Is
52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42
Il racconto della passione secondo Giovanni va letto alla
luce delle altre due letture. Il brano d’Isaia mostra il volto di un
personaggio misterioso, sfigurato e macerato, oppresso da spaventose sofferenze
e sottoposto alle più odiose persecuzioni, disprezzato dagli uomini, percosso a
morte e apparentemente abbandonato dallo stesso Dio. In realtà, però, la sua
sofferenza è feconda: egli offre se stesso per il peccato delle moltitudini, e
il Signore ne fa il capo di un innumerevole popolo di giustificati. Qualunque
sia nel testo profetico l’identità di questo “Servo di Dio”, la liturgia del
Venerdì santo ce lo propone come immagine del Cristo, il giusto oltraggiato, la
cui morte ha salvato gli uomini dal peccato e che Dio ha esaltato nella sua
gloria. La seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, esalta la
grandezza e l’efficacia dell’offerta sacrificale del Cristo, intronizzato
presso Dio come “il sommo sacerdote” per eccellenza, diventato per sua
obbedienza “causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”.
Il racconto della passione e morte del Cristo secondo
Giovanni, pur ricalcando la tradizione precedente testimoniata dagli altri
evangelisti, è costruito con un’angolazione di lettura degli eventi molto
diversa che riflette un modo differente di rileggere il quarto canto del Servo
di Dio di Isaia, proposto come prima lettura. Mentre Matteo, Marco e Luca fanno
forza sulle umiliazioni e sofferenze del Servo di Dio, Giovanni mette l’accento
sulla glorificazione ed esaltazione dello stesso Servo. L’evangelista legge gli
eventi tenendo d’occhio il risultato finale. Non c’è da meravigliarsi se
qualche studioso della Bibbia abbia intitolato l’intero racconto giovanneo
della passione e morte di Gesù: “Il libro della gloria”. Così vediamo che nel
suo racconto, Giovanni sottolinea che Gesù va liberamente incontro alla croce:
non è un “consegnato”, ma “uno che si consegna”. E’ Egli che dirige gli eventi,
non gli uomini che l’hanno catturato. Egli è sì sofferente, ma immerso in un
alone di maestà e di gloria fino alla fine quando pronuncia con calma e
solennità le sue ultime parole: “E’ compiuto”. Giovanni intende in tutta la
vicenda della passione ricordare che l’umiliato è già il vincitore. Certamente
egli racconta prima la passione e poi la risurrezione. Tuttavia sovrappone
l’umiliazione e la gloria. Durante la passione Gesù è già il Figlio di Dio, e
questa convinzione trasfigura ogni racconto: colui che è arrestato è in realtà
il vincitore, colui che è processato è in realtà il giudice, il Crocifisso è
già il glorificato. Per Giovanni la Croce è lo specchio della gloria.
La liturgia del Venerdì santo non separa mai le due sponde
degli eventi pasquali. Così, ad esempio, nell’adorazione della Croce, uno dei
momenti culminanti della celebrazione, la Chiesa canta: “Adoriamo la tua Croce,
Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa risurrezione. Dal legno della
Croce è venuta la gioia in tutto il mondo”. In modo simile si esprimono la
preghiera dopo la comunione e la benedizione finale.