La liturgia è “l’esercizio della funzione (munus) sacerdotale di Cristo” (SC 7); è anche opera della Chiesa, in cui “ciascuno, svolge il proprio ufficio (munus)” (SC 28). I pastori “esercitano in essa la funzione (munus) di dispensatori dei misteri di Dio” (SC 19). Partecipando alla liturgia il Signore “fa di noi stessi un’offerta (munus) eterna a lui” (SC 12). “Munus” può esprimere bene il mistero liturgico nella sua globalità.
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domenica 25 febbraio 2024
IL SACRO
Ho incontrato il sacro, gli
sono andato incontro, in Bosnia. Erano pietre: di moschee, di chiese cattoliche
e ortodosse, scombinate a terra a mucchio, là dove erano cadute. La materia di
fabbrica spezzata conteneva l’intero, perché il residuo, il rimasuglio assorbe
in sé il perduto. L’odio che abbatte il sacro in fondo lo restaura. Le solenni
architetture che non mi avevano procurato l’accidente dell’incontro, ridotte in
rovina dalle artiglierie, senza più polvere di crollo, lustrate dalle piogge e
dalla neve, diventavano sacre. I sensi di un passante, uno straniero lento alle
chiamate, avvisavano questo: che il sacro è crollo e poi risurrezione, non
permanenza eterna di solidità, stabilità di luoghi e procedure. Abramo doveva
alzare il coltello sulla nuda gola del figlio e Gesù non poteva morire di
vecchiaia. Solo dopo i sensi, che hanno incontrato le macerie dei culti, si fa
nitido il verso del profeta Michea/Micà che scrive: “Ki nafàlti kàmti” (7,8):
“quando sono caduto mi sono alzato”. Dentro il frattempo dei crolli esiste e
resiste il sacro, anche per uno senza credo, e che soltanto legge.
Fonte: Erri De Luca, Cercatori
d’acqua (Le perline), Giuntina, Firenze 2023, pp. 70-71.
venerdì 23 febbraio 2024
DOMENICA II DI QUARESIMA (B) – 25 Febbraio 2024
Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc
9,2-10
Dio
promette ad Abram una terra e una discendenza numerosa, però egli dovrà
iniziare un cammino di obbedienza: Vattene dal tuo paese verso il paese che io
ti indicherò. Dopo qualche tempo, Dio stesso gli cambierà il nome per indicare
che Dio conferisce ad Abram una nuova personalità: non si chiamerà più Abram,
ma Abramo, che significa “padre di una moltitudine di popoli”. Abramo si è
fidato di Dio ed è partito per una terra sconosciuta. Ma dove l’obbedienza di
Abramo appare in tutta la sua grandezza è quando si dispone, in obbedienza al
comando di Dio, a rinunciare al suo unico figlio Isacco. Il sacrificio del
proprio figlio è profezia del sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo.
Abramo non si ribella a Dio, non si mette a discutere, non dubita, si fida di
Lui. Quando poi sta per immolare il proprio figlio Isacco, la sua mano è
fermata dall’angelo e sente la voce di Dio che gli dice: Ora so che tu temi Dio
e non mi hai rifiutato il tuo unico figlio. Abramo chiamò quel luogo “Il
Signore provvede”. Anche Cristo, obbediente al disegno del Padre, si offre
sulla croce fiducioso che Dio provvede.
La
storia di Abramo illumina il racconto del brano evangelico d’oggi, in cui ci
viene raccontato l’episodio della trasfigurazione. San Marco colloca questo
racconto tra due predizioni della passione. È per far capire ai discepoli che
la sua morte e la sua risurrezione costituiscono un mistero unitario, il
mistero della nostra salvezza. Il momento culminante del brano evangelico, il
vertice del racconto della trasfigurazione sono le parole del Padre ascoltate
dai tre discepoli presenti: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”.
Noi,
come Abramo e come Gesù siamo invitati a percorrere un cammino di obbedienza
nella certezza che Dio provvede. Anche se ci viene chiesto talvolta un cammino
di sofferenza e di rinuncia, siamo invitati ad ascoltare la voce del Signore e
ad aver fiducia in colui che ha “parole di vita eterna”.
Come
sintesi di questo messaggio che la Parola di Dio oggi ci trasmette, possiamo
ripetere nel nostro cuore più volte durante la giornata il versetto del salmo
responsoriale di questa Messa: “Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo
infelice”. L’autore del salmo canta la sua totale fiducia nell’amore divino
anche quando l’infelicità occupa l’orizzonte della sua vita. Ancora all’inizio
della Quaresima, riaffermiamo la volontà di percorrere il nostro cammino
battesimale fatto soprattutto di fede e di umile accettazione del progetto di
Dio su di noi anche quando non riusciamo a comprendere sempre la logica dei
percorsi che ci vengono proposti.
domenica 18 febbraio 2024
LA CHIESA HA BISOGNO DI SACERDOTI?
Martin Ebner, La Chiesa
ha bisogno di sacerdoti? (Giornale di Teologia 454), Prefazione all’edizione
italiana di Flavio Dalla Vecchia, Queriniana, Brescia 2023. 124 pp. (€ 15,00).
Riproduco in seguito le due
prime pagine (5-6) della lunga prefazione (pp. 5-20).
È noto che fin dai primi
secoli è invalso nelle chiese l’utilizzo di un vocabolario sacerdotale per
designare il ministero dei vescovi e dei presbiteri nel senso ben riassunto da Lumen
Gentium 28, mentre uno sguardo al Nuovo Testamento prospetta una situazione
assai diversa: in esso la terminologia sacerdotale non è applicata ai ministeri
ecclesiali, ed è riservata invece al solo Gesù Cristo (così la Lettera agli
Ebrei) e al sacerdozio del popolo di Dio (1Pt 2,5.9; Ap 1,6; 5,10; 20,6).
In effetti il vocabolo ἱερεύς occorre 31 volte nel Nuovo Testamento, per designare anzitutto i
sacerdoti ebrei (Mt 8,4; 12,4.5; Mc 1,44; 2,26; Lc 1,5; 5,14; 6,4; 10,31;
17,14; Gv 1,19; At 4,1; 6,7) e in un caso il sacerdote del culto pagano (At
14,13); è inoltre applicato a Cristo (Eb 5,6; 7,1.3.11.14.15.17.20.21.23; 8,4;
9,6; 10,11.21) e al popolo di Dio (Ap 1,6; 5,10; 20,6); risalta infine la
totale assenza del vocabolo nell’epistolario paolino, che pure dedica ampio spazio
all’apostolato e ad altre funzioni esercitate nella chiesa. Si spiega in tal
modo perché i Riformatori, appellandosi all’autorità della sola Scriptura,
abbiano avanzato riserve e contestato la tradizione ecclesiale che attribuiva
al ministero cristiano qualità sacerdotali. In dialogo con quanto Ebner propone
in questa breve disanima non mi propongo di contestare una tradizione, ma di illustrare
le tendenze in atto nei primi tempi della chiesa, per rendere ragione dei
silenzi del Nuovo Testamento.
venerdì 16 febbraio 2024
DOMENICA I DI QUARESIMA ( B ) – 18 Febbraio 2024
Gen
9,8-15; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15
Al
brevissimo racconto che fa san Marco dell’episodio delle tentazioni di Gesù nel
deserto, il brano evangelico di questa prima domenica di Quaresima aggiunge il
primo annuncio pubblico del vangelo: “...Gesù andò nella Galilea, proclamando
il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete al vangelo»”. Le tentazioni di Gesù nel deserto e il suo
primo annuncio programmatico in Galilea formano un tutto coerente: la vittoria
di Gesù sul tentatore è segno che il tempo messianico della salvezza è
cominciato e il regno di Dio è già un fatto presente. Con Gesù la regalità di
Dio, promessa dai profeti e anticipata negli eventi biblici dell’Antico Testamento,
irrompe nella storia umana. Gli uomini non siamo più costretti a subire il
dominio di satana, la schiavitù del peccato, la paura della morte; possiamo
ormai sottometterci alla forza liberante e consolante di Dio che si manifesta
in modo efficace in Gesù Cristo. “Credere al vangelo” significa rompere con le
paure e le schiavitù del passato e aprirsi con fiducia al nuovo futuro offerto
da Dio in Cristo. San Pietro nella seconda lettura ribadisce la stessa verità
ricordandoci l’ultima vittoria di Gesù su satana nel momento decisivo della
croce: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli
ingiusti, per ricondurvi a Dio...” Annuncio efficace e credibile del vangelo,
dunque, fondato sull’obbedienza di Gesù che è diventata vittoria su satana.
Solo
la grazia meritata da Cristo, e comunicata a noi attraverso il sacramento del
battesimo, può operare quella trasformazione interiore che ci rende “uomini e
donne nuovi” in Cristo. Ma, come ricorda san Paolo, questa grazia deve essere
accolta e corrisposta: “Fratelli, vi esortiamo a non accogliere invano la
grazia di Dio...” (Primi Vespri, lettura breve: 2Cor 6,1-4ª). La tradizione
cristiana ha comparato l’acqua del battesimo alle acque del diluvio, di cui parla
la prima lettura: Dio ha purificato l’umanità con il diluvio per ristabilire
l’alleanza con il giusto Noè e la sua famiglia, principio di una nuova umanità.
Così anche il battesimo ci purifica dal peccato e, rinati a una vita nuova, ci
offre la possibilità di ristabilire saldi rapporti di amicizia con Dio. Il
battesimo è quindi il segno visibile dell’alleanza nuova e definitiva che Dio
sancisce con gli uomini nel sangue di suo Figlio.
Il
Tempo quaresimale che stiamo iniziando è un periodo propizio per prendere
coscienza della realtà profonda del nostro battesimo e rinsaldare così la
nostra alleanza con il Signore. Dio rinnova nei secoli la sua alleanza con tutte
le generazioni. L’alleanza è la spina dorsale di tutta la storia della salvezza,
tanto nella fase di preparazione che in quella di compimento. Si può dire anzi
che tutti i rapporti fra Dio e l’umanità, fra Dio e la Chiesa e fra Dio e
ciascuno di noi si fondino sull’alleanza.
martedì 13 febbraio 2024
MERCOLEDI DELLE CENERI – 14 Febbraio 2024
Gl
2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
La
Quaresima che oggi iniziamo non propone nulla di straordinario rispetto alle
esigenze fondamentali della vita cristiana. Esse vengono solo richiamate con
insistenza perché ci si sforzi, sul piano personale e comunitario, di
integrarle o reintegrarle meglio nella vita quotidiana. Possiamo dire con san
Paolo che la Quaresima è semplicemente un “momento favorevole” per fare una
verifica attenta della nostra vita e renderla così sempre più conforme alle
esigenze del nostro battesimo.
La grazia del battesimo non libera la nostra natura dalla sua debolezza, né dall’inclinazione al peccato che la tradizione chiama “concupiscenza”, la quale rimane in noi anche dopo il battesimo perché sosteniamo le prove quotidiane nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo. Nelle invocazioni delle Lodi mattutine di questo Mercoledì delle Ceneri l’itinerario quaresimale viene presentato come un tempo per “ricuperare pienamente il senso penitenziale e battesimale della vita cristiana”. Questo itinerario è fatto d’un “morire” e d’un “risorgere”.
Si tratta di un “cammino di conversione”. “Convertirsi” è una scelta che comporta un cambiamento radicale del modo di pensare e di vivere, si tratta cioè di acquisire un modo di pensare e di vivere secondo il vangelo, come ci ricordano le parole con cui viene imposta su ciascuno di noi la cenere all’inizio della Quaresima: “Convertitevi, e credete al vangelo” (Mc 1,15).
Nel
nostro cammino quaresimale siamo quindi chiamati a prendere una più lucida
coscienza della realtà e delle esigenze del proprio battesimo. Seguendo la
dottrina dei Padri, pratiche quaresimali tradizionali atte a raggiungere questo
scopo sono il digiuno, l’elemosina e la preghiera. La preghiera nutre la nostra
fede; il digiuno è espressione della speranza nei beni futuri; l’elemosina ci invita
ad approfondire la virtù della carità.
Le
tradizionali pratiche quaresimali vanno accompagnate dall’ascolto assiduo della
parola di Dio Il cammino quaresimale è quindi un cammino di fede, che non può
essere fatto senza un costante riferimento alla parola di Dio.
domenica 11 febbraio 2024
LA CRISI DI CREDIBILITA’ DELLA CHIESA
Non mancano coloro che credono
che la soluzione alla crisi di credibilità che la Chiesa attraversa stia in un
ritorno al passato, ossia a una Chiesa forte e potente, ammantata di quell’alone
sacrale di cui si soffrirebbe la perdita. Una Chiesa di nuovo aperta al divino,
ben distinta all’interno in chierici e laici e, soprattutto, ben appariscente
nelle forme di un culto incomprensibile e proprio per questo pieno di fascino.
Va detto che alla schiera dei
cristiani che rimpiangono le forme del passato si uniscono anche i cosiddetti “atei
devoti”, pronti a protestare se, ad esempio, la formula del “Padre nostro”
cambia, e non perché hanno a cuore la teologia che eventualmente vi soggiace,
ma solo per amore di continuità nostalgica e romantica.
Il che cosa fare insomma è
quanto mai urgente. Occorre acquisire la lingua della cultura corrente e d’altra
parte tenere fermo il messaggio in quello che ha di essenziale.
Fonte: cfr. Cettina Militello, Le chiese alla svolta.
Ripensare i ministeri, EDB 2023, p. 103.
sabato 10 febbraio 2024
DOMENICA VI DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 11 Febbraio 2024
Lv
13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45
Dopo
l’intensa giornata di Cafarnao, narrata dal brano evangelico nelle domeniche
anteriori, ecco ora Gesù davanti a un lebbroso, che lo supplica in ginocchio:
“Se vuoi puoi purificarmi!”. Nessuna indicazione di luogo, in questo caso. La
folla sembra improvvisamente scomparsa. Evidentemente Marco ha voluto fissare
solo il faccia a faccia fra Gesù e questo malato anonimo, in rappresentanza di
tutti gli altri. Secondo le usanze dell’antico Vicino Oriente, riprese dalla
legge dell’Antico Testamento, colui che era colpito dalla lebbra era segregato,
separato dal contatto con gli altri. Si può ben dire che il malato di lebbra
era considerato fuori dell’area della salvezza, uno scomunicato, un cadavere
ambulante. La lebbra costituiva un simbolo attorno al quale si addensavano
paure, tabù, dogmi scientifici e religiosi. Ne è testimone il frammento della
legislazione del Levitico circa la lebbra che abbiamo ascoltato come prima lettura. L’incubo legale e religioso di questa
malattia è decisivo per comprendere il dramma umano e religioso del lebbroso,
di cui parla il vangelo di questa domenica, e al tempo stesso l’originalità e
la forza provocatoria del gesto compiuto da Gesù. Il lebbroso del vangelo sfida
la segregazione in cui era costretto a vivere, va con fede davanti a Gesù, il
quale mosso a compassione lo guarisce e poi lo manda dal sacerdote perché egli
possa essere reinserito ufficialmente nel contesto sociale. Il gesto e la
parola efficace di Gesù restituiscono all’uomo quello statuto di purità, integrità
e salute che gli consentiranno di vivere in maniera libera con gli altri
davanti a Dio.
Cristo
è venuto ad instaurare un nuovo atteggiamento verso la sofferenza dell’uomo e,
in particolare, verso coloro che sono emarginati. Guarendo il lebbroso, Gesù si
rivela come colui nel quale Dio si fa prossimo agli uomini: a tutti gli uomini,
anche a coloro che sono esclusi ed emarginati. Gesù è una prossimità che supera
le distanze e le barriere costruite dal nostro egoismo. In questo modo, Gesù ci
insegna ad agire anche noi in modo simile. Ciò è possibile, come dice san Paolo
nella seconda lettura, solo se ci si impegna a cercare non il proprio interesse
“ma quello di molti, perché giungano alla salvezza”. Siamo quindi chiamati a
controllare l’atteggiamento verso i nostri simili per eliminare ogni forma di
esclusione, di emarginazione anche sottile presente talvolta nel nostro modo di
pensare e di operare. Ci possiamo domandare: chi sono i “lebbrosi” oggi, i
diversi? Chi sono gli esclusi della nostra società? Quale tipo di comportamento
abbiamo di fronte ad essi? Abbiamo dei pregiudizi? Ci lasciamo trascinare
talvolta da un egoismo mascherato di perbenismo, di buon senso? L’azione di
Gesù è una testimonianza contro tutto questo.
Chi
si avvicina con fede a Gesù, come il lebbroso del vangelo, viene “purificato”.
Così pure chi si avvicina con fede all’eucaristia, viene purificato dal peccato
e ritrova la vera vita.
giovedì 8 febbraio 2024
DISCORSO DI PAPA FRANCESCO ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
Sala Clementina
Giovedì, 8 febbraio 2024
_________________________________
Cari fratelli e sorelle!
Vi incontro in occasione della
vostra Assemblea Plenaria. Saluto il Cardinale Prefetto e tutti voi, Membri,
Consultori e Collaboratori del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti.
A sessant’anni dalla promulgazione
della Sacrosanctum Concilium, non smettono di
entusiasmare le parole che leggiamo nel suo Proemio, con le quali i
Padri dichiaravano la finalità del Concilio. Sono obiettivi che descrivono una
precisa volontà di riforma della Chiesa nelle sue dimensioni fondamentali: far
crescere ogni giorno di più la vita cristiana dei fedeli; adattare meglio alle esigenze
del nostro tempo le istituzioni soggette a mutamenti; favorire ciò che può
contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo; rinvigorire ciò che giova
a chiamare tutti nel seno della Chiesa (cfr SC, 1). Si tratta di un lavoro di
rinnovamento spirituale, pastorale, ecumenico e missionario. E per poterlo
realizzare i Padri conciliari sapevano bene da dove dover cominciare, sapevano
«di doversi occupare in modo speciale anche della riforma e della promozione
della liturgia» (ibid.). È come dire: senza riforma
liturgica non c’è riforma della Chiesa.
Possiamo fare una tale affermazione
solo comprendendo che cos’è la liturgia in senso teologico, così come i primi
numeri della Costituzione sintetizzano in modo mirabile. Una Chiesa che non
sente la passione per la crescita spirituale, che non cerca di parlare in modo
comprensibile agli uomini e alle donne del suo tempo, che non prova dolore per
la divisione tra i cristiani, che non freme per l’ansia di annunciare Cristo
alle genti, è una Chiesa malata, e questi ne sono i sintomi.
Ogni istanza di riforma della
Chiesa è sempre questione di fedeltà sponsale: la Chiesa Sposa sarà sempre più
bella quanto più amerà Cristo Sposo, fino ad appartenergli totalmente, fino
alla piena conformazione a Lui. E su questo, dico una cosa sulle ministerialità
della donna. La Chiesa è donna, la Chiesa è madre, la Chiesa ha la sua figura
in Maria e la Chiesa-donna, la cui figura è Maria, è più che Pietro, cioè è
un’altra cosa. Non si può ridurre tutto alla ministerialità. La donna in sé
stessa ha un simbolo molto grande nella Chiesa come donna, senza ridurla alla
ministerialità. Per questo ho detto che ogni istanza di riforma della Chiesa è
sempre questione di fedeltà sponsale, perché è donna. I Padri conciliari sanno
di dover mettere al centro la liturgia, perché è il luogo per eccellenza in cui
incontrare Cristo vivo. Lo Spirito Santo, che è la preziosa dote che lo Sposo
stesso, con la sua croce, ha provveduto per la Sposa, rende possibile
quella actuosa participatio che continuamente anima e rinnova
la vita battesimale.
Lo scopo della riforma liturgica –
nel quadro più ampio del rinnovamento della Chiesa – è proprio di «suscitare
quella formazione dei fedeli e promuovere quell’azione pastorale che abbia come
suo culmine e sua sorgente la sacra Liturgia (Istr. Inter oecumenici,
26 settembre 1964, 5).
Perché tutto questo possa accadere
è, dunque, necessaria la formazione liturgica, cioè alla liturgia
e dalla liturgia, sulla quale state riflettendo in questi
giorni. Non si tratta di una specializzazione per pochi esperti, ma di una
disposizione interiore di tutto il popolo di Dio. Ciò naturalmente non esclude
che vi sia una priorità nella formazione di coloro che, in forza del sacramento
dell’Ordine, sono chiamati ad essere mistagoghi, cioè a prendere per mano e
accompagnare i fedeli nella conoscenza dei santi misteri. Vi incoraggio a
proseguire in questo vostro impegno affinché i pastori sappiano condurre il
popolo al buon pascolo della celebrazione liturgica, dove l’annuncio di Cristo
morto e risorto diventa esperienza concreta della sua presenza che trasforma la
vita.
Nello spirito di collaborazione
sinodale tra i Dicasteri – auspicata nella Praedicate Evangelium (cfr n. 8) –
desidero che la questione della formazione liturgica dei ministri ordinati sia
trattata anche con il Dicastero per la Cultura e l’Educazione, con
il Dicastero
per il Clero e con il Dicastero
per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica,
così che ciascuno offra il proprio specifico contributo. Se «la liturgia è il
culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da
cui promana tutta la sua energia» (SC, 10), occorre fare in modo che anche la
formazione dei ministri ordinati abbia sempre più un’impronta
liturgico-sapienziale, sia nel curriculum degli studi
teologici sia nell’esperienza di vita dei seminari.
Infine, mentre prepariamo nuovi
percorsi formativi per i ministri, dobbiamo contemporaneamente pensare a quelli
destinati al popolo di Dio. A partire dalle assemblee che si radunano nel
giorno del Signore e nelle feste dell’anno liturgico: esse costituiscono la
prima concreta opportunità di formazione liturgica. E così pure possono esserlo
altri momenti in cui la gente maggiormente partecipa alle celebrazioni e alla
loro preparazione: penso alle feste patronali, o ai Sacramenti dell’iniziazione
cristiana. Preparate con cura pastorale, diventano occasioni favorevoli perché
la gente possa riscoprire e approfondire il senso del celebrare oggi il mistero
della salvezza.
«Andate a preparare per noi […] la
Pasqua» (Lc 22,8): queste parole di Gesù, che ispirano le vostre
riflessioni in questi giorni, esprimono il desiderio del Signore di averci
attorno alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Sono un imperativo che ci
raggiunge come un’amorevole supplica: impegnarsi nella formazione liturgica
vuol dire corrispondere a questo invito perché “possiamo mangiare la Pasqua” e
vivere un’esistenza pasquale, personale e comunitaria.
Cari fratelli e sorelle, il vostro
compito è grande e bello: lavorare perché il popolo di Dio cresca nella
consapevolezza e nella gioia di incontrare il Signore celebrando i santi
misteri e, incontrandolo, abbia vita nel suo nome. Vi ringrazio tanto per il
vostro impegno e vi benedico di cuore. La Vergine Santa vi custodisca. E per
favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice
Vaticana
domenica 4 febbraio 2024
LA RIFORMA LITURGICA (Giornata di studio)
PONTIFICIA UNIVERSITA DELLA SANTA CROCE
LA RIFORMA
LITURGICA
Giornata di studio
La riforma liturgica tra
storia e teologia
a 60 anni dalla “Inter
Oecumenici” (1964-2024)
Mercoledì 21 febbraio 2024
Tel. +39 06 68164500
8.45 Accoglienza dei partecipanti
9.00 Saluto iniziale
Rev. Prof. Philip Goyret
Decano della Facoltà di Teologia
Pontificia Università della Santa Croce
9:15 Inter Oecumenici: chiavi teologiche
dell’implementazione di Sacrosanctum
Concilium
S.E.R. Mons. Vittorio Francesco Viola
Segretario del Dicastero per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti
10:00 Un caso di studio: dalla teologia della
Parola alla riscoperta dell’ambone in Inter
Oecumenici
Rev. Prof. Fernando López-Arias
Pontificia Università della Santa Croce
10.30 Intervallo
11:00 Status quaestionis delle ricerche sulla
Riforma Liturgica
Sr. Elena Massimi, FMA
11:30 Il P. Carlo Braga CM, protagonista della
Riforma Liturgica, e il suo archivio
Rev. Yoseph Indra Kusuma
Pontificia Università della Santa Croce
11:50 Dialogo con i relatori
Modera Rev. Prof. Juan Rego
Direttore dell’Istituto di Liturgia
Pontificia Università della Santa Croce
12.30 Fine della Giornata
www.unisantacroce.it/teo/liturgia24
Partecipazione
gratuita
con iscrizione on
line
sabato 3 febbraio 2024
NOTA SULLA VALIDITA' DEI SACRAMENTI
DICASTERO
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
NOTA
GESTIS
VERBISQUE
SULLA
VALIDITÁ DEI SACRAMENTI
Presentazione
Già in occasione dell’Assemblea Plenaria del Dicastero del gennaio
2022, i Cardinali e i Vescovi Membri avevano espresso la loro preoccupazione
per il moltiplicarsi di situazioni in cui si era costretti a costatare
l’invalidità dei Sacramenti celebrati. Le gravi modifiche apportate alla
materia o alla forma dei Sacramenti, rendendone nulla la celebrazione, avevano
poi condotto alla necessità di rintracciare le persone coinvolte per ripetere
il rito del Battesimo o della Cresima ed un numero importante di fedeli hanno
giustamente espresso il loro turbamento. Ad esempio, invece di usare la formula
stabilita per il Battesimo, si sono utilizzate formule come quelle che seguono:
«Io ti battezzo nel nome del Creatore…» e «A nome del papà e della mamma… noi
ti battezziamo». In una tale grave situazione si sono ritrovati anche dei
sacerdoti. Questi ultimi, essendo stati battezzati con formule di questo tipo,
hanno scoperto dolorosamente l’invalidità della loro ordinazione e dei
sacramenti sino a quel momento celebrati.
Mentre in altri ambiti dell’azione pastorale della Chiesa si
dispone di un ampio spazio per la creatività, una simile inventiva nell’ambito
della celebrazione dei Sacramenti si trasforma piuttosto in una “volontà
manipolatrice” e non può perciò essere invocata.[1] Modificare,
dunque, la forma di un Sacramento o la sua materia è sempre un atto gravemente
illecito e merita una pena esemplare, proprio perché simili gesti arbitrari
sono in grado di produrre un gravoso danno al Popolo fedele di Dio.
Nel discorso rivolto al nostro Dicastero, in occasione della
recente Assemblea Plenaria, il 26 gennaio 2024, il Santo Padre ha ricordato che
«mediante i Sacramenti, i credenti diventano capaci di profezia e di
testimonianza. E il nostro tempo ha bisogno con particolare urgenza di profeti
di vita nuova e di testimoni di carità: amiamo dunque e facciamo amare la
bellezza e la forza salvifica dei Sacramenti!». In questo contesto ha altresì
indicato che «ai ministri è richiesta una particolare cura nell’amministrarli e
nel dischiudere ai fedeli i tesori di grazia che comunicano».[2]
È così che, da una parte, il Santo Padre ci invita ad agire in
modo tale che i fedeli possano avvicinarsi fruttuosamente ai Sacramenti, mentre
dall’altra parte sottolinea con forza il richiamo ad una “particolare cura”
nella loro amministrazione.
A noi ministri è pertanto richiesta la forza di superare la
tentazione di sentirci proprietari della Chiesa. Dobbiamo, al contrario,
diventare assai ricettivi davanti a un dono che ci precede: non soltanto il
dono della vita o della grazia, ma anche i tesori dei Sacramenti che ci sono
stati affidati dalla Madre Chiesa. Non sono nostri! E i fedeli hanno il
diritto, a loro volta, di riceverli così come la Chiesa dispone: è in questa
maniera che la loro celebrazione è corrispondente all’intenzione di Gesù e rende
attuale ed efficace l’evento della Pasqua.
Col nostro religioso rispetto di ministri verso quanto la Chiesa
ha stabilito riguardo alla materia e alla forma di ogni Sacramento,
manifestiamo di fronte alla comunità la verità che «il Capo della Chiesa, e
dunque il vero presidente della celebrazione, è solo Cristo».[3]
La Nota che qui presentiamo non tratta perciò di
una questione meramente tecnica o persino “rigorista”. Con il pubblicarla, il
Dicastero intende principalmente esprimere luminosamente la priorità dell’agire
di Dio e salvaguardare umilmente l’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa
nei suoi gesti più sacri.
Possa questo Documento, approvato unanimemente il 25 gennaio 2024
dai Membri del Dicastero riuniti in Assemblea Plenaria e poi dallo stesso Santo
Padre Francesco, rinnovare in tutti i ministri della Chiesa la piena
consapevolezza di quanto Cristo ci ha detto: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).
Víctor
Manuel Card. FERNÁNDEZ
Prefetto
Testo della Nota: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_doc_20240202_gestis-verbisque_it.html
venerdì 2 febbraio 2024
DOMENICA V DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 4 Febbraio 2024
Gb
7,1-4.6-7; 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39
La
liturgia odierna ci invita a riflettere sullo scandalo della sofferenza nella vita
dell’uomo. I lamenti del giusto Giobbe, di cui parla la prima lettura, sono
espressione classica di quella continua ricerca di una risposta al senso della
sofferenza che percorre la storia dell’umanità e d’ognuno di noi. A Giobbe non
viene condonato nulla, la sua sofferenza non è soggetta a sconti. Sprofondato
nella tristezza del tempo volato via in fretta e del bene perduto ormai
irrimediabilmente, l’avvilimento di Giobbe è così profondo che egli non
intravede altro futuro che la morte. Giobbe grida la sua ribellione contro
questa situazione, entra in discussione con Dio e da lui vuole una spiegazione.
Ecco, quindi, che al colmo dell’angoscia, che le considerazioni dei suoi amici
non riescono ad alleviare, Giobbe si rivolge a Dio, sperando contro ogni
speranza in qualcuno che lo libererà dal baratro in cui giace.
La
risposta di Dio agli interrogativi di Giobbe e di tutta l’umanità sofferente
non è una filosofia o un convincente ragionamento. La risposta definitiva al
mistero della sofferenza ci viene data con l’avvento di Cristo, il quale è
presentato da san Marco già all’inizio della sua vita pubblica (cf. vangelo)
come colui che è efficacemente solidale con i mali dell’uomo ed è quindi capace
di liberarlo dalla sua situazione di sofferenza. In questa intensa giornata a
Cafarnao, Gesù dopo aver guarito la suocera di Pietro che era a letto con la
febbre, guarisce molti malati e indemoniati che vengono condotti a lui. Le
guarigioni operate da Gesù, che lo accompagneranno poi durante tutta la sua
vita pubblica, sono segno visibile dell’azione sovrana di Dio che in Cristo “risana
i cuori affranti e fascia le loro ferite” (salmo responsoriale). Come ricorda
il canto al vangelo, “Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle
nostre malattie” (Mt 8,17).
All’immagine
di Gesù che percorre tutta la Galilea predicando il vangelo e sanando i malati
corrisponde l’immagine di san Paolo (cf. seconda lettura) che si fa tutto a
tutti per guadagnare quanti più è possibile alla causa del vangelo. Per
l’apostolo la predicazione del vangelo non si esaurisce in un insegnamento teorico,
ma diventa personale partecipazione alla situazione di coloro cui si rivolge.
Concludendo
queste riflessioni, è doveroso che ne traiamo alcune conseguenze per noi.
L’esperienza della sofferenza è in sé una situazione ambigua, può far
attecchire l’erba velenosa della disperazione o far sbocciare il fiore della
fiducia. Alla luce della nostra fede, la sofferenza non è assurda. Anche se può
sembrare paradossale, l’esperienza della sofferenza può costituire un momento
di crescita ed essere poi il primo passo per aprirsi al desiderio della
salvezza che Cristo annuncia e comunica.