Is
50,4-7; Sal 21 (22); Fil 2,6-11; Mc 14,1 – 15,47
Gesù
agonizzante attribuisce a sé la preghiera di lamentazione del Sal 21
riprendendone le prime battute (cf. Mc 15,34), che noi ripetiamo oggi come
ritornello del salmo responsoriale: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”. Questo salmo è un testo di grande desolazione, segnato da
immagini forti prettamente orientali. L’orante, immerso nella sofferenza e
vicino alla morte, sente il silenzio di Dio e l’ostilità degli uomini. Ma
all’improvviso, la supplica diventa fiduciosa attesa dell’aiuto di Dio e poi
ringraziamento festoso al Signore, re dell’universo. All’inizio della settimana
di passione, questa preghiera ci introduce adeguatamente nella celebrazione del
mistero pasquale di Gesù, che va dalla morte alla vita, dal sepolcro alla
risurrezione.
L’Unto
del Signore, il Messia che è stato accolto dalle folle di Gerusalemme osannanti
è quello stesso Gesù che, pochi giorni dopo, è stato consegnato ai suoi nemici
e messo in croce. I due momenti non sono dissociabili, come non lo sono il
momento della morte in croce e quello della risurrezione.
La
prima lettura ci proietta dall’esperienza dolorosa e personale del profeta alla
sofferenza redentrice di Cristo, narrata da san Marco nel lungo brano
evangelico odierno con uno stile scarno e plastico e con particolari
accentuazioni del carattere drammatico e sconcertante della passione di Gesù. Il
racconto della passione viene interpretato come il compimento della missione
storica di Gesù. Tutto il vangelo di san Marco è orientato alla passione di
Gesù, a tal punto che qualcuno ha detto che questo vangelo è un racconto della
passione con una lunga introduzione. Con grande consapevolezza e libertà, Gesù
percorre il cammino della sua vita che ha come traguardo la morte in croce. La
sua passione il Signore esteriormente l’ha subita, ma interiormente e
volontariamente l’ha presa su di sé. Per lui la morte in croce non è un
incidente inatteso, è una vera scelta. Questa libertà sovrana di Gesù è
espressione della sua obbedienza totale al Padre. E’ ciò che ricorda san Paolo
nella seconda lettura: “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e
a una morte di croce”.
Le ultime parole di Gesù sono quelle
drammatiche con cui inizia il Sal 21: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”. Noi sappiamo che non ci sono salmi di disperazione né salmisti
che credono in un vero abbandono di Dio; anzi, i salmi che esprimono la
preghiera di un sofferente sono sempre colmi di fiducia, di fede e speranza.
Qui è il Figlio che si lamenta e si abbandona al Padre. Come nel Getsemani,
l’angoscia lo attanaglia, e come là chiede aiuto al Padre. E’ una invocazione a
Dio in forma di domanda che avrà una risposta solo dopo la morte di Gesù. Il
centurione che gli sta di fronte, vistolo spirare in quel modo, esclama:
“Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. Non sappiamo cosa il centurione pagano
abbia potuto capire; nelle sue parole noi riconosciamo l’atto di fede della
comunità cristiana. E’ lì e in quel momento che paradossalmente si rivela la
vera identità di Gesù, e si verifica l’autenticità della fede cristiana. In
questa scena si riassume quindi il percorso interiore che san Marco propone ai
lettori del suo vangelo. Solo chi segue Gesù fino al luogo della crocifissione
è in grado di riconoscerlo e proclamarlo Figlio di Dio. La croce è il vertice
della rivelazione di Dio. E’ nel dono totale di Cristo che Dio rivela il suo
amore gratuito e la strada della salvezza per ciascuno di noi.