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domenica 25 febbraio 2024

IL SACRO

 


 

 

Ho incontrato il sacro, gli sono andato incontro, in Bosnia. Erano pietre: di moschee, di chiese cattoliche e ortodosse, scombinate a terra a mucchio, là dove erano cadute. La materia di fabbrica spezzata conteneva l’intero, perché il residuo, il rimasuglio assorbe in sé il perduto. L’odio che abbatte il sacro in fondo lo restaura. Le solenni architetture che non mi avevano procurato l’accidente dell’incontro, ridotte in rovina dalle artiglierie, senza più polvere di crollo, lustrate dalle piogge e dalla neve, diventavano sacre. I sensi di un passante, uno straniero lento alle chiamate, avvisavano questo: che il sacro è crollo e poi risurrezione, non permanenza eterna di solidità, stabilità di luoghi e procedure. Abramo doveva alzare il coltello sulla nuda gola del figlio e Gesù non poteva morire di vecchiaia. Solo dopo i sensi, che hanno incontrato le macerie dei culti, si fa nitido il verso del profeta Michea/Micà che scrive: “Ki nafàlti kàmti” (7,8): “quando sono caduto mi sono alzato”. Dentro il frattempo dei crolli esiste e resiste il sacro, anche per uno senza credo, e che soltanto legge.

 

Fonte: Erri De Luca, Cercatori d’acqua (Le perline), Giuntina, Firenze 2023, pp. 70-71.

venerdì 23 febbraio 2024

DOMENICA II DI QUARESIMA (B) – 25 Febbraio 2024

 



 

 

Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

 

 

Dio promette ad Abram una terra e una discendenza numerosa, però egli dovrà iniziare un cammino di obbedienza: Vattene dal tuo paese verso il paese che io ti indicherò. Dopo qualche tempo, Dio stesso gli cambierà il nome per indicare che Dio conferisce ad Abram una nuova personalità: non si chiamerà più Abram, ma Abramo, che significa “padre di una moltitudine di popoli”. Abramo si è fidato di Dio ed è partito per una terra sconosciuta. Ma dove l’obbedienza di Abramo appare in tutta la sua grandezza è quando si dispone, in obbedienza al comando di Dio, a rinunciare al suo unico figlio Isacco. Il sacrificio del proprio figlio è profezia del sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo. Abramo non si ribella a Dio, non si mette a discutere, non dubita, si fida di Lui. Quando poi sta per immolare il proprio figlio Isacco, la sua mano è fermata dall’angelo e sente la voce di Dio che gli dice: Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo unico figlio. Abramo chiamò quel luogo “Il Signore provvede”. Anche Cristo, obbediente al disegno del Padre, si offre sulla croce fiducioso che Dio provvede.

 

La storia di Abramo illumina il racconto del brano evangelico d’oggi, in cui ci viene raccontato l’episodio della trasfigurazione. San Marco colloca questo racconto tra due predizioni della passione. È per far capire ai discepoli che la sua morte e la sua risurrezione costituiscono un mistero unitario, il mistero della nostra salvezza. Il momento culminante del brano evangelico, il vertice del racconto della trasfigurazione sono le parole del Padre ascoltate dai tre discepoli presenti: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”.

 

Noi, come Abramo e come Gesù siamo invitati a percorrere un cammino di obbedienza nella certezza che Dio provvede. Anche se ci viene chiesto talvolta un cammino di sofferenza e di rinuncia, siamo invitati ad ascoltare la voce del Signore e ad aver fiducia in colui che ha “parole di vita eterna”.

 

Come sintesi di questo messaggio che la Parola di Dio oggi ci trasmette, possiamo ripetere nel nostro cuore più volte durante la giornata il versetto del salmo responsoriale di questa Messa: “Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice”. L’autore del salmo canta la sua totale fiducia nell’amore divino anche quando l’infelicità occupa l’orizzonte della sua vita. Ancora all’inizio della Quaresima, riaffermiamo la volontà di percorrere il nostro cammino battesimale fatto soprattutto di fede e di umile accettazione del progetto di Dio su di noi anche quando non riusciamo a comprendere sempre la logica dei percorsi che ci vengono proposti.

domenica 18 febbraio 2024

LA CHIESA HA BISOGNO DI SACERDOTI?

 



 

Martin Ebner, La Chiesa ha bisogno di sacerdoti? (Giornale di Teologia 454), Prefazione all’edizione italiana di Flavio Dalla Vecchia, Queriniana, Brescia 2023. 124 pp. (€ 15,00).

 

Riproduco in seguito le due prime pagine (5-6) della lunga prefazione (pp. 5-20).

 

È noto che fin dai primi secoli è invalso nelle chiese l’utilizzo di un vocabolario sacerdotale per designare il ministero dei vescovi e dei presbiteri nel senso ben riassunto da Lumen Gentium 28, mentre uno sguardo al Nuovo Testamento prospetta una situazione assai diversa: in esso la terminologia sacerdotale non è applicata ai ministeri ecclesiali, ed è riservata invece al solo Gesù Cristo (così la Lettera agli Ebrei) e al sacerdozio del popolo di Dio (1Pt 2,5.9; Ap 1,6; 5,10; 20,6). In effetti il vocabolo ερεύς occorre 31 volte nel Nuovo Testamento, per designare anzitutto i sacerdoti ebrei (Mt 8,4; 12,4.5; Mc 1,44; 2,26; Lc 1,5; 5,14; 6,4; 10,31; 17,14; Gv 1,19; At 4,1; 6,7) e in un caso il sacerdote del culto pagano (At 14,13); è inoltre applicato a Cristo (Eb 5,6; 7,1.3.11.14.15.17.20.21.23; 8,4; 9,6; 10,11.21) e al popolo di Dio (Ap 1,6; 5,10; 20,6); risalta infine la totale assenza del vocabolo nell’epistolario paolino, che pure dedica ampio spazio all’apostolato e ad altre funzioni esercitate nella chiesa. Si spiega in tal modo perché i Riformatori, appellandosi all’autorità della sola Scriptura, abbiano avanzato riserve e contestato la tradizione ecclesiale che attribuiva al ministero cristiano qualità sacerdotali. In dialogo con quanto Ebner propone in questa breve disanima non mi propongo di contestare una tradizione, ma di illustrare le tendenze in atto nei primi tempi della chiesa, per rendere ragione dei silenzi del Nuovo Testamento.

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venerdì 16 febbraio 2024

DOMENICA I DI QUARESIMA ( B ) – 18 Febbraio 2024

 


 


 

 

Gen 9,8-15; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15

 

 

Al brevissimo racconto che fa san Marco dell’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto, il brano evangelico di questa prima domenica di Quaresima aggiunge il primo annuncio pubblico del vangelo: “...Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo»”. Le tentazioni di Gesù nel deserto e il suo primo annuncio programmatico in Galilea formano un tutto coerente: la vittoria di Gesù sul tentatore è segno che il tempo messianico della salvezza è cominciato e il regno di Dio è già un fatto presente. Con Gesù la regalità di Dio, promessa dai profeti e anticipata negli eventi biblici dell’Antico Testamento, irrompe nella storia umana. Gli uomini non siamo più costretti a subire il dominio di satana, la schiavitù del peccato, la paura della morte; possiamo ormai sottometterci alla forza liberante e consolante di Dio che si manifesta in modo efficace in Gesù Cristo. “Credere al vangelo” significa rompere con le paure e le schiavitù del passato e aprirsi con fiducia al nuovo futuro offerto da Dio in Cristo. San Pietro nella seconda lettura ribadisce la stessa verità ricordandoci l’ultima vittoria di Gesù su satana nel momento decisivo della croce: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio...” Annuncio efficace e credibile del vangelo, dunque, fondato sull’obbedienza di Gesù che è diventata vittoria su satana.

 

Solo la grazia meritata da Cristo, e comunicata a noi attraverso il sacramento del battesimo, può operare quella trasformazione interiore che ci rende “uomini e donne nuovi” in Cristo. Ma, come ricorda san Paolo, questa grazia deve essere accolta e corrisposta: “Fratelli, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio...” (Primi Vespri, lettura breve: 2Cor 6,1-4ª). La tradizione cristiana ha comparato l’acqua del battesimo alle acque del diluvio, di cui parla la prima lettura: Dio ha purificato l’umanità con il diluvio per ristabilire l’alleanza con il giusto Noè e la sua famiglia, principio di una nuova umanità. Così anche il battesimo ci purifica dal peccato e, rinati a una vita nuova, ci offre la possibilità di ristabilire saldi rapporti di amicizia con Dio. Il battesimo è quindi il segno visibile dell’alleanza nuova e definitiva che Dio sancisce con gli uomini nel sangue di suo Figlio.

 

Il Tempo quaresimale che stiamo iniziando è un periodo propizio per prendere coscienza della realtà profonda del nostro battesimo e rinsaldare così la nostra alleanza con il Signore. Dio rinnova nei secoli la sua alleanza con tutte le generazioni. L’alleanza è la spina dorsale di tutta la storia della salvezza, tanto nella fase di preparazione che in quella di compimento. Si può dire anzi che tutti i rapporti fra Dio e l’umanità, fra Dio e la Chiesa e fra Dio e ciascuno di noi si fondino sull’alleanza.        

martedì 13 febbraio 2024

MERCOLEDI DELLE CENERI – 14 Febbraio 2024

 



 


Gl 2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18

  

La Quaresima che oggi iniziamo non propone nulla di straordinario rispetto alle esigenze fondamentali della vita cristiana. Esse vengono solo richiamate con insistenza perché ci si sforzi, sul piano personale e comunitario, di integrarle o reintegrarle meglio nella vita quotidiana. Possiamo dire con san Paolo che la Quaresima è semplicemente un “momento favorevole” per fare una verifica attenta della nostra vita e renderla così sempre più conforme alle esigenze del nostro battesimo.

La grazia del battesimo non libera la nostra natura dalla sua debolezza, né dall’inclinazione al peccato che la tradizione chiama “concupiscenza”, la quale rimane in noi anche dopo il battesimo perché sosteniamo le prove quotidiane nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo. Nelle invocazioni delle Lodi mattutine di questo Mercoledì delle Ceneri l’itinerario quaresimale viene presentato come un tempo per “ricuperare pienamente il senso penitenziale e battesimale della vita cristiana”. Questo itinerario è fatto d’un “morire” e d’un “risorgere”.

Si tratta di un “cammino di conversione”. “Convertirsi” è una scelta che comporta un cambiamento radicale del modo di pensare e di vivere, si tratta cioè di acquisire un modo di pensare e di vivere secondo il vangelo, come ci ricordano le parole con cui viene imposta su ciascuno di noi la cenere all’inizio della Quaresima: “Convertitevi, e credete al vangelo” (Mc 1,15).

Nel nostro cammino quaresimale siamo quindi chiamati a prendere una più lucida coscienza della realtà e delle esigenze del proprio battesimo. Seguendo la dottrina dei Padri, pratiche quaresimali tradizionali atte a raggiungere questo scopo sono il digiuno, l’elemosina e la preghiera. La preghiera nutre la nostra fede; il digiuno è espressione della speranza nei beni futuri; l’elemosina ci invita ad approfondire la virtù della carità.

Le tradizionali pratiche quaresimali vanno accompagnate dall’ascolto assiduo della parola di Dio Il cammino quaresimale è quindi un cammino di fede, che non può essere fatto senza un costante riferimento alla parola di Dio.

 

 

 

domenica 11 febbraio 2024

LA CRISI DI CREDIBILITA’ DELLA CHIESA

 



Non mancano coloro che credono che la soluzione alla crisi di credibilità che la Chiesa attraversa stia in un ritorno al passato, ossia a una Chiesa forte e potente, ammantata di quell’alone sacrale di cui si soffrirebbe la perdita. Una Chiesa di nuovo aperta al divino, ben distinta all’interno in chierici e laici e, soprattutto, ben appariscente nelle forme di un culto incomprensibile e proprio per questo pieno di fascino.

Va detto che alla schiera dei cristiani che rimpiangono le forme del passato si uniscono anche i cosiddetti “atei devoti”, pronti a protestare se, ad esempio, la formula del “Padre nostro” cambia, e non perché hanno a cuore la teologia che eventualmente vi soggiace, ma solo per amore di continuità nostalgica e romantica.

Il che cosa fare insomma è quanto mai urgente. Occorre acquisire la lingua della cultura corrente e d’altra parte tenere fermo il messaggio in quello che ha di essenziale.

 

Fonte: cfr. Cettina Militello, Le chiese alla svolta. Ripensare i ministeri, EDB 2023, p. 103.

sabato 10 febbraio 2024

DOMENICA VI DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 11 Febbraio 2024

 



 

Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45

 

Dopo l’intensa giornata di Cafarnao, narrata dal brano evangelico nelle domeniche anteriori, ecco ora Gesù davanti a un lebbroso, che lo supplica in ginocchio: “Se vuoi puoi purificarmi!”. Nessuna indicazione di luogo, in questo caso. La folla sembra improvvisamente scomparsa. Evidentemente Marco ha voluto fissare solo il faccia a faccia fra Gesù e questo malato anonimo, in rappresentanza di tutti gli altri. Secondo le usanze dell’antico Vicino Oriente, riprese dalla legge dell’Antico Testamento, colui che era colpito dalla lebbra era segregato, separato dal contatto con gli altri. Si può ben dire che il malato di lebbra era considerato fuori dell’area della salvezza, uno scomunicato, un cadavere ambulante. La lebbra costituiva un simbolo attorno al quale si addensavano paure, tabù, dogmi scientifici e religiosi. Ne è testimone il frammento della legislazione del Levitico circa la lebbra che abbiamo ascoltato come prima lettura.  L’incubo legale e religioso di questa malattia è decisivo per comprendere il dramma umano e religioso del lebbroso, di cui parla il vangelo di questa domenica, e al tempo stesso l’originalità e la forza provocatoria del gesto compiuto da Gesù. Il lebbroso del vangelo sfida la segregazione in cui era costretto a vivere, va con fede davanti a Gesù, il quale mosso a compassione lo guarisce e poi lo manda dal sacerdote perché egli possa essere reinserito ufficialmente nel contesto sociale. Il gesto e la parola efficace di Gesù restituiscono all’uomo quello statuto di purità, integrità e salute che gli consentiranno di vivere in maniera libera con gli altri davanti a Dio.

 

Cristo è venuto ad instaurare un nuovo atteggiamento verso la sofferenza dell’uomo e, in particolare, verso coloro che sono emarginati. Guarendo il lebbroso, Gesù si rivela come colui nel quale Dio si fa prossimo agli uomini: a tutti gli uomini, anche a coloro che sono esclusi ed emarginati. Gesù è una prossimità che supera le distanze e le barriere costruite dal nostro egoismo. In questo modo, Gesù ci insegna ad agire anche noi in modo simile. Ciò è possibile, come dice san Paolo nella seconda lettura, solo se ci si impegna a cercare non il proprio interesse “ma quello di molti, perché giungano alla salvezza”. Siamo quindi chiamati a controllare l’atteggiamento verso i nostri simili per eliminare ogni forma di esclusione, di emarginazione anche sottile presente talvolta nel nostro modo di pensare e di operare. Ci possiamo domandare: chi sono i “lebbrosi” oggi, i diversi? Chi sono gli esclusi della nostra società? Quale tipo di comportamento abbiamo di fronte ad essi? Abbiamo dei pregiudizi? Ci lasciamo trascinare talvolta da un egoismo mascherato di perbenismo, di buon senso? L’azione di Gesù è una testimonianza contro tutto questo.

 

Chi si avvicina con fede a Gesù, come il lebbroso del vangelo, viene “purificato”. Così pure chi si avvicina con fede all’eucaristia, viene purificato dal peccato e ritrova la vera vita.

giovedì 8 febbraio 2024

DISCORSO DI PAPA FRANCESCO ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO

 





DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL
DICASTERO PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

Sala Clementina
Giovedì, 8 febbraio 2024

[Multimedia]

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Cari fratelli e sorelle!

Vi incontro in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Saluto il Cardinale Prefetto e tutti voi, Membri, Consultori e Collaboratori del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

A sessant’anni dalla promulgazione della Sacrosanctum Concilium, non smettono di entusiasmare le parole che leggiamo nel suo Proemio, con le quali i Padri dichiaravano la finalità del Concilio. Sono obiettivi che descrivono una precisa volontà di riforma della Chiesa nelle sue dimensioni fondamentali: far crescere ogni giorno di più la vita cristiana dei fedeli; adattare meglio alle esigenze del nostro tempo le istituzioni soggette a mutamenti; favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo; rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa (cfr SC, 1). Si tratta di un lavoro di rinnovamento spirituale, pastorale, ecumenico e missionario. E per poterlo realizzare i Padri conciliari sapevano bene da dove dover cominciare, sapevano «di doversi occupare in modo speciale anche della riforma e della promozione della liturgia» (ibid.). È come dire: senza riforma liturgica non c’è riforma della Chiesa.

Possiamo fare una tale affermazione solo comprendendo che cos’è la liturgia in senso teologico, così come i primi numeri della Costituzione sintetizzano in modo mirabile. Una Chiesa che non sente la passione per la crescita spirituale, che non cerca di parlare in modo comprensibile agli uomini e alle donne del suo tempo, che non prova dolore per la divisione tra i cristiani, che non freme per l’ansia di annunciare Cristo alle genti, è una Chiesa malata, e questi ne sono i sintomi.

Ogni istanza di riforma della Chiesa è sempre questione di fedeltà sponsale: la Chiesa Sposa sarà sempre più bella quanto più amerà Cristo Sposo, fino ad appartenergli totalmente, fino alla piena conformazione a Lui. E su questo, dico una cosa sulle ministerialità della donna. La Chiesa è donna, la Chiesa è madre, la Chiesa ha la sua figura in Maria e la Chiesa-donna, la cui figura è Maria, è più che Pietro, cioè è un’altra cosa. Non si può ridurre tutto alla ministerialità. La donna in sé stessa ha un simbolo molto grande nella Chiesa come donna, senza ridurla alla ministerialità. Per questo ho detto che ogni istanza di riforma della Chiesa è sempre questione di fedeltà sponsale, perché è donna. I Padri conciliari sanno di dover mettere al centro la liturgia, perché è il luogo per eccellenza in cui incontrare Cristo vivo. Lo Spirito Santo, che è la preziosa dote che lo Sposo stesso, con la sua croce, ha provveduto per la Sposa, rende possibile quella actuosa participatio che continuamente anima e rinnova la vita battesimale.

Lo scopo della riforma liturgica – nel quadro più ampio del rinnovamento della Chiesa – è proprio di «suscitare quella formazione dei fedeli e promuovere quell’azione pastorale che abbia come suo culmine e sua sorgente la sacra Liturgia (Istr. Inter oecumenici, 26 settembre 1964, 5).

Perché tutto questo possa accadere è, dunque, necessaria la formazione liturgica, cioè alla liturgia e dalla liturgia, sulla quale state riflettendo in questi giorni. Non si tratta di una specializzazione per pochi esperti, ma di una disposizione interiore di tutto il popolo di Dio. Ciò naturalmente non esclude che vi sia una priorità nella formazione di coloro che, in forza del sacramento dell’Ordine, sono chiamati ad essere mistagoghi, cioè a prendere per mano e accompagnare i fedeli nella conoscenza dei santi misteri. Vi incoraggio a proseguire in questo vostro impegno affinché i pastori sappiano condurre il popolo al buon pascolo della celebrazione liturgica, dove l’annuncio di Cristo morto e risorto diventa esperienza concreta della sua presenza che trasforma la vita.

Nello spirito di collaborazione sinodale tra i Dicasteri – auspicata nella Praedicate Evangelium (cfr n. 8) – desidero che la questione della formazione liturgica dei ministri ordinati sia trattata anche con il Dicastero per la Cultura e l’Educazione, con il Dicastero per il Clero e con il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, così che ciascuno offra il proprio specifico contributo. Se «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC, 10), occorre fare in modo che anche la formazione dei ministri ordinati abbia sempre più un’impronta liturgico-sapienziale, sia nel curriculum degli studi teologici sia nell’esperienza di vita dei seminari.

Infine, mentre prepariamo nuovi percorsi formativi per i ministri, dobbiamo contemporaneamente pensare a quelli destinati al popolo di Dio. A partire dalle assemblee che si radunano nel giorno del Signore e nelle feste dell’anno liturgico: esse costituiscono la prima concreta opportunità di formazione liturgica. E così pure possono esserlo altri momenti in cui la gente maggiormente partecipa alle celebrazioni e alla loro preparazione: penso alle feste patronali, o ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Preparate con cura pastorale, diventano occasioni favorevoli perché la gente possa riscoprire e approfondire il senso del celebrare oggi il mistero della salvezza.

«Andate a preparare per noi […] la Pasqua» (Lc 22,8): queste parole di Gesù, che ispirano le vostre riflessioni in questi giorni, esprimono il desiderio del Signore di averci attorno alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Sono un imperativo che ci raggiunge come un’amorevole supplica: impegnarsi nella formazione liturgica vuol dire corrispondere a questo invito perché “possiamo mangiare la Pasqua” e vivere un’esistenza pasquale, personale e comunitaria.

Cari fratelli e sorelle, il vostro compito è grande e bello: lavorare perché il popolo di Dio cresca nella consapevolezza e nella gioia di incontrare il Signore celebrando i santi misteri e, incontrandolo, abbia vita nel suo nome. Vi ringrazio tanto per il vostro impegno e vi benedico di cuore. La Vergine Santa vi custodisca. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana

 

 


domenica 4 febbraio 2024

LA RIFORMA LITURGICA (Giornata di studio)

 

PONTIFICIA UNIVERSITA DELLA SANTA CROCE


LA RIFORMA LITURGICA

 

Giornata di studio

 

La riforma liturgica tra storia e teologia

a 60 anni dalla “Inter Oecumenici” (1964-2024)

 

Mercoledì 21 febbraio 2024

Tel. +39 06 68164500

 

8.45 Accoglienza dei partecipanti

 

9.00 Saluto iniziale

Rev. Prof. Philip Goyret

Decano della Facoltà di Teologia

Pontificia Università della Santa Croce

 

9:15 Inter Oecumenici: chiavi teologiche

dell’implementazione di Sacrosanctum

Concilium

S.E.R. Mons. Vittorio Francesco Viola

Segretario del Dicastero per il Culto Divino e

la Disciplina dei Sacramenti

 

10:00 Un caso di studio: dalla teologia della

Parola alla riscoperta dell’ambone in Inter

Oecumenici

Rev. Prof. Fernando López-Arias

Pontificia Università della Santa Croce

 

10.30 Intervallo

 

11:00 Status quaestionis delle ricerche sulla

Riforma Liturgica

Sr. Elena Massimi, FMA

 

11:30 Il P. Carlo Braga CM, protagonista della

Riforma Liturgica, e il suo archivio

Rev. Yoseph Indra Kusuma

Pontificia Università della Santa Croce

 

11:50 Dialogo con i relatori

Modera Rev. Prof. Juan Rego

Direttore dell’Istituto di Liturgia

Pontificia Università della Santa Croce

 

12.30 Fine della Giornata

 

www.unisantacroce.it/teo/liturgia24

Partecipazione gratuita

con iscrizione on line

 


sabato 3 febbraio 2024

NOTA SULLA VALIDITA' DEI SACRAMENTI







DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

NOTA

GESTIS VERBISQUE

SULLA VALIDITÁ DEI SACRAMENTI

 

Presentazione

 

Già in occasione dell’Assemblea Plenaria del Dicastero del gennaio 2022, i Cardinali e i Vescovi Membri avevano espresso la loro preoccupazione per il moltiplicarsi di situazioni in cui si era costretti a costatare l’invalidità dei Sacramenti celebrati. Le gravi modifiche apportate alla materia o alla forma dei Sacramenti, rendendone nulla la celebrazione, avevano poi condotto alla necessità di rintracciare le persone coinvolte per ripetere il rito del Battesimo o della Cresima ed un numero importante di fedeli hanno giustamente espresso il loro turbamento. Ad esempio, invece di usare la formula stabilita per il Battesimo, si sono utilizzate formule come quelle che seguono: «Io ti battezzo nel nome del Creatore…» e «A nome del papà e della mamma… noi ti battezziamo». In una tale grave situazione si sono ritrovati anche dei sacerdoti. Questi ultimi, essendo stati battezzati con formule di questo tipo, hanno scoperto dolorosamente l’invalidità della loro ordinazione e dei sacramenti sino a quel momento celebrati.

Mentre in altri ambiti dell’azione pastorale della Chiesa si dispone di un ampio spazio per la creatività, una simile inventiva nell’ambito della celebrazione dei Sacramenti si trasforma piuttosto in una “volontà manipolatrice” e non può perciò essere invocata.[1] Modificare, dunque, la forma di un Sacramento o la sua materia è sempre un atto gravemente illecito e merita una pena esemplare, proprio perché simili gesti arbitrari sono in grado di produrre un gravoso danno al Popolo fedele di Dio.

Nel discorso rivolto al nostro Dicastero, in occasione della recente Assemblea Plenaria, il 26 gennaio 2024, il Santo Padre ha ricordato che «mediante i Sacramenti, i credenti diventano capaci di profezia e di testimonianza. E il nostro tempo ha bisogno con particolare urgenza di profeti di vita nuova e di testimoni di carità: amiamo dunque e facciamo amare la bellezza e la forza salvifica dei Sacramenti!». In questo contesto ha altresì indicato che «ai ministri è richiesta una particolare cura nell’amministrarli e nel dischiudere ai fedeli i tesori di grazia che comunicano».[2]

È così che, da una parte, il Santo Padre ci invita ad agire in modo tale che i fedeli possano avvicinarsi fruttuosamente ai Sacramenti, mentre dall’altra parte sottolinea con forza il richiamo ad una “particolare cura” nella loro amministrazione.

A noi ministri è pertanto richiesta la forza di superare la tentazione di sentirci proprietari della Chiesa. Dobbiamo, al contrario, diventare assai ricettivi davanti a un dono che ci precede: non soltanto il dono della vita o della grazia, ma anche i tesori dei Sacramenti che ci sono stati affidati dalla Madre Chiesa. Non sono nostri! E i fedeli hanno il diritto, a loro volta, di riceverli così come la Chiesa dispone: è in questa maniera che la loro celebrazione è corrispondente all’intenzione di Gesù e rende attuale ed efficace l’evento della Pasqua.

Col nostro religioso rispetto di ministri verso quanto la Chiesa ha stabilito riguardo alla materia e alla forma di ogni Sacramento, manifestiamo di fronte alla comunità la verità che «il Capo della Chiesa, e dunque il vero presidente della celebrazione, è solo Cristo».[3]

La Nota che qui presentiamo non tratta perciò di una questione meramente tecnica o persino “rigorista”. Con il pubblicarla, il Dicastero intende principalmente esprimere luminosamente la priorità dell’agire di Dio e salvaguardare umilmente l’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa nei suoi gesti più sacri.

Possa questo Documento, approvato unanimemente il 25 gennaio 2024 dai Membri del Dicastero riuniti in Assemblea Plenaria e poi dallo stesso Santo Padre Francesco, rinnovare in tutti i ministri della Chiesa la piena consapevolezza di quanto Cristo ci ha detto: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).

Víctor Manuel Card. FERNÁNDEZ
Prefetto

 

Testo della Nota: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_doc_20240202_gestis-verbisque_it.html

 

  

venerdì 2 febbraio 2024

DOMENICA V DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 4 Febbraio 2024

 



 

 

Gb 7,1-4.6-7; 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

 

 

La liturgia odierna ci invita a riflettere sullo scandalo della sofferenza nella vita dell’uomo. I lamenti del giusto Giobbe, di cui parla la prima lettura, sono espressione classica di quella continua ricerca di una risposta al senso della sofferenza che percorre la storia dell’umanità e d’ognuno di noi. A Giobbe non viene condonato nulla, la sua sofferenza non è soggetta a sconti. Sprofondato nella tristezza del tempo volato via in fretta e del bene perduto ormai irrimediabilmente, l’avvilimento di Giobbe è così profondo che egli non intravede altro futuro che la morte. Giobbe grida la sua ribellione contro questa situazione, entra in discussione con Dio e da lui vuole una spiegazione. Ecco, quindi, che al colmo dell’angoscia, che le considerazioni dei suoi amici non riescono ad alleviare, Giobbe si rivolge a Dio, sperando contro ogni speranza in qualcuno che lo libererà dal baratro in cui giace.

 

La risposta di Dio agli interrogativi di Giobbe e di tutta l’umanità sofferente non è una filosofia o un convincente ragionamento. La risposta definitiva al mistero della sofferenza ci viene data con l’avvento di Cristo, il quale è presentato da san Marco già all’inizio della sua vita pubblica (cf. vangelo) come colui che è efficacemente solidale con i mali dell’uomo ed è quindi capace di liberarlo dalla sua situazione di sofferenza. In questa intensa giornata a Cafarnao, Gesù dopo aver guarito la suocera di Pietro che era a letto con la febbre, guarisce molti malati e indemoniati che vengono condotti a lui. Le guarigioni operate da Gesù, che lo accompagneranno poi durante tutta la sua vita pubblica, sono segno visibile dell’azione sovrana di Dio che in Cristo “risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (salmo responsoriale). Come ricorda il canto al vangelo, “Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie” (Mt 8,17).

 

All’immagine di Gesù che percorre tutta la Galilea predicando il vangelo e sanando i malati corrisponde l’immagine di san Paolo (cf. seconda lettura) che si fa tutto a tutti per guadagnare quanti più è possibile alla causa del vangelo. Per l’apostolo la predicazione del vangelo non si esaurisce in un insegnamento teorico, ma diventa personale partecipazione alla situazione di coloro cui si rivolge.

 

Concludendo queste riflessioni, è doveroso che ne traiamo alcune conseguenze per noi. L’esperienza della sofferenza è in sé una situazione ambigua, può far attecchire l’erba velenosa della disperazione o far sbocciare il fiore della fiducia. Alla luce della nostra fede, la sofferenza non è assurda. Anche se può sembrare paradossale, l’esperienza della sofferenza può costituire un momento di crescita ed essere poi il primo passo per aprirsi al desiderio della salvezza che Cristo annuncia e comunica.