Emmanuela Viviano, Vestire
è servire. Casula e stola: storia e significato (Spazio Liturgia 5),
Paoline, Milano 2019. 174 pp. (€ 13,00).
Il volumetto di Emmanuela
Viviano si inserisce in quella rivalutazione dei segni della liturgia che
caratterizza in modo particolare la letteratura dell’ultimo decennio. Si è
sempre più consapevoli che la qualità dei segni della celebrazione liturgica
incide sulla qualità della celebrazione stessa e sulla sua capacità
significativa e pedagogica. In queste pagine l’attenzione dell’Autrice è
rivolta unicamente alla casula, veste propria del vescovo e del presbitero, e alla
stola, adoperata dai tre gradi del sacramento dell’ordine (vescovo, presbitero e diacono).
Il sottotitolo del volume
accenna al metodo della trattazione: “storia e significato”. L’uso primitivo
non distingueva i membri della gerarchia con alcuna veste o insegna, così a
Roma fino ai primi decenni del V secolo. Ben presto però inizia una evoluzione
che pur non introducendo forme e simbologie nuove nel vestito, giunge man mano
a formare un abito usato dai ministri propriamente per il culto. Così da abito
che serve a qualcosa diventerà abito che significa qualcosa.
Lasciando al lettore il
compito di addentrarsi nei dettagli di questa storia, descritta con cura
dall’Autrice, ricordo quanto se ne ricava sul significato della casula e della
stola: “Non si tratta di vesti che conferiscono un potere nella Chiesa o
nell’ambito liturgico, ma definiscono una ministerialità e, soprattutto,
ricordano a coloro che le indossano che ‘vestire è servire’”.