Is 22,19-23; Sal 137; Rm
11,33-36; Mt 16,13-20
La fede ci insegna che Dio non
crea l’uomo per abbandonarlo ai bordi di una strada, ma lo segue sempre con
amore paterno e premuroso, portando avanti l’iniziativa di salvezza nei suoi
confronti, così come fa capire san Paolo nel brano della lettera ai Romani,
proposto come. seconda lettura.
Nella prima lettura si parla
di un tale Sebna, alto funzionario di corte, uomo disonesto e megalomane. Per
mezzo del profeta Isaia viene esautorato da Dio e il suo posto dato ad un umile
servo di nome Eliakìm, a cui viene consegnata come simbolo di autorità “la
chiave della casa di Davide” e affidato il compito di essere un “padre per gli
abitanti di Gerusalemme”. Questo episodio insegna che il potere è dato non per
il prestigio e il tornaconto personali, ma per l’utilità comune e il servizio
del popolo di Dio. Non c’è dubbio che questo brano di Isaia è stato scelto
dalla liturgia odierna a motivo dell’immagine delle “chiavi”, segno di potere,
per la chiara corrispondenza con le parole di Gesù a san Pietro riportate dalla
lettura evangelica odierna. Gesù si rivolge a san Pietro con queste parole: “Tu
sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa... A te darò le chiavi
del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli,
e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Queste parole
Gesù le pronuncia dopo la professione di fede dell’Apostolo: “Tu sei il Cristo,
il Figlio del Dio vivente”. In forza dell’accoglienza del dono di Dio, sulla
base di questa fede, Pietro è costituito fondamento, roccia della Chiesa di
Gesù. Ma insieme a lui tutti i cristiani siamo “impiegati come pietre vive per
la costruzione di un edificio spirituale” (1Pt 2,5; cf. colletta alternativa).
Riprendiamo il simbolismo
delle chiavi, presente anche nella prima lettura. Chi possiede la chiave di una
casa o di una città ne ha la custodia e la responsabilità. Nel caso di Pietro,
si tratta di poteri amministrativi e di governo sul piano spirituale. Il dono
fatto al principe degli apostoli è in definitiva un dono fatto a vantaggio di
ogni battezzato. La Chiesa è di Cristo (Gesù dice infatti: “edificherò la mia Chiesa”). In essa ci sono uomini e
donne di poca fede che hanno sempre bisogno del perdono, dell’amore e della
verità per crescere verso il Regno. Il legare e lo sciogliere della Chiesa ci
rimanda in definitiva a prendere coscienza che il vero e unico “fedele” di cui
ci possiamo fidare è proprio Dio, manifestato nel Figlio Gesù Cristo, e che
continua ad agire nel tempo per mezzo dell’umanità di Pietro e dei suoi
successori. Nella logica del brano evangelico e nel contesto della prima lettura
oggi proposta, il potere conferito a Pietro non è quindi un potere di dominio,
ma una investitura con cui Pietro è destinato al servizio dell’uomo in cammino
verso il Regno, ad essere un “padre” per i figli di Dio. Il Signore nella sua
sapienza imperscrutabile, di cui parla la seconda lettura, non ci abbandona
mai. La comunità cristiana non è lasciata sola, ma è sempre vivificata dalla
presenza del Cristo risorto. Egli continua ad essere presente in mezzo a noi
attraverso molti modi tra cui il servizio di Pietro e dei suoi successori. Come
ricorda s. Ignazio di Antiochia, la Chiesa di Roma è chiamata ad essere colei
che “presiede nella carità”.