La Lettera
che papa Francesco ha inviato al Card. Sarah il 15 di questo mese (pubblicata
dalla Nuova Bussola Quotidiana il giorno
22) è molto di più che una “correctio paternalis” del Pontefice al cardinale Prefetto
del culto divino, noto ormai per le sue posizioni contrastanti con quelle del
Papa in diverse questioni che riguardano la liturgia. Questa lettera
rappresenta una autorevole interpretazione del recente motu proprio Magnum
Principium sul tema delle
traduzioni dei libri liturgici alle diverse lingue. Ecco il testo della
Lettera.
Città del Vaticano, 15 ottobre 2017
A Sua Eminenza Reverendissima
il signor Card. Robert SARAH
Prefetto della Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti
Città del Vaticano
e la Disciplina dei Sacramenti
Città del Vaticano
Eminenza,
ho
ricevuto la sua lettera del 30 settembre u.s., con la quale Ella ha voluto
benevolmente esprimermi la sua gratitudine per la pubblicazione del Motu
Proprio Magnum
Principium e trasmettermi una elaborata nota, “Commentaire”, sullo stesso
finalizzata a una migliore comprensione del testo.
Nel
ringraziarla sentitamente per l’impegno e il contributo, mi permetto di
esprimere semplicemente, e spero chiaramente, alcune osservazioni sulla sopramenzionata
nota che ritengo importanti soprattutto per l’applicazione e la giusta
comprensione del Motu Proprio e per evitare qualsiasi equivoco.
Innanzitutto
occorre evidenziare l’importanza della netta differenza che il nuovo MP
stabilisce tra recognitio e confirmatio, ben
sancita nei §§ 2 e 3 del can. 838, per abrogare la prassi, adottata dal
Dicastero a seguito del Liturgia
authenticam (LA) e che il nuovo Motu Proprio ha voluto
modificare. Non si può dire pertanto che recognitio e confirmatio sono “strettamente
sinonimi (o) sono intercambiabili” oppure “sono intercambiabili a livello di
responsabilità della Santa Sede”.
In
realtà il nuovo can. 838, attraverso la distinzione tra recognitio e confirmatio, asserisce la
diversa responsabilità della Sede Apostolica nell’esercizio di queste due
azioni, nonché quella delle Conferenze Episcopali. Il Magnum Principium non
sostiene più che le traduzioni devono essere conformi in tutti i punti alle
norme del Liturgia
authenticam, così come veniva effettuato nel passato. Per questo i
singoli numeri di LA vanno attentamente ri-compresi, inclusi i nn. 79-84, al
fine di distinguere ciò che è chiesto dal codice per la traduzione e ciò che è
richiesto per i legittimi adattamenti. Risulta quindi chiaro che alcuni numeri
di LA sono stati abrogati o sono decaduti nei termini in cui sono stati
ri-formulati dal nuovo canone del MP (ad es. il n. 76 e anche il n. 80).
Sulla
responsabilità delle Conferenze Episcopali di tradurre “fideliter”, occorre
precisare che il giudizio circa la fedeltà al latino e le eventuali correzioni
necessarie, era compito del Dicastero, mentre ora la norma concede alle
Conferenze Episcopali la facoltà di giudicare la bontà e la coerenza dell’uno e
dell’altro termine nelle traduzione dall’originale, se pure in dialogo con la
Santa Sede. La confirmatio non
suppone più dunque un esame dettagliato parola per parola, eccetto nei casi
evidenti che possono essere fatti presenti ai Vescovi per una loro ulteriore
riflessione. Ciò vale in particolare per le formule rilevanti, come per le
Preghiere Eucaristiche e in particolare le formule sacramentali approvate dal
Santo Padre. La confirmatio tiene
inoltre conto dell’integrità del libro, ossia verifica che tutte le parti che
compongono l’edizione tipica siano state tradotte[1].
Qui si
può aggiungere che, alla luce del MP, il “fideliter” del § 3 del canone,
implica una triplice fedeltà: al testo originale in primis; alla particolare
lingua in cui viene tradotto e infine alla comprensibilità del testo da parte
dei destinatari (cfr. Institutio
Generalis Missalis Romani nn. 391-392).
In
questo senso la recognitio indica
soltanto la verifica e la salvaguardia della conformità al diritto e alla
comunione della Chiesa. Il processo di tradurre i testi liturgici rilevanti (ed
es. formule sacramentali, il Credo, il Pater
Noster) in una lingua - dalla quale vengono considerati traduzioni
autentiche -, non dovrebbe portare ad uno spirito di “imposizione” alle
Conferenze Episcopali di una data traduzione fatta dal Dicastero, poiché ciò
lederebbe il diritto dei Vescovi sancito nel canone e già prima dal SC 36 § 4.
Del resto si tenga presente l’analogia con il can. 825 § 1 circa la versione
della Sacra Scrittura che non necessita di confirmatio da parte della Sede
Apostolica.
Risulta
inesatto attribuire alla confirmatio la
finalità della
recognitio (ossia “verificare e salvaguardare la conformità al
diritto”). Certo la confirmatio non
è un atto meramente formale, ma necessario alla edizione del libro liturgico
“tradotto”: viene concessa dopo che la versione è stata sottoposta alla Sede
Apostolica per la ratifica dell’approvazione dei Vescovi, in spirito di dialogo
e di aiuto a riflettere se e quando fosse necessario, rispettandone i diritti e
i doveri, considerando la legalità del processo seguito e le sue modalità[2].
Infine,
Eminenza, ribadisco il mio fraterno ringraziamento per il suo impegno e
constatando che la nota “Commentaire”
è stata pubblicata su alcuni siti web, ed erroneamente attribuita alla sua
persona, Le chiedo cortesemente di provvedere alla divulgazione di questa mia
risposta sugli stessi siti nonché l’invio della stessa a tutte le Conferenze
Episcopali, ai Membri e ai Consultori di codesto Dicastero.
Fraternamente
Francesco
[1] Magnum Principium: “Fine
delle traduzioni dei testi liturgici e dei testi biblici, per la liturgia della
Parola, è annunciare ai fedeli la parola di salvezza in obbedienza alla fede ed
esprimere la preghiera della Chiesa al Signore. A tale scopo bisogna fedelmente
comunicare ad un determinato popolo, tramite la sua propria lingua, ciò che la
Chiesa ha inteso comunicare ad un altro per mezzo della lingua latina. Sebbene
la fedeltà non sempre possa essere giudicata da parole singole, ma debba
esserlo nel contesto di tutto l’atto della comunicazione e secondo il proprio
genere letterario, tuttavia alcuni termini peculiari vanno considerati anche
nel contesto dell’integra fede cattolica, poiché ogni traduzione dei testi
liturgici deve essere congruente con la sana dottrina”.
[2] Magnum Principium: “Si
deve senz’altro prestare attenzione all’utilità e al bene dei fedeli, né
bisogna dimenticare il diritto e l’onere delle Conferenze Episcopali che,
insieme con le Conferenze Episcopali di regioni aventi la medesima lingua e con
la Sede Apostolica, devono far sì e stabilire che, salvaguardata l’indole di
ciascuna lingua, sia reso pienamente e fedelmente il senso del testo originale
e che i libri liturgici tradotti, anche dopo gli adattamenti, sempre rifulgano
per l’unità del Rito Romano”.