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domenica 11 marzo 2018

COMMUNIONEM MANIBUS ACCIPERE SCANDALUM PUSILLORUM






In un post dello scorso 4 marzo mi sono occupato di alcuni aspetti della prima parte, quella storica, del libro di Federico Bortoli (La distribuzione della Comunione sulla mano). Anche il resto del libro merita la nostra attenzione. Così, ad esempio, il cap. 2: “L’introduzione della Comunione sulla mano dopo il Concilio Vaticano II”. L’Autore nota che la pratica della Comunione sulla mano iniziò a diffondersi in alcuni luoghi, in particolare in Germania, Olanda, Belgio e Francia. In seguito, per ben 14 pagine, si descrivono gli interventi del Consilium e della Sacra Congregazione dei Riti per fermare questa novità; si ricorda la concessione accordata alla Conferenza Episcopale Tedesca, che, avendo suscitato vivaci proteste, è stata sospesa dal Santo Padre; in questo contesto, si illustrano i diversi interventi di Mons. Bafile, allora nunzio apostolico in Germania, e via dicendo. Bisogna ammettere che Bortoli offre un panorama assai preciso e completo di queste vicende, sempre però per ribadire, come egli affermerà verso la fine del libro, che “la Comunione sulla lingua e in ginocchio costituisce ciò che è giusto nella distribuzione dell’Eucaristia” (p. 272) o, come si dice nella Prefazione al volume, il lavoro di Bortoli potrebbe “favorire un ripensamento generale sul modo di distribuire la Santa Comunione” (p. 15). Ma mi domando se vale la pena questo accanimento contro la Comunione sulla mano e questa difesa ad oltranza della Comunione sulla lingua.

La liturgia romana in altri tempi ha accolto usi nati altrove (l’introduzione del Credo, l’elevazione delle Specie alla Consacrazione, ecc.). Un caso paradigmatico, e ben più importante di quanto non sia comunicarsi sulla mano o sulla bocca, è la storia del sacramento della riconciliazione. Ricordo qui solo il passaggio, nel sec. V/VI, dalla severa penitenza “canonica” a quella “tariffata” più morbida. La cosiddetta penitenza “tariffata” è d’origine celtica e monastica, e all’inizio ha incontrato una forte opposizione in alcuni ambienti ecclesiali. È nota la condanna nel celebre canone 3 del concilio di Toledo (589), nel quale i vescovi ispanici riprovano questa novità con parole durissime e senza riserve considerandola un “modo assolutamente indegno (foedissime)” di celebrare il sacramento della penitenza.   

Il nostro Autore si sforza per mettere in luce la inopportunità della comunione sulla mano, una novità che non può essere considerata un’applicazione della Sacrosanctum Concilium (p. 81 e passim). È un modo sbagliato di considerare la Costituzione conciliare, assai comune però in ambienti tradizionalisti per criticare la riforma di Paolo VI, proprio quei ambienti che spesso e volentieri declassano il Vaticano II affermando che è semplicemente un Concilio “pastorale”... Una Costituzione non dice e non deve dire tutto.

La storia ci insegna a non scandalizzarci dinanzi a delle novità che non toccano la sostanza della fede, novità che vanno “governate” con prudenza e apertura di mente. Anche comunicarsi in piedi porgendo le mani al ministro può essere un gesto ricco di significati. Inoltre, come dice l’Ordinamento generale del Messale Romano, “con il canto di comunione si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere ‘comunitario’ della processione di coloro che si accostano a ricevere l’Eucaristia” (n. 86). Bortoli parla giustamente dell’importanza dei segni nella liturgia (pp. 257-261). Prima di criticare i (possibili) abusi, cerchiamo di valutare gli usi. Non si tratta solo di adorazione, riverenza e rispetto (una ossessione del volume), ma anche di gioia e di unione spirituale di coloro che si comunicano.