Nel corso del tempo, la veste
(la casula), che originariamente giungeva ai talloni da tutti i lati, subì
delle variazioni nella lunghezza sulle braccia e sulle gambe. Divenne un
indumento semi-rigido, foderato, che non copriva alcuna parte delle braccia e
andava indossato allacciandolo sui fianchi.
[…]
Le norme in vigore circa l’uso
delle vesti, derivanti dalle istruzioni di san Carlo Borromeo e chiarite nel Thesaurus
sacrorum rituum di Bartolomeo Gavanto, non furono del tutto recepite e
attuate. Le premure e le norme del Borromeo non valsero allo scopo. Rimasero
inefficaci anche gli interventi di Benedetto XIV, pontefice nella prima metà
del XVIII secolo, che scrisse un Trattato istruttivo sulla santa messa
nel quale affrontò con rigore scientifico, citando gli studi a lui precedenti,
l’origine dei paramenti sacri e il loro appropriato uso secondo i vari riti e
il canone dei colori liturgici. Egli lamentava come la pianeta si fosse
“talmente deformata che dall’originaria non conservava più che il nome”.
Di taglio in taglio, di
riduzione in riduzione la casula così ieratica e maestosa, venne ridotta
all’insignificante pianeta moderna a forma di chitarra o violoncello, a seconda
dei Paesi.
Come si sia arrivati dalla
casula ampia alla pianeta, che ancor oggi si tende a far ritornare nell’uso
liturgico, è una domanda che ha una risposta non del tutto documentabile.
Certamente ha molto inciso il solennizzarsi del culto, con elevazioni,
incensazioni ecc., ma anche l’uso di stoffe sempre più rigide, appesantite da
ricami con applicazioni, ori, sete, perle.
Fonte: Emmanuela Viviano, Vestire
è servire. Casula e stola: storia e significato, Paoline, Milano 2019, pp.
32 e 34-35 (le note non sono state riportate)