Is 63,16b-17.19b; 64,2-7; Sal 79 (80); 1Cor 1,3-9; Mc
13,33-37
Il Sal 79 è una
fiduciosa supplica a Dio perché intervenga a salvare il suo popolo. Il salmista
ricorda le sollecitudini divine per il suo popolo, paragonandolo ad una vite
che, trapiantata dall’Egitto, ha occupato tutto il paese. Ma oggi la sua cinta
è abbattuta, ogni viandante ne fa vendemmia e il cinghiale la devasta. Ecco
allora che nel cuore dell’orante affiora una speranza in un re ideale, “il
figlio dell’uomo” che Dio stesso ha preparato perché ritornino il sorriso e la
pace in Israele. Riprendendo questo salmo in Avvento, diamo voce alle speranze
e alle preghiere di tutti gli uomini che condividono con noi l’attesa del
compimento definitivo della salvezza: “Signore, fa’ splendere il tuo volto e
noi saremo salvi”. L’Avvento è il tempo della speranza degli uomini e di tutta
la creazione.
Il tempo d’Avvento
collega la venuta di Cristo a Betlemme con l’attesa del suo secondo avvento
glorioso alla fine dei tempi: il Natale è considerata già una festa di trionfo
connessa col trionfo redentore della croce e con quello finale del ritorno di
Cristo. L’Avvento si presenta quindi come un tempo di attesa del compimento
della salvezza: nell’attesa gioiosa della festa della nascita del Redentore,
siamo orientati verso il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi.
L’Avvento intende suscitare in noi la nostalgia di Dio.
In questa prima
domenica d’Avvento, la parola d’ordine, ripetuta per ben quattro volte nel
breve brano evangelico, è “vegliate!”, siate pronti ad accogliere il Signore
che viene per compiere l’opera della salvezza! Come i servi di cui parla il
vangelo d’oggi, anche a noi è stato affidato un compito e abbiamo ricevuto
molteplici doni di grazia per portarlo a termine. Vegliare vuol dire essere
pronti a rendere conto al Padrone della gestione di quanto abbiamo ricevuto da
lui. Bisogna vegliare consapevoli del peso di eternità di ogni venuta, di ogni
istante che ci è donato. Gesù non dice cosa farà il padrone se, giungendo
all’improvviso, troverà i servi addormentati, ma non c’è nemmeno bisogno di annunciare
una qualsiasi punizione; l’essenziale in questo caso è il fallimento doloroso
del proprio compito. Ci era stato affidato un incarico ed era proprio quello
che dava senso alla nostra vita; averlo dimenticato significa che la nostra
esistenza precipita nell’inutilità, nell’amarezza del vuoto. La vita cristiana
prende inizio dalla prima venuta del Signore, si sviluppa come cammino verso la
seconda e si conclude nell’effettivo incontro con il Signore. Non possiamo
mancare a questo appuntamento.
Nella seconda
lettura, san Paolo ci ricorda che, nell’imprevedibilità del momento preciso del
ritorno del Signore, la vigilanza deve diventare impegno e testimonianza
davanti al mondo, come tra i cristiani di Corinto a cui è indirizzata la sua
lettera: “La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente,
che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del
Signore nostro Gesù Cristo”. Vivere da cristiani significa assumere
responsabilmente un compito che ci è stato affidato. Ma nel adempimento di
questo compito non siamo soli. Nel brano della prima lettura, il profeta Isaia
è consapevole della radicale incapacità dell’uomo di salvarsi da solo. E’
necessario che Dio intervenga in nostro aiuto con l’azione trasformante della
sua grazia: Egli va incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si
ricordano delle sue vie. La colletta del giorno riprende questo concetto quando
si rivolge a Dio affinché “susciti in noi la volontà di andare incontro con le
buone opere al Cristo che viene…”