Is 5,1-7; Sal 79 (80); Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
Al
centro dei testi biblici di questa domenica ritorna l’immagine della vigna,
molto usata sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Il Sal 79, salmo di
lamentazione, è una specie di autobiografia di Israele nel momento in cui sente
venir meno la luce del volto di Dio, fonte di luce e di speranza. Israele vuole
ritornare ad essere la vigna di Dio, curata con premura dal grande vignaiolo.
Ora invece, priva di difesa, è territorio di libera caccia e di preda. Alla
fine del salmo, la supplica diventa pressante e piena di speranza: “...
Signore, Dio degli eserciti, fa che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e
noi saremo salvi”. Anche noi, nonostante tutte le nostre infedeltà, continuiamo
ad essere quella vigna per la quale Dio ha compiuto meraviglie.
L’immagine
della vigna, sia nella prima lettura che nella parabola del vangelo, si
riferisce al popolo d’Israele ed esprime un giudizio di sofferenza su un popolo
molto amato, ma che ha deluso e tradito l’amore del proprio Dio. Il profeta
Isaia, vissuto all’epoca nella quale, probabilmente, fu composto il salmo
responsoriale, pare dare una risposta agli interrogativi posti dal salmista a
Dio sulla sua vigna d’Israele. Il testo profetico è un rimprovero a un popolo
che si accontenta di una religiosità superficiale, ma non preoccupato di andare
oltre le pratiche del tempio per portare frutti nel contesto di una vita
sociale segnata da maggior senso della giustizia e moralità nelle relazioni
umane, in conformità al patto di alleanza che lega Dio al suo popolo. Tra Dio e
il suo popolo non c’è solo un rapporto di possesso (proprietario e proprietà),
ma anche e soprattutto un rapporto di amore; la vigna assume i caratteri della
persona umana.
L’oscura
minaccia, presente nell’allegoria della vigna, trova il suo definitivo
riscontro al tempo di Gesù e si concretizza come passaggio della vigna, e cioè
del regno di Dio, alle nazioni pagane. Il fallimento del popolo dell’antica
alleanza non arresta il piano di Dio: esso continua presso tutti coloro che
sono disponibili alla fede, pronti ad accogliere e vivere la parola di Dio. La
parabola della vigna contiene un severo ammonimento anche per noi cristiani. Un
motivo ricorrente nel vangelo di san Matteo è quello di “portare frutti” (Mt
3,8.10; 7,16-20; 12,33; ecc.). L’appartenenza al Regno non è un privilegio
formale, ma un dovere, che impegna a professare con le opere la fede nel
Signore Gesù. Ciò che abbiamo appartiene a Dio e ci è affidato in gestione; ma
Dio appare talvolta lontano, tanto lontano che ci sembra di poter decidere
della nostra vita senza fare i conti con lui. Riferendosi ai brani della
Scrittura proclamati oggi (Is 5 e Mt 21), il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “La Chiesa è stata
piantata dal celeste Agricoltore come vigna scelta. Cristo è la vera Vite, che
dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo
in lui e senza di lui nulla possiamo fare” (n. 755).
Da
quanto detto si deduce che se la Chiesa medita questi brani della Scrittura non
è tanto per accusare l’antico popolo d’Israele, quanto per prendere coscienza
della propria responsabilità e per invitare tutti ad aprire il proprio cuore al
progetto di Dio sulla storia manifestatosi in Gesù Cristo. Nella seconda
lettura, anche oggi come nella domenica scorsa, siamo invitati da san Paolo,
che non è solo un maestro di dottrina ma un testimone di ciò che insegna, alla
coerenza tra il pensare e l’agire e a non dimenticare il suo esempio: “Le cose
che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica”.
Facendo in questo modo, aggiunge l’Apostolo, “il Dio della pace sarà con voi”.