Olivier
Roy, La santa ignoranza. Religioni senza
cultura, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2017. 317 pp.
L’autore
di questo interessante saggio insegna all’Istituto universitario europeo di
Firenze. Offro alcune delle riflessioni finali del suo volume.
“Una
religiosità comune si sviluppa fra fedeli di diverse religioni, fatta di
individualismo e, allo stesso tempo, di comunitarismo identitario incentrato
sulla religione e non più sull’etnia o la cultura […]
Fondamentalmente,
i fenomeni che abbiamo considerato rimandano non necessariamente a
un’uniformazione delle teologie quanto a un privilegiamento dell’esperienza
religiosa a scapito del sapere religioso […]
Le
autorità religiose reagiscono contro ciò che percepiscono come un rischio di
sincretismo incoraggiando il ritorno al latino nel caso del cattolici romani o
l’ostentazione dei segni distintivi come nel caso dei musulmani, condannando
l’ecumenismo troppo spinto, rifiutando il relativismo religioso, riaffermando
che esiste solo una verità. In forme diverse, le grandi religioni – ma si
potrebbe dire anche i nuovi credenti, in quanto il movimento proviene dalla
base – si sforzano di presidiare le frontiere. I carismatici cattolico-romani
non vedono affatto di buon occhio gli ashram
cristiani.
Ci
troviamo forse di fronte a una tendenza alla ‘riculturazione’? Il ritorno al
latino nella Chiesa cattolico-romana, in realtà, appare più prossimo a una
recita di mantra dalla quale ci si attendono effetti ‘magici’ che a un ritorno
alla cultura umanistica classica. Ad attirare i nuovi credenti, infatti, è il
carattere misterioso del latino e non la sua caratteristica di vettore della
cultura classica: non leggeranno mai Virgilio o Cicerone. Analogamente per i
Tabligh imparare a memoria il Corano non significa apprendere l’arabo per
leggere altri libri. Diversamente, al Corano viene attribuito un effetto
‘magico’; imparato a memoria trasforma l’anima del fedele che lo incorpora.
Ci si trova di fronte più a una dimensione eucaristica che all’apprendimento di
un sapere. La santità non ha sempre bisogno del sapere [..]
L’ignoranza
ha un grande futuro davanti a sé”
(pp.
302, 305-307, 313)