Es 22,20-26; Sal 17 (18); 1Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40
Se
vogliamo sintetizzare le prescrizioni del brano dell’Esodo, riportate dalla
prima lettura, possiamo dire che Dio si
prende cura con molto amore e tenerezza del povero e del debole ed ascolta i
loro giusti lamenti. Ecco perché il Signore condanna lo sfruttamento e
l’oppressione delle persone deboli e indifese, e ricorda che il valore della
persona è sempre superiore alle cose.
Nel
brano del vangelo d’oggi alla domanda di un dottore della legge su quali sia il
più grande comandamento della legge, Gesù risponde: “Amerai il Signore tuo Dio
con tutto il cuore...” Ma aggiunge subito dopo : “Il secondo poi è simile a
quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso”. E conclude affermando che da
questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti. Gesù parla quindi
dell’amore come dimensione globale dell’esistenza, di un amore che abbraccia appunto
tutta l’esistenza ed è proiettato in modo inseparabile verso Dio e verso i
nostri simili. Questa unità dei due comandamenti non comporta certamente la
loro totale identificazione, ma significa che essi sono intrinsecamente
associati e interconnessi. Noi siamo tentati di scindere le due cose, dando
talvolta il primato a Dio e trascurando il prossimo. Il messaggio evangelico
invece ci invita a coniugare i due amori, anzi ad unirli in modo che diventino
una medesima esperienza di vita. L’esperienza dell’amore di Dio deve passare
attraverso l’amore dell’uomo, e viceversa. Questa sintesi è la vera novità
cristiana in rapporto al messaggio dell’Antico Testamento. Per il cristianesimo
la legge dell’amore diventa la suprema norma a cui tutto va orientato e da cui
tutto si fa dipendere.
Se
Dio ama l’uomo, chiunque voglia amare Dio deve collocarsi sulla sua stessa
lunghezza d’onda, deve amare anche l’uomo. D’altra parte, come l’uomo è
unitario, così le sue scelte di fede e di amore devono essere realtà unitarie.
Sulla stessa linea, san Paolo nella seconda lettura ci ricorda che accogliere
la parola di Dio significa abbandonare ogni idolatria per diventare seguaci,
imitatori di Cristo e testimoni della sua carità.
L’eucaristia
a cui partecipiamo è memoriale del sacrificio di Cristo, ed è quindi segno
concreto ed espressivo nel segno sacramentale di un Dio che ci ama: “Cristo ci
ha amati: per noi ha sacrificato se stesso, offrendosi a Dio in sacrificio di
soave profumo” (antifona alla comunione - Ef 5,2).