Translate

venerdì 30 dicembre 2022

MARIA SS. MADRE DI DIO – 1 Gennaio 2023

 



 

Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2, 16-21

 

Il Sal 66 esprime la gioia del contadino palestinese che, da una terra avara, ha ottenuto il dono delle messi, segno sperimentabile della benedizione divina. Il salmo diventa poi un inno di ringraziamento corale per i doni divini in genere. La liturgia del primo giorno dell’anno riprende questo inno nella sua parte più universalistica in cui si parla di una presenza benedicente di Dio che abbraccia tutti i popoli della terra: “…perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti”. La nostra vita, che oggi inizia una nuova tappa, è veramente benedetta da Dio nella misura in cui è illuminata dallo splendore del volto di Dio.

Il primo giorno dell’anno è carico di diversi significati: l’inizio dell’anno, l’ottava del Natale, la solennità di Maria SS. Madre di Dio e la giornata mondiale della pace. Nello sfondo di queste varie tematiche, la celebrazione della divina maternità di Maria appare più luminosa ed esaltante, dalle risonanze cosmiche. Generando il Salvatore, Maria si pone al centro della storia dell’umanità, tracciando per tutti noi gli itinerari non soltanto della nostra crescita spirituale, ma anche semplicemente umana. La benedetta fra tutte le donne, ci ha donato Gesù, frutto benedetto del suo seno, primogenito fra molti fratelli, Cristo “nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva” (Ef 2,14). In questo modo, anche noi siamo diventati, per opera dello Spirito, figli ed eredi, e la nostra vita è nel segno della benedizione divina di cui la pace è frutto prezioso.

 

La prima lettura riporta la formula di benedizione che il sommo sacerdote doveva pronunciare su Israele al termine delle grandi feste liturgiche e, particolarmente, della festa del nuovo anno. Quest’antica benedizione sacerdotale fa perno sul nome del Signore, richiamato per tre volte, e pone questo nome sugli Israeliti. “Porre il nome” vuol dire stabilire una relazione con la persona. La benedizione è il riconoscimento che ogni bene viene da Dio e dipende da una vita di comunione con lui. Segno manifestativo delle benedizioni divine è la pace: Dio benedice il suo popolo e lo conduce alla pace. Il pieno compimento della benedizione si ha in Gesù Cristo. Egli è la stessa benedizione: è il grande dono del Padre agli uomini, da cui vengono tutti gli altri doni. San Paolo lo illustra a modo suo nella seconda lettura quando afferma che in Cristo abbiamo ricevuto “l’adozione a figli”; non siamo quindi più schiavi, ma figli. Possiamo diventare consapevoli della nostra condizione filiale perché ci è stato donato lo Spirito Santo, che plasma interiormente in ognuno di noi i lineamenti del Cristo, il Figlio primogenito. Questo mistero è stato possibile ed è reso visibile perché, “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna”. In questo modo, la maternità di Maria accresce la propria realtà dandosi a vedere quale “madre del Cristo e di tutta la Chiesa” (orazione dopo la comunione). Maria viene poi proposta come esemplare di accoglienza delle benedizioni divine donateci in Cristo: nel brano del vangelo essa appare come colei che serba e medita nell’interiorità del cuore tutti gli eventi che riguardano il figlio. Da madre si fa anche prima discepola fin da ora, custodendo nel cuore il mistero del figlio.

 

Nel primo giorno dell’anno è naturale spingere lo sguardo in avanti, verso quel che ci aspetta, con le attese che ogni inizio porta con sé. L’eucaristia del primo giorno dell’anno al tempo stesso che ci pone in atteggiamento di riconoscenza per i doni ricevuti da Dio, di cui Cristo è il dono più prezioso, ci rassicura che ogni giorno del nuovo anno, ogni giorno della nostra vita sarà sempre un dono prezioso della grazia divina.

mercoledì 28 dicembre 2022

SANTA FAMIGLIA DI GESU’ MARIA E GIUSEPPE (A) – Festa 30 Dicembre 2022

 



 

Sir 3,2-6.12-14; Sal 127; opp. Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23

 

La parola che potrebbe sintetizzare l’insegnamento dei testi della Scrittura che abbiamo ascoltato è una parola che non è oggi di moda: “obbedienza”. La prima lettura è un brano del libro del Siracide che, rielaborando motivi di saggezza popolare, parla dei rapporti tra genitori e figli. Sulla stessa linea si muove l’esortazione di san Paolo ai Colossesi, da cui è tratta la seconda lettura: i figli devono onorare, obbedire i propri genitori, ed essi non devono esasperare i loro figli. C’è quindi anche un’obbedienza dei genitori che è obbedienza a Dio per il bene dei figli. Così vediamo nel racconto evangelico della fuga in Egitto che san Giuseppe fa quello che gli comanda Dio per mezzo dell’angelo e lo compie per la salvezza del bambino, perché ha paura di ciò che potrebbe capitargli di male. Nelle sue scelte, quindi, san Giuseppe è del tutto subordinato al bene del bambin Gesù di cui è padre putativo. Questi testi ci ricordano che paternità, maternità, figliolanza hanno tutte origine da Dio. Quando i rapporti familiari sono vissuti nell’ascolto della volontà di Dio, della sua parola, i vari ruoli familiari vengono liberati dai meccanismi dell’egoismo per lasciare spazio al vero amore. La famiglia cristiana dovrebbe essere un vangelo vivente, una buona notizia capace di trasmette un forte messaggio di speranza all’umanità.

 

La nostra cultura sembra oggi molto cambiata e ci appare più complessa rispetto alla visione dei rapporti familiari che emerge da questi antichi testi. C’è però nel messaggio biblico sull’obbedienza un aspetto di grande e perenne attualità. È stato notato, infatti, che nella lingua ebraica non esiste la parola “obbedire”. Per esprimere questa nozione si usa spesso il semplice verbo “ascoltare”. Obbedire nella Bibbia vuol dire quindi anzitutto dare ascolto. Solo chi dà ascolto all’altro è capace di capirlo, rispettarlo, aiutarlo, ed è quindi capace di crescere e costruire insieme con l’altro una vita armoniosa. Non si tratta di un ascolto semplicemente formale, ma di una vera accoglienza dell’altro nella propria vita. Dare ascolto a chi mi è vicino, ma soprattutto dare ascolto a Dio nel cui disegno posso in qualche modo capire il mistero dell’altro, di colui che come me è un figlio di Dio, amato e redento dal sangue di Cristo. Attraverso una comprensione sempre più piena dell’amore di Dio per noi, diventerà sempre più chiara la percezione della sua volontà di amore su di noi. 

 

Nella Sacra Famiglia la Chiesa ci propone un esemplare di vita familiare, anzi di vita in comune, non modellato sui criteri del benessere economico o del prestigio sociale ma sui valori che scaturiscono dalla fede in Dio. Il modello proposto, poi, trascende i limiti della famiglia come istituzione umana per proiettarsi sui rapporti interpersonali che intercorrono tra gli esseri umani nella vita sociale, nella Chiesa, in ogni singola comunità. La casa di Nazaret è una scuola di vita in comune valida per tutti i tempi e per tutte le culture.

 

lunedì 26 dicembre 2022

IL VATICANO II E L’ARCHITETTURA SACRA

 



 

Fernando López-Arias, El Concilio Vaticano II y la arquitectura sagrada. Origen y evolución de unos principios programáticos (1947-1970) (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” – “Subsidia” 199), CLV Edizioni Liturgiche, Roma 2021. 430 pp. (€ 45,00).

 

Gli ultimi 60 anni sono stati testimoni di un cambiamento generale nella forma dell'edificio di culto cattolico in tutto il mondo. Questa trasformazione viene solitamente attribuita all'evento più significativo della Chiesa del secolo scorso: il Concilio Vaticano II (1962 1965). La nostra ricerca vuole avvicinarsi all'evento conciliare dal punto di vista del luogo di culto cercando di rispondere ad alcune domande a proposito delle quali si è scritto e detto molto negli ultimi decenni. Il Concilio ha avuto un’idea concreta di come dovrebbero essere le chiese? Intendeva che gli edifici di culto fossero costruiti in un certo modo? Nelle pagine di questa monografia ci concentreremo sul momento che consideriamo chiave di questo processo: il periodo tra il 1947 e il 1970, delimitato dall'enciclica Mediator Dei di Pio XII (1947) e dal Messale di Paolo VI (1970). La ricerca adotta un approccio multidisciplinare, considerando aspetti di natura storica, teologica, liturgica e artistica. La novità più rilevante di questo studio consiste nel lavorare direttamente con fondi d'archivio, molti dei quali inediti, che ci permetteranno di ricostruire l'iter di redazione dei principali documenti della Chiesa che saranno sottoposti al nostro esame. Un altro valore aggiunto è aver contato sulla preziosa testimonianza orale di alcuni dei protagonisti diretti di questa cronaca. In questo modo racconteremo una storia finora in gran parte sconosciuta, essendo in grado così di rispondere con rigorosità alla domanda sulla chiesa - edificio “che voleva il Vaticano II”.

 

(Quarta di copertina)

venerdì 23 dicembre 2022

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2022 Messa del giorno

 




 

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

 

Nel Natale di Cristo, la Chiesa ci invita a lodare con le parole profetiche del salmo 97 il Signore che ha compiuto prodigi e ha manifestato la sua salvezza e il suo amore per la casa d’Israele. Nel bambino di Betlemme questa salvezza si è manifestata, non solo ad Israele, ma a tutti gli uomini e donne della terra che possono ormai contemplarla e accoglierla. L’ingresso del Salvatore nel mondo e nella storia provoca un sussulto di felicità in tutti e in tutto. La gioia del Natale però sarebbe superficiale se non fosse fondata sulla contemplazione del mistero natalizio alla luce della fede. Ecco perché in questa messa del giorno siamo invitati a contemplare, guidati dalla parola di Dio, le profondità di questo mistero.

 

La prima lettura riporta un brano del Secondo Isaia, l’anonimo annunziatore del ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia. Il profeta parla di un messaggero che annunzia pace, felicità, salvezza. Questa missione, nel Nuovo Testamento, Gesù l’attribuirà a se stesso (cf. Lc 4,43). La seconda lettura conferma che Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio. La lettura evangelica è presa dal grandioso prologo al vangelo di Giovanni. Vale la pena di concentrare la nostra attenzione su questo sublime brano. Giovanni annunzia che il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; ma al tempo stesso annunzia che tutti coloro che accolgono questo bambino, il Figlio di Dio fatto carne, ricevono anch’essi il potere di diventare figli di Dio. In Cristo ci viene offerta la possibilità di una nuova origine, non più fondata sul sangue e sulla carne, ma su Dio stesso. Il mistero del Natale riguarda quindi anche noi. Il mistero di un Dio fatto uomo ci immerge nel mistero dell’uomo che diventa figlio di Dio. Si tratta di quel “misterioso scambio” di cui parla il III prefazio di Natale: il Verbo di Dio assume la nostra natura umana nella sua debolezza e fragilità, e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale (cf. anche la preghiera dopo la comunione). La stessa dottrina esprime san Paolo in un brano che viene proposto oggi alla nostra attenzione: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Primi vespri, lettura breve - Gal 4,4-5). Nel Natale noi contempliamo gli inizi della nostra salvezza. L’antifona alla comunione, annuncia profeticamente questo evento quando dice: “tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio” (cf. Sal 97,3).

 

Il grande padre della Chiesa romana, san Leone Magno, contemplando il mistero dell’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna” (Ufficio delle letture, seconda lettura). Questa stessa esortazione è implicita nel testo del prologo di Giovanni quando si dice che a colui che accoglie il Figlio di Dio fatto carne, viene dato potere di “diventare” figlio di Dio: la nostra identità di figli di Dio è inserita dentro un processo dinamico che si apre ad una crescita progressiva e senza sosta e ci conduce verso gli spazi della vita divina.

 

L’eucaristia che oggi celebriamo è per eccellenza il sacrificio della nuova alleanza, il rito della nuova umanità, che ci introduce progressivamente alla partecipazione della vita divina. Celebrare in Natale significa celebrare l’umanità come luogo in cui il divino trova la sua massima manifestazione 

 

 

domenica 18 dicembre 2022

L’ORIENTAMENTO NELLA CELEBRAZIONE

 



Quando ci parla dell’orientamento versus populum nella celebrazione liturgica, in particolare nella celebrazione eucaristica, si afferma tal volta che si tratta di una novità nata con la riforma liturgica promossa dal Vaticano II. Ci sono invece delle testimonianze secondo cui questo argomento è stato oggetto di attenzione molti anni prima. Ecco un testo in qualche modo “profetico”:  

“Certi segni fanno intravedere che, nella Chiesa futura, il prete si terrà come un tempo dietro l’altare e celebrerà col viso volto verso il popolo, come si fa ancora oggi in certe basiliche romane; l’augurio, che si solleva dappertutto, di veder più chiaramente espressa la comunione al tavolo eucaristico, sembra esigere questa soluzione”.

Questo testo è stato redatto nel 1949 da Theodor Klauser e da un gruppo di esperti su incarico della Commissione per la liturgia dell’Episcopato tedesco, e pubblicato a stampa in numerose edizioni successive (vedi, ad esempio: T. Klauser, Richtlinien für die Gestaltung des Gotteshauses aus dem Geist der römischen Liturgie, Aschendorff, Münster 1954)

 

venerdì 16 dicembre 2022

DOMENICA IV DI AVVENTO (A) – 18 Dicembre 2022

 




 

Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

 

I testi di questa domenica mettono in luce le figure di Maria e di Giuseppe, e anche quella di san Paolo, modelli tutti e tre di accoglienza della Parola di Dio e di obbedienza ad essa. La prima lettura riporta il messaggio del profeta Isaia al re Acaz, chiedendogli di non elemosinare aiuto dall’Assiria, ma di fidarsi solo dell’aiuto di Dio. Acaz, però, non se la sente di fidarsi solo di Dio, vorrebbe rifiutare ogni segno divino; le sue parole apparentemente rispettose del volere divino (“Non voglio tentare il Signore”) sono frutto piuttosto della protervia di chi non vuole essere costretto a fidarsi dell’invisibile, di chi vuole a tutti i costi misurare e controllare le sue sicurezze. Nel racconto del brano evangelico di Matteo la figura centrale è Giuseppe. Al contrario del re Acaz, di cui parla il brano di Isaia, Giuseppe accetta il “segno” del bambino nato da una vergine e, fiducioso nella parola di Dio trasmessagli per mezzo dell’angelo, impegna tutta la sua vita per questo bambino e sua madre. Il testo evangelico conclude con queste parole: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Giuseppe, quindi, accoglie il messaggio e ubbidisce.

 

Accanto alla figura di Giuseppe sta quella di Maria, la Madre di Gesù. Diversamente di quanto ha fatto san Luca, nei racconti della nascita e infanzia di Gesù, san Matteo non ci ha trasmesso alcuna parola di Maria. L’evangelista Matteo presenta una Maria silenziosa, ma docile strumento del disegno di Dio: ciò che avviene in lei è adempimento di “ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta”.

 

San Paolo nell’introduzione alla lettera ai Romani, proposta come seconda lettura, parla della sua vocazione. Dio lo ha chiamato a divenire apostolo, un inspiegabile e incomprensibile atto di grazia. In quanto tale, il ministero di apostolo è legato all’obbedienza di fede. Paolo si definisce apostolo e servo di Cristo Gesù. Vi è un intrinseco rapporto tra fede e obbedienza: ls fede consiste nell’obbedire e l’obbedienza consiste nel credere.

 

Siamo chiamati a realizzare la nostra vita entrando liberamente e gioiosamente nell’orbita del disegno di Dio. Bisogna fidarsi di Dio. La nascita di Gesù che ci apprestiamo a celebrare è un segno della fedeltà di Dio. Disponiamoci ad accogliere, nell’obbedienza della fede, ad esempio di Giuseppe e Maria, il Signore che viene a salvarci.

 

L’orazione sulle offerte fa un suggestivo accostamento tra il mistero dell’incarnazione e il mistero eucaristico. Lo Spirito Santo che “ha santificato con la sua potenza il grembo della Vergine Maria” è lo stesso che consacra i doni del pane e del vino per la celebrazione del sacrificio eucaristico. Lo Spirito è poi colui che ci prepara ad accogliere il Signore che viene.

 

domenica 11 dicembre 2022

UNA ENCICLOPEDIA PRATICA DELLA LITURGIA

 



 

AA.VV., Exsultet. Enciclopedia pratica della liturgia, diretta da Louis-Michel Renier (edizione italiana a cura di Daniele Piazzi), Seconda edizione, Queriniana, Brescia 2022. 503 pp. € 40,00.

La prima edizione italiana di quest’opera è del 2002. Anche se l’edizione del 2022 si presenta come “seconda edizione”, si tratta piuttosto di una ristampa della prima edizione: lo stesso numero di pagine, gli stessi autori, gli stessi testi e le stesse note. Non ho trovato nessun aggiornamento bibliografico. Cambia solo il prezzo: 36,30 € nel 2002; 40,00 € nel 2022.

Il volume è diviso in tre parti. La prima parte privilegia il significato dell’azione celebrativa. La seconda parte mette in rilievo l’originalità della liturgia cristiana, il significato della domenica, dell’eucaristia, dei sacramenti, della liturgia delle ore, delle benedizioni e delle devozioni. La terza parte tratta dell’arte di celebrare e della realizzazione concreta delle celebrazioni.

Gli autori sono eminenti liturgisti e pastoralisti del Centro Nazionale di Pastorale Liturgica di Parigi.

venerdì 9 dicembre 2022

DOMENICA III DI AVVENTO (A) – 11 Dicembre 2022

 


 

 

Is 35,1-6a.8a.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

 

Il brano evangelico odierno esordisce con queste parole: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. È la domanda che i discepoli di Giovanni Battista rivolgono a Gesù. È una domanda che ha una sua attualità. L’interrogativo ci deve tenere costantemente aperti a una nuova visuale delle cose che ci permetta di riconoscere l’azione sempre nuova di Dio nella storia. Chi è per noi Gesù? Abbiamo riconosciuto in lui il nostro Salvatore? Gesù alla domanda rivoltagli da Giovanni per bocca dei suoi dei discepoli, invece di rispondergli con un sì o con un no, lo rimanda a quelle opere di cui Giovanni aveva sentito parlare, opere che documentano attraverso una libera citazione del profeta Isaia (brano riproposto come prima lettura) che egli è veramente il Messia inviato da Dio. Per Giovanni, tormentato dal dubbio, la parola di Gesù è un invito a fidarsi di lui, a credere. L’uomo che è in attesa di salvezza ha nelle parole e nelle opere di Gesù una risposta definitiva. In lui la salvezza di Dio ha fatto irruzione nella nostra vita.

 

Da parte sua, san Giacomo, nella seconda lettura, ci invita a perseverare in un atteggiamento di pazienza. È vero - lo abbiamo detto - la salvezza di Dio si è manifestata nel suo Figlio fatto uomo, egli è il Salvatore promesso. I frutti pieni della sua venuta però li dobbiamo raccogliere giorno dopo giorno nell’operosità paziente e incessante. Per san Giacomo, il mistero della nostra salvezza è simile al ciclo della natura nel suo rinnovarsi incessante, che alla fine non delude l’attesa paziente e testarda del contadino. Abbiamo bisogno di tempo affinché il regno di Dio cresca e maturi nella storia, in ciascun di noi. La pazienza esige disponibilità e cooperazione alla crescita. Il domani di salvezza definitiva che attendiamo è anche nelle nostre mani.

 

La salvezza di Dio è vicina a noi, anzi è in mezzo a noi, e ciò dev’essere motivo di gioia. Non è la gioia di chi non trova ostacoli da affrontare; è la gioia di chi accetta il piano di Dio su di lui e si sente al suo posto, sa che la sua vita è al sicuro e può compiere le sue scelte con piena libertà interiore. Nei momenti di smarrimento o di sofferenza, nei momenti di stanchezza, quando le certezze sembrano svanire, la fede ci assicura che Dio viene a salvarci, che la nostra attesa non è vana. Se abbiamo riconosciuto Gesù come nostro Salvatore, il nostro cuore non ha nulla da temere.      

 

Gesù è vicino a noi come Salvatore soprattutto nell’eucaristia. L’antifona di comunione lo afferma riproponendo le parole di Is 35,4, tratte dalla prima lettura d’oggi: “Coraggio, non temete! Ecco il nostro Dio. Egli viene a salvarvi”. E l’orazione sulle offerte precisa che il sacrificio eucaristico rende “efficace in noi l’opera della salvezza”.

martedì 6 dicembre 2022

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA – 8 Dicembre 2022

 



 

Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38

 

In Maria immacolata celebriamo l’alba della redenzione, l’inizio della nuova umanità o, come dice il prefazio della messa, “l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza”.

 

Secondo ha interpretato la tradizione, Maria è figurata dal Protovangelo nella donna nemica e vittoriosa di Satana, evento che viene proposto come prima lettura (Gen 3,9-13) assieme alla disobbedienza di Adamo ed Eva (Gen 3,14-15). La scelta di questo brano intende mettere in evidenza il peccato sul quale Maria è vittoriosa e suggerire l’idea di Maria come nuova Eva. Come Adamo ed Eva sono personaggi emblematici per esprimere l’umanità caduta nel peccato, così Gesù, nuovo Adamo, e sua madre, nuova Eva, diventano personaggi altrettanto emblematici che enunciano l’umanità rinnovata. “Il nodo della disobbedienza di Eva è stato sciolto dall’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria l’ha slegato con la sua fede” (S. Ireneo; Cost. Lumen Gentium, n. 56).

         

La lettura evangelica propone l’evento dell’Annunciazione: l’angelo proclama Maria “piena di grazia”, testo classico del Nuovo Testamento in cui la tradizione ha visto annunciata la verità dell’Immacolata Concezione di Maria. E’ senza dubbio la pagina più letta nella liturgia, più meditata dagli artisti, più riprodotta in tele e nelle sculture. I Padri della Chiesa hanno visto in questo evento la contropartita di ciò che è successo nella caduta del paradiso terrestre: Eva non ascolta il precetto di Dio, Maria invece ascolta il messaggio dell’angelo inviato da Dio; Eva disobbedisce alla parola di Dio, Maria invece pronuncia il suo “si” ubbidiente al piano di Dio su di lei: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”; Eva significa “madre di tutti i viventi”, Maria lo è in senso più profondo in quanto è madre dei redenti mediante la morte del Figlio suo, vincitore del male e della morte. Maria, generando il Cristo, ha posto nella terra il “seme” indistruttibile del bene, della giustizia e della speranza. Esso si radicherà e trasformerà l’umanità intera. E’ la stessa realtà che descrive il brano introduttivo alla lettera agli Efesini (seconda lettura) in cui l’Apostolo afferma che Dio, in Cristo “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Questa singolare elezione trova un’applicazione particolarissima in Maria. L’Immacolata è il primo segno della vittoria pasquale di Cristo. Con lei, l’umanità ritrova la strada per percorrere una storia di santità, non più di peccato. L’Immacolata è quindi un segno di speranza. Ciò che è avvenuto in lei è anticipo e frutto al tempo stesso della vittoria di Cristo risorto sulla morte e sul peccato.

 

L’eucaristia, ripresentazione sacramentale del mistero pasquale, “guarisce in noi le ferite di quella colpa da cui, in modo singolare”, Maria è stata preservata nella sua immacolata concezione (orazione dopo la comunione).

 

domenica 4 dicembre 2022

LE ORIGINI DELL’ALTARE CRISTIANO

 



Nella lingua latina del mondo antico esistono tre termini per indicare questo luogo centrale del tempio o nell'area sacra della divinità: ara, altare, mensa. Il primo termine è il più frequente, il secondo è usato raramente, mentre l'ultimo indica il tavolo su cui si deponevano le offerte sacrificali oppure, nel linguaggio quotidiano, si consumava il pasto familiare.

Il vocabolo altare, utilizzato poi nel culto cristiano, è composto da un aggettivo, o participio, e da un nome: altaara. La prima parte del termine potrebbe derivare sia dall'aggettivo latino altus/ta/um, ovvero “alto”, sia del participio del verbo álere, cioè “nutrire”: perciò può indicare una struttura alta o che sta in alto oppure che è destinata alla funzione della nutrizione. La seconda parte troverebbe la sua etimologia nel verbo arére: ardere, bruciare, quindi come “luogo del fuoco”. La natura fondamentale di ogni altare o ara nel mondo precristiano, quindi, era quella di essere una struttura elevata, normalmente di pietra, sulla quale deporre e bruciare le offerte destinate o sacrificate alla divinità, perché fossero da essa accolte e consumate. La funzione pratica dell'altare non era quella dell'immolazione cruenta delle vittime sacrificali, la cui uccisione veniva compiuta in altro luogo, ma quella di accogliere le offerte e permettere la loro combustione, quale manducazione divina.

Talvolta il rito sacrificale comportava la consumazione dell'offerta anche da parte dell'essere umano, cioè l'offerente stesso era chiamato a parteciparvi.

L'altare cristiano, tuttavia, non si inserisce in questo contesto cultuale, anzi ne prende le distanze. La sua specifica origine la troviamo non nelle are o negli altari sacrificali delle antiche religioni, compresa anche quella ebraica, ma nella tavola dell'ultima Cena.

 

Fonte: Diego Giovanni Ravelli, La Domus Ecclesiae. I luoghi della celebrazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, 81-82.  

venerdì 2 dicembre 2022

DOMENICA II DI AVVENTO (A) – 4 Dicembre 2022

 



 

Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12

 

Se la domenica scorsa ci invitava a vivere in attesa vigilante del Signore che viene, oggi siamo incoraggiati a rendere significativa questa attesa con una vita che sia già ora e qui espressione dei valori del regno di Dio che viene.

 

La prima lettura ci presenta l’immagine di una società perfetta, in apparenza utopica. Isaia la descrive con accenti toccanti: “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà...” Queste e altre raffigurazioni, che ci ricordano le favole ed i cartoni animati della nostra infanzia e che sono in contrasto con la realtà faticosa e spesso violenta che distingue la nostra vita quotidiana, vogliono esprimere una società in cui i contrasti vengono composti armonicamente e dove regna indisturbata la giustizia e la pace. Questa società, secondo il profeta Isaia, è quella inaugurata dal Messia sul quale “si poserà lo Spirito del Signore” per deporre nella storia di questo mondo un seme nuovo di giustizia e di pace.

 

Nel brano del vangelo ascoltiamo san Giovanni Battista che annuncia la venuta del Messia, il quale ci “battezzerà in Spirito Santo e fuoco”, il fuoco che brucia la pula e annienta i peccatori. Perciò il Precursore invita i suoi ascoltatori alla conversione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” E’ quindi colui che viene, il Messia, a rendere visibile la vicinanza del Regno. La società perfetta, profetizzata da Isaia, è dono dello Spirito del Messia ma esige anche la nostra operosità. Il regno messianico non diventa una realtà nel mondo senza la nostra conversione. La 3a ant. dell’Ufficio di letture ribadisce lo stesso insegnamento quando afferma: “Purifichiamo i nostri cuori, per camminare nella giustizia incontro al Re: egli viene, non tarderà”.

 

Nella seconda lettura, san Paolo dando uno sguardo rapido all’insieme delle Scritture prende atto che esse convergono sul mistero di Cristo e tracciano la via della salvezza che il cristiano è chiamato a percorrere per rimanere perseverante, trovare consolazione e tenere viva la speranza. Ma non è solo una speranza emotiva, bensì una relazione viva con il Cristo. La società perfetta di cui abbiamo parlato, è possibile solo se abbiamo “gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù” e, in questo modo, impariamo a vedere nei nostri simili i fratelli e le sorelle figli dello stesso Padre.

 

La celebrazione eucaristica è segno efficace di questo regno di giustizia e di pace, di cui attendiamo la piena realizzazione. Nell’assemblea eucaristica, infatti, si attua l’unità degli uomini in Cristo: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,17). Perciò stesso l’eucaristia ci insegna “a valutare con sapienza i beni della terra e a tenere fisso lo sguardo su quelli del cielo” (preghiera dopo la comunione).

domenica 27 novembre 2022

I LUOGHI DELLA CELEBRAZIONE

 



Diego Giovanni Ravelli, La Domus Ecclesiae. I luoghi della celebrazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2022. 271 pp. (€ 20.00).

Nella Domus Ecclesiae sono distribuiti con sapienza e armonia i luoghi della celebrazione dell’Eucaristia e dei sacramenti: l’altare, l’ambone, la sede presidenziale, il battistero e il fonte battesimale, la custodia eucaristica, il portale, il luogo della riconciliazione.

Molto probabilmente sono spazi da noi abitualmente frequentati e ben conosciuti nelle dinamiche celebrative. Tuttavia, sembra che oltre alla loro funzionalità non ci dicano più nulla: rimangono per noi spazi “insignificanti”. Romano Guardini, nel suo famoso e prezioso libretto I santi segni, fa un’amara constatazione: “Viviamo in un mondo di segni, ma la realtà che essi significano l’abbiamo perduta”. Sappiamo forse bene a cosa servono e a quale funzione sono destinati, ma non ci dicono altro. Rimangono segni muti, ingrigiti dall’abitudine e di cui abbiamo perso quel ricco senso intrinseco da essi significato.

Il percorso di questo libro si propone come una via mistagogica che ci introduce nei luoghi liturgici dell’edificio cultuale, arricchiti dall’arte e dal genio umano, per interrogarli e riscoprirli come “segni” che, ancora prima del loro compito funzionale, ci “parlano” – come direbbe proprio Guardini – con la loro stessa presenza, attraverso un linguaggio simbolico che, senza servirsi della parola, sa arrivare alla mente e al cuore del credente.

(Quarta di copertina)

1. Varcare il portale della chiesa.

2. L’ambone, luogo dell’annuncio della Parola.

3. Il battistero e il fonte battesimale, luogo e memoria della rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo.

4. L’altare, segno visibile del mistero di Cristo e mensa sacrificale del convito pasquale.

5. Una custodia per l’Eucaristia.

6. La sede della presidenza liturgica.

7. Un luogo per celebrare la Penitenza e la Riconciliazione.

  

 

venerdì 25 novembre 2022

DOMENICA I DI AVVENTO (A) – 27 Novembre 2022

 



 

 

Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44

 

In questa domenica I di Avvento, ricordiamo che noi tutti siamo in cammino verso la Gerusalemme celeste e ne esprimiamo la gioia quando diciamo col salmista: “Quale gioia, quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore»” (salmo responsoriale). All’inizio dell’Anno liturgico siamo invitati a riprendere con rinnovato coraggio il nostro cammino verso la patria del cielo, in un gioioso contesto di comunione e di pace, ma anche in attesa vigilante del Signore che viene.

 

L’Avvento ricorda le due venute del Signore e le mette in intimo rapporto, la prima nel mistero della incarnazione e la seconda alla fine dei tempi: “Al suo primo avvento nell’umiltà della condizione umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria, ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa” (prefazio dell’Avvento I). Questa I domenica è tutta quanta incentrata sulla venuta del Signore alla fine dei tempi, alla quale siamo invitati a prepararci. Quando facciamo delle scelte nella vita di ogni giorno, le facciamo avendo davanti l’immagine di un futuro che intendiamo raggiungere: economico, sociale, culturale, ecc. Oggi siamo invitati a farle guardando anche al futuro di Dio, di un Dio che è venuto, viene e verrà per noi.

 

Il brano evangelico raccoglie alcune parole di Gesù in cui egli afferma che l’incontro con lui alla fine del nostro pellegrinaggio terreno sarà improvviso e inatteso. Il testo evangelico è tutto focalizzato sull’incertezza del quando, che viene ripetuta tre volte: “vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà…”. Siamo invitati quindi a risvegliare in noi uno spirito vigilante. La vigilanza è la capacità di essere presenti a ciò che si vive. Non si tratta di una vigilanza passiva e inoperosa, ma attiva e dinamica; dobbiamo andare incontro al Cristo che viene e dobbiamo farlo “con le buone opere” (colletta). Tutta la vita deve essere una preparazione prolungata e fedele ad accogliere Cristo che viene. Un messaggio simile lo troviamo nella prima lettura, in cui il profeta ci esorta a percorrere il nostro cammino “nella luce del Signore”. Nella lettura apostolica, san Paolo, riprendendo il simbolismo della luce e, dopo aver ricordato che siamo nella notte in attesa dell’alba luminosa dell’avvento di Cristo, ci invita a svegliarci perché il giorno della salvezza è vicino. In questo contesto, l’Apostolo aggiunge che dobbiamo gettare via le “opere delle tenebre” e comportarci “come in pieno giorno”. Il futuro verso il quale camminiamo deve innestare nel presente la tensione per l’impegno nei valori che, vissuti nel presente, conducono al possesso di quelli futuri e definitivi. Ogni attimo della nostra vita è impastato di eternità. Perdere la memoria del futuro equivale ad appiattire il presente. Il cristiano essendo un uomo di memoria, è un uomo di attesa. La nostra esistenza di credenti è destinata a svolgersi, come è naturale, in seno alla storia concreta degli uomini ma allo stesso tempo è chiamata a far lievitare la storia con la novità della speranza, cioè con la fede nel progetto di salvezza che Dio compie nella storia.

 

La partecipazione all’eucaristia è “pegno della redenzione eterna” (orazione sulle offerte), ci sostiene nel nostro cammino e ci guida ai beni eterni (cf. orazione dopo la comunione).

domenica 20 novembre 2022

ALMA REDEMPTORIS MATER

 



 

"O santa Madre del Redentore, porta dei cieli, stella del mare, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere. Tu che accogliendo il saluto dell’angelo, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, madre sempre vergine, pietà di noi peccatori".

È considerato probabile autore di questa antifona, così come della Salve, Regina, Hermann der Lahme (1013-1054) (in latino, Hermannus Contractus), cronista tedesco, monaco dell'abbazia benedettina di Reichenau. Compose, oltre a vari scritti di matematica, astronomia e teoria musicale, una Cronaca Universale.  L'antifona riprende temi e titoli mariani dal più antico inno Ave, maris stella (IX secolo).  Nel XII secolo fu cantata come antifona dell’Ora sesta nella festa dell'Assunzione della Vergine Maria.

Il testo elogia l'eccellenza della Madre del Redentore, illustrata con due titoli: "porta dei cieli" e "stella del mare" (simboli poetici popolari nel XII secolo), e invoca la sua intercessione: "soccorri il tuo popolo che anela a risorgere". Maria, avendo accolto con fede le parole dell'angelo, ha generato – "nello stupore di tutto il creato" – il Creatore e di conseguenza, rimanendo sempre vergine, è fonte di misericordia per tutti noi peccatori. Per la memoria dell'annuncio dell'angelo e della divina maternità della Vergine, l'antifona viene solitamente cantata preferibilmente nel tempo di Avvento e Natale.

La Vergine Maria è chiamata "la porta dei cieli". La porta che ci introduce nello spazio divino è Cristo (cfr. Gv 10,7). Con la metafora della porta (porta, ostium, ianua, limen), i Padri della Chiesa indicano anche Maria Santissima, evidenziando il suo ruolo di nuova Eva. Tra gli autori medievali, possiamo citare alla fine del IX secolo, Milón de Saint-Amand (809-872), monaco, autore di una Vita Sancti Amandi e di un Carmen de sobrietate, antologia di esempi tratti dalla Bibbia. In quest'ultima opera, l'autore invoca Maria con queste parole: "Tu portas paradisi aperis quas clauserat Eva...” Per quanto riguarda la tipologia Eva-Maria, il Medioevo riflette una lunga tradizione che ritroviamo già nel II secolo: per la prima volta in Giustino e con maggior peso teologico in Ireneo di Lione. Il nodo della disobbedienza di Eva ha trovato una soluzione grazie all'obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato con la sua incredulità, Maria lo ha sciolto con la sua fede obbediente.

La terza edizione tipica del Missale Romanum di Paolo VI ha aggiunto una nuova antifona, proveniente dall'ambiente della liturgia bizantina. Si canta in processione con i ceri nella festa della Presentazione del Signore; il testo inizia con queste parole: "Adorna thalamum tuum, Sion, et suscipe Regem Christum: amplectere Mariam, quae est caelestis porta: ipsa enim portat Regem gloriae novi hominis..." È l'unica volta che troviamo nel Missale Romanum il titolo mariano di "porta dei cieli" in un contesto che manifesta il carattere cristologico della festa.  Papa Francesco, all'Angelus della Solennità dell’Assunta, il 15 agosto 2019, si è rivolto ai fedeli con queste parole: "... Maria è assunta in cielo: piccola e umile, è la prima a ricevere la gloria più alta. Lei, che è una creatura umana, una di noi, raggiunge l'eternità nel corpo e nell'anima. E lì ci aspetta, come una madre aspetta che i suoi figli tornino a casa. Infatti, il popolo di Dio la invoca come 'porta del cielo'..."

L'origine del titolo "stella del mare", dato alla Vergine Maria, si ispira al brano di 1Re 18,41-45, che narra la fine della lunga siccità che il profeta Elia aveva annunciato. Il servo del profeta intravede, dalla cima del Monte Carmelo, una piccola nuvola che si alza dal mare e promette pioggia. Su questa base, San Girolamo, Sant'Isidoro di Siviglia, Alcuino, Rabano Mauro e molti altri hanno promosso l'uso di questo titolo mariano. La nuvoletta apparsa sul Monte Carmelo è stata considerata un annuncio di Maria. Quella piccola nuvola, contemplata da Elia come presagio della benedizione della pioggia, è stata vista come presagio della presenza benefica di Maria. Lei, la piccola "serva del Signore" (cfr. Lc 1,38), piccola e feconda come la piccola nuvola del Carmelo, con la sua fede e la sua disponibilità al progetto salvifico di Dio, ha rappresentato per l'umanità un nuovo inizio nella storia della salvezza. Da sempre scelta da Dio, ci ha donato il Verbo eterno fatto carne, pieno di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14). 

Nelle Litanie della Vergine o "lauretane" troviamo la invocazione porta del cielo; per quanto riguarda il secondo titolo mariano analizzato, le Litanie contengono un titolo simile: stella del mattino. Nella Collectio Missaarum di B.M.V., pubblicata nel 1986, il formulario della Messa n. 46, l'ultimo del Tempo Ordinario e dell'intera Collectio, è dedicato alla Beata Maria Virgo, ianua caeli.

 

Fonte: Matias Augé, Análisis de algunas antífonas marianas, in  Ephemerides Mariologicae 72 (2022) 295-305 [qui 297-299]. Nella traduzione abbiamo ommesso le note.

sabato 19 novembre 2022

DOMENICA XXXIV DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 20 Novembre 2022 NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

 


 

2Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43

 

L’anno liturgico si chiude con questa domenica, dedicata a Cristo re dell’universo, chiave di lettura del mondo e della storia. In concreto, la solennità odierna propone la regalità di Cristo nella sua luce biblica e non in quella sociologica. Bisogna quindi evitare le ambiguità che hanno talvolta caratterizzato questa festa in un passato non lontano. Il dominio regale di Cristo si esercita sull’universo e sugli individui piuttosto che sulle società. Infatti, le letture bibliche insistono sull’aspetto escatologico, e cioè ultraterreno e spirituale della regalità di Cristo. “Il Regno non si compirà attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 677).

 

La prima lettura narra l’unzione di Davide consacrato a re d’Israele. La figura di Davide prefigura quella di Cristo, l’Unto per eccellenza (cf I Vespri, ant. Al Magn.). La dimensione universale e cosmica della regalità di Cristo è celebrata in modo particolare nell’inno della Lettera ai Colossesi che ci viene proposto come seconda lettura: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui [Cristo] e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”. Tra l’inno paolino e la descrizione della crocifissione di Gesù corre un abisso, a prima vista inconciliabile. Infatti, il brano del vangelo ci ricorda che Gesù esercita il suo dominio non tramite la forza, ma nella debolezza della croce. Il potere che Cristo rivendica sull’uomo non è di mondana potenza, ma proposta di valori liberanti, ai quali chiede un’adesione libera e personale promettendo a colui che li accoglie, come al buon ladrone del vangelo, la partecipazione al suo regno: “oggi con me sarai nel paradiso”.

 

Il regno di Cristo si stabilisce in “ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato” (colletta). Se vogliamo quindi che Cristo re eserciti il suo potere sul mondo, dobbiamo anzitutto far sì che il suo regno si stabilisca dentro di noi, nelle profondità del nostro essere, da dove prende origine la nostra espressione, la nostra parola, le nostre opere e il nostro dinamismo interiore. Cristo regna nei nostri cuori quando “viviamo secondo la verità nella carità e cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di Cristo” (Lodi mattutine, lettura breve: Ef 4,15).

 

La celebrazione eucaristica anticipa in noi i doni del regno di Dio. Già nell’Antico Testamento la comunione tra Dio egli uomini, che caratterizzava l’avvento definitivo del Messia e del suo regno, viene rappresentata con l’immagine di un banchetto sacro al quale il Dio di Israele inviterà tutti i popoli (Is 25,6-10). Questa immagine è ripresa anche dal vangelo nella parabola del banchetto nuziale (Mt 22,1-4; Lc 14,16-24) e delle dieci vergini (Mt 25,1-13; Lc 12,35-38).

domenica 13 novembre 2022

L’ARTE NELLA LITURGIA

 



 

 

L’arte nella liturgia. “Arte” e “liturgia” sono due parole che, nella celebrazione cultuale, costituiscono un’unica realtà. Quindi più che parlare dell’arte nella liturgia, si dovrebbe parlare della liturgia come un’opera d’arte. E quando parliamo di liturgia parliamo dell’“opera di Dio” (opus Dei) celebrata dal suo popolo. La liturgia è quindi anzitutto un’opera compiuta da Dio. Perciò Benedetto XVI ha potuto affermare che “la bellezza non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis 35).  Ma la liturgia è opera di Dio in favore del suo popolo, il quale “risponde a Dio con il canto e la preghiera” (Costituzione Sacrosanctum Concilium 33). Possiamo affermare che l’arte, che è bellezza, comporta armonia. In musica, armonia indica accordo di voci e di suoni. Nella celebrazione liturgica la prima armonia è quella che si stabilisce tra l’azione di Dio e la risposta dell’assemblea celebrante. La superficialità, e talvolta perfino la banalità, addirittura la negligenza di alcune celebrazioni liturgiche distruggono questa armonia e conseguentemente minimizzano la funzione principale della liturgia: introdurci con tutto il nostro essere in un mistero che ci supera totalmente.    

Luogo proprio di riunione del popolo di Dio per le celebrazioni liturgiche, in particolare per l’Eucaristia, è l’edificio chiesa. Nella costruzione e adeguamento delle chiese, i principi artistici devono essere salvaguardati, ma vanno salvaguardate anche le esigenze del mistero in esse celebrato. Anticamente il luogo di culto era chiamato “domus ecclesiae”, cioè casa della chiesa o dell’assemblea comunitaria. Questa casa, quindi, deve costruirsi e organizzarsi in modo che rispecchi il mistero della chiesa che ivi celebra. Naturalmente, la chiesa è anche la casa del Signore: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20), ha detto Gesù. La chiesa, quindi, non dovrebbe essere un’aula di scuola, né una sala di spettacolo, né un luogo per assemblee sindacali, né uno spazio polivalente. La chiesa è il luogo in cui la comunità cristiana si raduna per celebrare i misteri della sua fede. Ciò che importa quindi è che questo luogo esprima una relazione dinamica dei vari punti focali della celebrazione, incarnata in elementi diversi e in una loro armonizzazione coerente.

Ecco in brevissima sintesi le caratteristiche armoniche che dovrebbero avere questi diversi elementi nello spazio della celebrazione, che non è un semplice contenitore, ma un valore simbolico e iniziatico, cioè dice la fede della Chiesa e la comunica.

venerdì 11 novembre 2022

DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( C ) – 13 Novembre 2022

 



 

 

Ml 3,19-20°; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

 

 

La fine del mondo e il giudizio universale, temi che ci propone oggi la parola di Dio, sono da considerarsi come un giorno di festa in cui Dio viene a stabilire definitivamente la giustizia. Dopo le severe parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo, può sembrare fuori posto questa affermazione.

 

Invece questo giorno, che la Bibbia chiama “giorno del Signore”, è descritto dalla prima lettura come “un giorno rovente come un forno”, in cui Dio annienterà i superbi e gli ingiusti, ma salverà coloro che hanno timore del suo nome, e cioè quelli che servono Dio con fedeltà. Per questi “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (cf anche I Vespri, ant. al Magn). Il vangelo raccoglie le parole di Gesù sulla fine del Tempio di Gerusalemme. E quando gli chiedono: “Signore, quando accadrà questo…?”, Gesù non risponde, ma prende l’occasione per portare l’attenzione dei suoi discepoli sugli ultimi tempi, di cui ne rivela l’incertezza del giorno e dell’ora. In attesa del compimento della vicenda terrena, ci viene dato come codice di comportamento l’esortazione di san Paolo ai cristiani di Tessalonica: in attesa del trionfo della giustizia, in attesa che il male sia vinto, l’Apostolo ci invita a vivere la nostra vita nella pace lavorando, cercando di non essere di peso agli altri, guadagnandoci così il nostro destino. Questa esortazione coincide con l’affermazione di Gesù che conclude il discorso sulla fine dei tempi con queste parole: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (II Vespri, ant. al Magn.).

 

La perseveranza è frutto della grazia, è frutto dello Spirito, ma è anche risposta coerente e quotidiana della nostra volontà al dono di Dio. La vita cristiana non è passiva attesa di doni che piovono dal cielo; è invece ricerca appassionata, impegno generoso che si traduce in un concreto sforzo per testimoniare la giustizia e la salvezza di Dio. In questo mondo siamo di passaggio. Tante volte invece le realtà terrene ci si offrono in tutta la loro forza seducente, in modo che non è facile mantenersene liberi. Il nostro sguardo deve rivolgersi verso quei beni che ci procurano “felicità piena e duratura” (colletta). A questo proposito, sant’Agostino dice che il cristiano deve “servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo” (Ufficio delle letture, 2a lettura). Dio ha progetti di pace su di noi, non progetti di sventura (cf ant. d’ingresso, Ger 29,11). Infatti, dopo le severe parole di Gesù, abbiamo ascoltato che egli afferma: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Pertanto, il linguaggio immaginoso che usa la Scrittura per descrivere il giorno finale non deve incutere paura. Non serve vivere in attesa ansiosa e oziosa del futuro. L’attesa cristiana si chiama speranza, la quale non è né ansiosa né oziosa ma attiva. La vita è amministrazione di un dono che ci è stato -affidato, quindi è responsabilità. Bisogna prendere sul serio il tempo presente. Siamo chiamati non all’evasione dal mondo, ma a costruire qui e ora le premesse che preparano l’avvento definitivo del regno di Dio.

 

Il Signore che verrà alla fine dei tempi come giudice è realmente presente nell’Eucaristia sotto gli umili segni sacramentali del pane e del vino. Nell’Eucaristia quindi è racchiusa e già in atto la beata speranza che alimenta l’attesa e il desiderio della Chiesa e di ogni credente nel ritorno del Signore. Perciò possiamo gridare ai quattro venti con gli antichi cristiani: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).

 

 

domenica 6 novembre 2022

PERCHÉ LA LITURGIA È BELLA?

 



 

Il bello sensibile prodotto dalla creatività dell'uomo è al servizio della gloria di Dio e dell'incontro salvifico con Dio che i battezzati sono chiamati a vivere. La liturgia ha bisogno della bellezza non come una sovrastruttura ornamentale ma per sua intrinseca natura, perché l'“oggetto” stesso che celebra - il mistero di Dio che ha il suo culmine nella Pasqua di Cristo - è splendore di bellezza.

Come canta un antico inno “ci ha raccolti in unità l'amore di Cristo”: ecco ciò che conferisce alla liturgia la sua dimensione estetica. Dio è amore (1 Gv 4,8): questa è la vera bellezza divina. Ogni liturgia attualizza questa storia d'amore con Dio per l'umanità. Più che da quello che ci inventiamo, la bellezza della liturgia scaturisce dall’iniziativa divina, che spazza via tutte le nostre mediocrità e ci predispone, gli uni accanto agli altri, in vista di un fine che ci supera. La bellezza nella liturgia non è qualcosa di statico ma di dinamico, vivente: è Dio stesso presente. La liturgia è il luogo dove la preghiera dà spazio all’irrompere della bellezza e grandezza di Dio.

Per estensione la liturgia e splendore di bellezza anche nei “santi segni” della sua ritualità: è bellezza nei canti, nella musica, nell’arte e nell'architettura sacra, nell'icone, nell'arredo e nelle vesti liturgiche, nella stessa arte di celebrare.

 

Fonte: Loris Maria Tomassini, Nel segno della bellezza. Bellezza, liturgia e sensi spirituali, Cittadella 2022, pp. 53-54.