Il Codice di Diritto
Canonico afferma: “Nella celebrazione eucaristica, secondo l’antica tradizione
della Chiesa latina, il sacerdote usa pane azzimo, ovunque egli celebri” (c.
926).
Mi è stato chiesto di spiegare
a quando risale questa “antica tradizione”, di cui parla il Codice. Nel corso
dei sec. IX - XI, tra Latini e Greci è sorto un dibattito sull’uso del pane per
l’Eucaristia: se doveva essere lievitato oppure azzimo. Nei primi otto secoli,
il pane lievitato era usanza condivisa tra Oriente e Occidente, ma in ambiente
gallicano si iniziò ad utilizzare il pane azzimo (le “ostie”). La prima
menzione di questo uso si trova negli scritti di Alcuino di York (+ 804) e del
suo discepolo Rabano Mauro (+ 856), artefici del Rinascimento Carolingio.
Questa usanza andò diffondendosi lentamente in Occidente. L’accresciuta
venerazione per l’Eucaristia porterà a dare la preferenza alle sottili
particole bianche di pane, più facilmente spezzabili senza che briciole ne
andassero perdute. E’ nota l’acredine con cui nel sec. XI Michele Cerulario,
patriarca de Costantinopoli attaccò la Chiesa latina per alcune sue osservanze
disciplinari proprie, fra cui quella del pane azzimo.
Questo cambiamento della
qualità del pane in Occidente avrà alcune conseguenze nel rito della Messa.
L’offerta del pane (pane casalingo) per l’Eucaristia fatta dai fedeli si
tramuterà in offerta in denaro. Si comincia, poi, a rinunciare sempre più al
rito della frazione del pane, e l’Agnus Dei, canto che accompagnava il
rito della frazione, tende a diventare il canto per la Comunione o anche per il
rito della pace.
Notiamo che la riforma di
Paolo VI ha rivalutato sia l’offerta della materia del sacrificio da parte dei
fedeli (cf. Ordinamento generale del Messale Romano, n. 74) sia
la frazione del pane (cf. ivi, nn. 72, 321). Si richiede quindi
che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma
tradizionale, appaia come cibo e sia fatto in modo che il sacerdote possa
spezzare l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni fedeli.