Ez 37,12-14; Sal 129; Rm
8,8-11; Gv 11,1-45
Questa domenica contiene un
messaggio unitario, un messaggio di vita, di quella vita nuova che, ricevuta
nel battesimo, si rinnova continuamente nel processo di conversione e nel segno
sacramentale della riconciliazione. La vita promessa da Dio agli esuli a
Babilonia attraverso gli oracoli del profeta Ezechiele, di cui parla la prima
lettura, e concretamente offerta a Lazzaro nell’ultimo dei miracoli di Gesù
narrato da san Giovanni nel vangelo d’oggi, è simbolo e profezia di questa vita
nuova. Si tratta della stessa vita di cui parla san Paolo nella seconda lettura,
una vita che è frutto della giustificazione. E’ questa l’interpretazione che fa
il testo del prefazio della messa: Cristo,
Signore della vita, che richiamò Lazzaro dal sepolcro, “oggi estende a
tutta l’umanità la sua misericordia, e con i suoi sacramenti ci fa passare
dalla morte alla vita”.
Nel lungo brano del vangelo
d’oggi, il centro di tutto il racconto non è tanto la descrizione del miracolo
della risurrezione di Lazzaro, quanto l’autoproclamazione di Gesù che dice: “Io
sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. La risurrezione di Lazzaro
è quindi segno e garanzia di una realtà di vita più sublime: Gesù promette una
vita che va aldilà della morte. Anche Lazzaro, dopo la risurrezione miracolosa
operata da Gesù, rimarrà sottoposto alla legge della morte biologica. Non è
questa però che ci deve spaventare. La vera morte è quella di colui che non
accoglie il messaggio di Gesù e, chiudendosi nel suo peccato, rende vana
l’azione di Dio che offre la salvezza attraverso suo Figlio. Oltre la morte del
nostro corpo, c’è ancora la vita, c’è la risurrezione. Questa vita definitiva
non è solo una realtà futura, è già inizialmente presente in noi e cresce nella
misura in cui siamo fedeli agli impegni del battesimo col quale siamo stati
introdotti nel regno della vita vera e definitiva.
La Scrittura compara il
peccato alla morte. Così anche san Paolo ci ricorda oggi che il “corpo è morto
per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia”. Possiamo spiegare
questa affermazione con altre parole: nel corpo morto a causa del peccato viene
ad abitare mediante la fede e il battesimo lo Spirito che è vita, cioè un nuovo
dinamismo interiore che attinge alla forza di Dio e ci libera dalla tirannide
del peccato e della morte. Dobbiamo quindi interrogarci su questa “vita” che è
in noi, la vita dello Spirito, la quale è già vita definitiva e risorta che
culminerà alla fine nella risurrezione dei nostri corpi. Se veramente crediamo
in questo mistero che è in noi, la nostra esistenza si aprirà al dono di Dio e
cercherà di sintonizzare sulla sua santa volontà. La parola di Dio in questa
domenica di Quaresima ci invita ad aprire il sepolcro dei nostri egoismi, delle
nostre cattiverie, del nostro peccato, affinché possa irrompere in noi la vita
di Cristo.
L’eucaristia è nutrimento e
garanzia di questa vita. Ha detto Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).