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sabato 14 marzo 2020

DOMENICA III DI QUARESIMA ( A ) – 15 Marzo 2020




Es 17,3-7; Sal 94 (95); Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

Il Sal 94 evoca l’evento centrale della storia biblica dell’Antico Testamento: la nascita di Israele nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto offerta da Dio. In quelle circostanze il popolo di Israele si mostrò ripetutamente ribelle al Signore e per questa sua insubordinazione è stato punito. Nel nostro pellegrinaggio dall’Egitto di questo mondo alla terra promessa della gloria, si rinnova per noi in modo misterioso l’esperienza dei quarant’anni del deserto. Siamo perciò esortati anche noi ad ascoltare la voce di Dio e a non indurire i nostri cuori come fece Israele nel deserto. Questa voce di Dio è portatrice della sua parola che in questo periodo dell’anno liturgico ci viene rivolta come invito ad un’autentica conversione. La parola di Dio che risuonava nel deserto per mezzo di Mosè, risuona ora e definitivamente nella storia per mezzo di Cristo; anzi è lui la Parola fatta carne.

La liturgia di questa domenica e delle due successive ci invita a rivivere le grandi tappe attraverso le quali i catecumeni erano (e sono) condotti alla riscoperta delle esigenze profonde della conversione a Cristo per mezzo dei simboli dell’acqua, della luce e della vita. In questa domenica ci viene proposta l’immagine di Gesù come acqua viva capace di dissetare ogni desiderio umano e di donare la vita piena ed eterna a coloro che chiedono di attingere alla sua fonte.

La sete di Israele nel deserto, di cui parla la prima lettura, e la sete di Gesù a Sicar, di cui parla il brano evangelico, ci illustrano il tormento dell’umanità che cerca la verità, che cerca Dio. Nel dialogo con la Samaritana Gesù promette un’acqua che disseta per sempre. Attraverso l’immagine dell’acqua viva, cioè di sorgente, Gesù intende sottolineare la sua capacità di comunicare all’uomo, a tutti noi, reali valori di vita, che siano in grado di salvarci. Infatti, la sete, come la fame e forse di più, oltre ad essere uno specifico bisogno corporale dell’uomo rappresenta un “simbolo” totalizzante dei diversi e numerosi desideri e aspirazioni dell’uomo. In ciascuno di noi ci sono molteplici desideri, bisogni, aspirazioni. Si potrebbe dire che la nostra vita è fatta più da desideri che da realtà possedute. Ci portiamo dentro un vuoto che non riusciamo a riempire. Naturalmente, non è sbagliato avere dei desideri; sbagliato è restringere i desideri del nostro cuore a oggetti troppo limitati, meschini. Dio ci offre un dono, l’unico in grado di appagare la nostra sete di felicità.

Gesù ci toglie la nostra sete rinnovando i rapporti interpersonali, insegnandoci la verità del nostro rapporto con Dio e donandoci lo Spirito che rende autentici l’uno e gli altri. La vita e la salvezza che Gesù dona crescono in noi nella misura in cui accogliamo la sua parola. D’altra parte, l’Apostolo Paolo ci ricorda, nella seconda lettura, il carattere assolutamente gratuito del dono della salvezza, da noi immeritata, ma ora a nostra piena disposizione se accolta con fede. Nel dialogo con la Samaritana, Gesù cerca di condurre la sua interlocutrice a questa stessa consapevolezza quando le dice: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi da bere!” Conoscere il dono di Dio significa che al di là dei nostri bisogni immediati e dei nostri desideri c’è qualcosa di più grande che possiamo solo ricevere come un dono dalla mano di Dio.

La sete di salvezza si soddisfa nell’eucaristia. San Giovanni Crisostomo afferma: “Mosè percosse la roccia e ne ricavò torrenti d’acqua, (Cristo) tocca la mensa eucaristica, batte la tavola spirituale e fa scaturire le fonti dello Spirito” (Catechesi II).