Dio della pace” (1Ts
5,23), cioè inseriti in quella nuova ed eterna alleanza inaugurata nella storia
umana con l’apparizione del Figlio di Dio. È questa presenza, questa
“vicinanza”, anzi questa intimità di Dio con l’uomo, oramai liberato, a determinare
la gioia autentica, a inaugurare la vera “festa” cristiana che non conosce
tramonto.
La comunione con
Cristo, che realizza in pieno la “visita” di Dio al suo popolo per salvarlo non
può rimanere un fatto intimistico, che si esaurisce in una sorta di sterile
soddisfazione o di appagamento interiore. Per il fatto che Dio è Padre di tutti
e vuole tutti salvi, essa non può non estendersi agli altri. Gesù è mandato
“per portare il lieto annuncio ai poveri”, per annunciare l’intervento di Dio
che salva tutti coloro che sono nella tribolazione o nel bisogno: gli affamati,
i prigionieri, coloro che hanno il cuore spezzato, per “promulgare l’anno di
misericordia del Signore”. Questo “anno
di misericordia” si riferisce all’anno del giubileo (cf. Lv 25), quell’anno
cinquantesimo in cui venivano condonati i debiti e ciascuno rientrava in
possesso delle proprietà che aveva dovuto alienare. Il giubileo intende
ricostituire quindi la condizione originaria d’integrità delle persone
cancellando tutto quello che aveva potuto guastarla. È una prospettiva stupenda
secondo la quale comprendere la vita e la missione di Gesù: egli è venuto per
liberare l’uomo da ogni malattia e infermità e riportarlo all’integrità della
sua condizione iniziale, quando era stato creato a immagine e somiglianza di
Dio (cf. Gen 1,26-27).