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domenica 23 febbraio 2020

DALLA CASULA ALLA PIANETA


  



Nel corso del tempo, la veste (la casula), che originariamente giungeva ai talloni da tutti i lati, subì delle variazioni nella lunghezza sulle braccia e sulle gambe. Divenne un indumento semi-rigido, foderato, che non copriva alcuna parte delle braccia e andava indossato allacciandolo sui fianchi.

[…]

Le norme in vigore circa l’uso delle vesti, derivanti dalle istruzioni di san Carlo Borromeo e chiarite nel Thesaurus sacrorum rituum di Bartolomeo Gavanto, non furono del tutto recepite e attuate. Le premure e le norme del Borromeo non valsero allo scopo. Rimasero inefficaci anche gli interventi di Benedetto XIV, pontefice nella prima metà del XVIII secolo, che scrisse un Trattato istruttivo sulla santa messa nel quale affrontò con rigore scientifico, citando gli studi a lui precedenti, l’origine dei paramenti sacri e il loro appropriato uso secondo i vari riti e il canone dei colori liturgici. Egli lamentava come la pianeta si fosse “talmente deformata che dall’originaria non conservava più che il nome”.

Di taglio in taglio, di riduzione in riduzione la casula così ieratica e maestosa, venne ridotta all’insignificante pianeta moderna a forma di chitarra o violoncello, a seconda dei Paesi.

Come si sia arrivati dalla casula ampia alla pianeta, che ancor oggi si tende a far ritornare nell’uso liturgico, è una domanda che ha una risposta non del tutto documentabile. Certamente ha molto inciso il solennizzarsi del culto, con elevazioni, incensazioni ecc., ma anche l’uso di stoffe sempre più rigide, appesantite da ricami con applicazioni, ori, sete, perle.


Fonte: Emmanuela Viviano, Vestire è servire. Casula e stola: storia e significato, Paoline, Milano 2019, pp. 32 e 34-35 (le note non sono state riportate)