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domenica 29 settembre 2024

L’ARTE DEL PRESIEDERE

 




Presiedere è un termine del vocabolario cristiano che si trova già in Paolo: “Chi presiede (ho proistàmenos) presieda con diligenza” (Rm 12,8). Presiedere significa servire. Il presidente rappresenta Cristo, il Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli. È un ministero svolto per favorire l’accoglienza del Mistero nella liturgia.

Ogni assemblea radunata “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” provoca la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è il “magnum mysterium” celebrato in ogni Eucaristia, che realizza il nostro essere Chiesa, Corpo di Cristo. Dal punto di vista teologico, e non semplicemente per una ideologia di tipo democratico, il ministero della presidenza fa riferimento a questo mistero. Poiché presiede in forza della grazia di Dio, conferitagli nell’Ordine sacro, il presbitero (ministro) non è un semplice delegato dei suoi fratelli. Ma il ministro ordinato non deve neppure dimenticare di essere nell’assemblea un battezzato che prega insieme ad altri battezzati. Presiedere in nome di Cristo significa chiamare l’assemblea ad essere interamente attiva con Cristo secondo l’adagio: uno solo presiede ma tutti celebrano.

Il ministero della presidenza oggi, dal punto di vista pastorale, consiste nel far entrare l’assemblea nella preghiera di Cristo e della Chiesa in una partecipazione attiva sia interiore che esteriore, trovando in essa nutrimento spirituale.

Il presidente non si può limitare ad eseguire correttamente le prescrizioni del rituale: egli deve permettere all’assemblea di abitare l’azione in corso. La finalità della liturgia è il bene spirituale dei partecipanti. Il servizio, l’arte del presiedere è in funzione di tutto ciò. In definitiva, l’arte di celebrare e di presiedere permetterà ai battezzati che esercitano attivamente il loro sacerdozio comune di vivere e gustare, dentro l’orizzonte di un’esperienza mistica, quanto è buono/bello il Signore.

 

Fonte: Loris Maria Tomassini, Nel segno della bellezza. Bellezza, liturgia e sensi spirituali, Cittadella, Assisi 2022, pp. 196-197.

 

venerdì 27 settembre 2024

DOMENICA XXVI DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 29 Settembre 2024

 



 

Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

 

 

Oggi la parola di Dio ci invita a rifuggire dalle chiusure, dagli esclusivismi di gruppo, e a guardare oltre i nostri confini. Il tema viene illustrato con due episodi. Il primo episodio è raccontato dalla prima lettura ed è accaduto nell’accampamento d’Israele nel deserto: due uomini, che non appartengono alla cerchia dei 70 anziani consiglieri dei Mosè, si mettono improvvisamente a profetizzare. Allora Giosuè mosso dalla gelosia si rivolge a Mosè perché li impedisca di profetizzare. Mosè però si mostra tollerante, anzi gioioso del fatto, a tal punto che augura che tutti possano essere profeti nel popolo del Signore e ricevere il suo spirito. Il secondo episodio è riportato dalla lettura evangelica: gli apostoli hanno visto uno che scaccia i demoni nel nome di Gesù e glielo hanno vietato perché non apparteneva al gruppo dei discepoli. Contestando la grettezza del gruppo dei dodici apostoli, Gesù fa capire che il regno di Dio si esprime anche altrove e mediante altri strumenti; più precisamente, ovunque si agisce come lui e mediante tutti coloro che si ispirano al suo messaggio. Gesù non ha bisogno di monopolizzare il suo potere; gli basta che la verità venga riconosciuta. Il Signore ci invita ad una fede libera e matura, capace di apprezzare il bene ovunque esso si trovi. L’azione di Dio che opera mediante il suo Spirito non può essere circoscritta dentro i confini di una comunità definita solo in base ai criteri di appartenenza. Chiunque esercita la carità e la misericordia avrà la sua ricompensa. Sia Gesù sia Mosè, davanti ad una impostazione del ministero della salvezza come dominio e privilegio, rispondono celebrando lo splendore della libertà e della generosità di Dio.

 

Ciò non significa però perdita della propria identità o mancanza di coerenza con i propri principi. Ce lo ricorda la seconda parte del vangelo d’oggi, dove san Marco raccoglie una serie di affermazioni a dir poco sconcertanti di Gesù: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala […] Se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo […] Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via”. Si tratta evidentemente di immagini o modi di dire. Anzitutto Gesù adoperando queste immagini invita i suoi discepoli a controllare con cura e a sondare il loro comportamento sociale (piede e mano) e personale (occhio) per evitare che, nell’orgoglio della propria serena sicurezza, divenga radice di male per i fratelli che ancora stanno cercando Dio. Gesù, poi, si esprime con immagini concrete ed eloquenti per far capire che chi vuol essere suo discepolo deve fare una scelta chiara, radicale e definitiva, deve essere quindi disposto a sacrificare ogni cosa di sé se lo esige la fedeltà alla propria scelta di fede. L’importanza della coerenza è richiamata anche da san Giacomo nella seconda lettura a proposito dell’uso delle ricchezze: colui che le possiede, se non fa attenzione, questo possesso può mettere in pericolo la sua appartenenza al Signore e il suo stesso avvenire eterno.

 

 

domenica 22 settembre 2024

LA TERZA FORMA DEL RITO DELLA PENITENZA

 



Roberto Bischer - Andrea Toniolo (edd.), Ripensare la Penitenza. La terza forma del rito: eccezione o risorsa? (Giornale di Teologia 463), Queriniana, Brescia 2024. 263 pp. (€ 22,00).

Un libro che vale la pena leggere e meditare. Scritto da diversi autori: liturgisti, moralisti e canonisti. Si parte dalla positiva esperienza in alcune diocesi di Italia nel tempo della pandemia, in cui è stato permesso dai vescovi l’uso della terza forma del rito della penitenza. È evidente la crisi della prassi penitenziale ma non il desiderio di riconciliazione.

È auspicabile che, benché forte una pratica sacramentale plurisecolare, la Chiesa non manchi di verificare se tra il senso oggettivo dei sacramenti e quello soggettivamente percepito dai cristiani di oggi non si sia creato un fossato tale, da richiedere un’azione di ripristino del senso originario dei sacramenti.

In questi ultimi decenni è maturata, da parte della comunità, l’esigenza di ricuperare una forma di riconciliazione che prenda atto anche dell’attuale nuova sensibilità delle persone (per esempio il rifiuto di prassi che potrebbero avere a che fare con il controllo delle coscienze).

Il processo per giungere a un nuovo sistema penitenziale è ancora aperto. Va curato il passaggio dalla confessione alla riconciliazione non per via della soppressione dell’accusa dei peccati, ma attraverso una sua migliore comprensione – che superi la visione “materiale” dell’integrità – e un suo più accurato adattamento all’insieme bilanciato degli atti che il penitente compie per riconciliarsi con la Chiesa.

Sia il Concilio di Trento, che gli altri documenti che da esso dipendono affermano che la confessione di tutti i peccati gravi al sacerdote è “iure divino” (cf. DH 1679, 1706s). Oggi nessuno dubita che questa espressione abbia molti significati nei testi di Trento.

La riconciliazione con la Chiesa ha portato a riflettere sulla finalità principale del sacramento del perdono dei peccati gravi e la sua distinzione dalla direzione delle coscienze e dall’esercizio della virtù di penitenza esercitata anche come confessione di devozione. Va meglio pensata e affermata la distinzione dei due generi.

 

venerdì 20 settembre 2024

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 22 Settembre 2024

 



 

 

Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37

 

Tra la via della croce, tema della domenica scorsa, e la via del servizio che ci viene proposta oggi dalla parola di Dio c’è una profonda affinità. Dopo la rivelazione del mistero di sofferenza verso cui si incammina, Gesù formula il codice dell’autorità cristiana come servizio e dono di sé per gli altri. Così comprendiamo quale senso Egli dà alla sua passione: è un servizio, un donare la vita per gli altri.

 

Le tre letture bibliche parlano di una serie di comportamenti inaccettabili da colui che intende vivere da uomo giusto. Constatiamo infatti che non è la giustizia ciò che il più delle volte interessa agli uomini, ma il prestigio, la grandezza, la carriera (cf. lettura evangelica), il possesso (cf. seconda lettura). Per ottenerli si litiga, si ricorre all’insulto, magari all’omicidio e alla guerra (cf. seconda e anche prima lettura). Infatti, l’avidità, l’intolleranza, la gelosia, l’asservimento agli istinti umani del possesso e del dominio hanno sempre generato guerre e conflitti larvati o dichiarati anche talvolta nelle comunità cristiane e nella Chiesa. Prendendo come punto di riferimento principale il brano evangelico, vediamo che domenica scorsa san Pietro cercava di dissuadere Gesù dal percorrere il cammino della croce; oggi mentre Gesù annuncia che sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, tutto il gruppo dei discepoli sta discutendo su questioni di prestigio, su a chi aspettano i primi posti. Insomma, sembra che Gesù e i suoi discepoli parlino linguaggi diversi, siano mossi da interessi contrastanti, non riescano a comunicare tra loro. I pensieri di Gesù sono in aperta contraddizione con i pensieri dei discepoli. Comprendere la parola di Gesù implica un coinvolgimento spirituale che essi al momento non hanno raggiunto.

 

Pazientemente il Signore, arrivati a casa - dice il testo - cerca di spiegare quali devono essere i rapporti in seno alla comunità di coloro che intendono seguirlo e diventare discepoli: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Gesù aggiunge alle sue parole il tenero gesto dell’abbraccio ad un bambino. Nel contesto, il gesto intende essere un pressante appello alla totale disponibilità, all’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria “grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino. Accoglierlo nel suo nome è accogliere lui stesso come Salvatore inviato dal Padre.

 

Il servizio è il segno del vero discepolo di Cristo, è il frutto di un amore dimentico di sé, e - ad esempio di Cristo - ha la sua massima espressione nel dono della vita per gli uomini. Il servizio cristiano non è passivo, ma attivo. Servire non significa sottomettersi a chiunque, ma mettere le nostre risorse spirituali e materiali, noi stessi a disposizione della promozione dei nostri fratelli e sorelle. San Giacomo, nella seconda lettura, parla della “sapienza che viene dall’alto”. La sapienza o saggezza cristiana procede per vie pacifiche, con la persuasione, cerca di evitare dissidi e contrasti, limita la polemica, evita la maldicenza; si pone invece al servizio della giustizia.

domenica 15 settembre 2024

LA CRISI DELLA PRATICA RELIGIOSA

 



 

In agosto del 2016, ho presentato in questo blog il libro di Franco Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio? Il Mulino, Bologna 2016. Otto anni fa, questo studio affermava che il fenomeno della “non credenza” tra i giovani italiani stava assumendo dimensioni impensabili soltanto sino a pochi anni fa, di cui c’è scarsa consapevolezza sia nell’immaginario collettivo sia tra gli stessi operatori del sacro. Tra l’altro, si affermava che la presenza ai riti religiosi (esclusi matrimoni e funerali) coinvolgeva settimanalmente il 13,2% dei giovani italiani tra i 18 e 29 anni (p. 37).

 

La settimana scorsa, ho presentato la recente opera del sociologo Luca Diotallevi, La Messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019. Secondo questa ricerca, la quota di individui con 18 anni di età o più che dichiarano di aver partecipato almeno una volta alla settimana a un rito religioso, passa dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019 (p. 17). L’autore afferma, poi, che le donne stanno disertando i riti religiosi a un ritmo più veloce di quello degli uomini (p. 89). Non aggiungo altri dettagli che il sociologo illustra con precisione.

 

Il Prof. Diotallevi afferma che il suo lavoro è un lavoro sociologico e che la partecipazione ai riti religiosi potrebbe essere analizzato da altri punti di vista (p. 9). Non mancano nel libro delle valutazioni sulle cause di questo deprezzamento della pratica religiosa. Anzitutto occorre collocare questo fenomeno in un conteso sociale in cui i legami tra le persone sono più deboli, meno significativi, si incontra meno frequentemente l’amico, diminuiscono i matrimoni, si vota di meno, ecc. In questo contesto si inserisce anche la diminuzione della partecipazione ai riti religiosi. Poi, “non è affatto da escludere che nella concreta prassi celebrativa cattolica anche in Italia sia aumentato il disimpegno del modello prescritto. Che poi ciò sia in contraddizione con la riforma liturgica proposta dal Vaticano II non sorprenderebbe affatto. Così come non sorprenderebbe che la diffusione in ambito cattolico di liturgie centrate sul protagonismo di coloro che le presiedono e dei loro più stretti collaboratori ben se accordi con ciò che (poco sorprendentemente) accomuna le critiche “tradizionaliste” e quelle “progressiste” alla riforma liturgica del Concilio” (p. 82). Più avanti, l’autore ipotizza che la suddetta crisi della pratica religiosa sia “l’effetto di una sorta di risacca seguita alla dissoluzione della coalizione riformista guidata da Paolo VI, affermatasi al Vaticano II e manifestatasi pienamente per l’ultima volta con il varo delle riforme (concernenti non solo la liturgia) del biennio 1967/1969” (p. 83).

 

venerdì 13 settembre 2024

DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 15 Settembre 2024


 


 

 

Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

 

Il messaggio di questa domenica lo possiamo riassumere con le parole di san Paolo, riproposte dal canto al Vangelo: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (cf. Gal 6,14). Ciò che per l’apostolo Paolo è un motivo di vanto e di gloria, è stato un tempo per san Pietro motivo di scandalo. Infatti, nel brano evangelico odierno vediamo come dinanzi alle parole di Gesù che annuncia il destino di sofferenza e di morte che lo attende, Pietro non accetta che questa sia la sorte del Messia e cerca in ogni modo di dissuaderlo dall’abbracciare questo cammino di croce. Quante volte anche noi siamo dalla parte di Pietro con i nostri criteri e con le nostre valutazioni! Infatti, siamo inclini a pensare che il successo escluda la sofferenza. Gesù invece propone una visione dell’esistenza molto diversa, anzi sconcertante, in cui morte e vita, sconfitta e vittoria vanno misteriosamente insieme.

 

Anche la prima lettura propone lo sconcertante cammino della croce. Il profeta Isaia parla di un misterioso personaggio, il “Servo di Dio”, incrollabilmente fedele alla sua vocazione e alla sua missione nonostante le persecuzioni e gli oltraggi, figura profetica che annuncia Gesù. Questo personaggio, oggetto di persecuzione e umiliazione, risponde con la fermezza e la sicurezza di chi è sicuro della vittoria: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”. I criteri con i cui noi misuriamo la riuscita di una vita devono cedere di fronte al criterio primo e assoluto: il misterioso disegno di Dio su di noi. È quello che Gesù ricorda a san Pietro: “tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

 

In modo simile, nella seconda lettura l’apostolo Giacomo parlando di una fede operosa ci ricorda che il regno di Dio non giunge nel clamore nel trionfalismo, ma nel sacrificio, nella dedizione, nella fedeltà quotidiana ai propri doveri, nella disponibilità a donare la propria vita per gli altri. E quanto insegna Gesù, rivolgendosi a tutti coloro che vogliono far strada con lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ma poi egli aggiunge: “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Parole che, nella loro paradossalità, hanno un significato assai netto: chi vuole essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di considerare se stesso come misura di ogni cosa; deve rinunciare a difendersi e accettare di portare lo strumento della propria condanna a morte; deve uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Se accettiamo di condividere la scelta di fedeltà estrema del nostro Maestro e Signore parteciperemo anche alla sua vittoria finale sulla morte. 

domenica 8 settembre 2024

LA MESSA DETTA ALTRIMENTI

 



 

Louis-Marie Chauvet, La Messa detta altrimenti. Ritornare ai fondamentali (Guide per la prassi ecclesiale 36), Postfazione all’edizione italiana di Andrea Grillo, Queriniana, Brescia 2024. 110 pp. (€ 14,00).

Se c’è un ambito che è oggetto di dibattiti e controversie nella Chiesa è la liturgia. C’è chi si schiera, a seconda della sensibilità, “per la messa di sempre” e chi a favore della riforma del Vaticano II. Papa Francesco, lungi dal fare della liturgia un pomo della discordia, non perde occasione per mostrare quanto essa sia importante per la fede e l’unità.

Proprio questo è lo spirito con cui scrive Chauvet. Pur prendendo atto dei cambiamenti nel rapporto della società contemporanea con il sacro, il rito e il celebrare, egli riprende passo dopo passo la struttura della liturgia eucaristica per spiegarne il senso profondo e la coerenza. Consapevole del fatto che in molti avvertono la presenza di un problema – la liturgia non attrae più i nostri contemporanei –, l’autorevole studioso indica la strada per uscire dall’impasse.

L’obiettivo di Chauvet è semplice: tornare ai fondamenti. La liturgia, come la Chiesa, non esiste per se stessa, ma per alimentare la vita di fede.

“Quale liturgia oggi, tra quella di ieri e quella di domani? Di che tipo di liturgia abbiamo bisogno nella presente fase storica?”. Queste sono le domande che percorrono le pagine del saggio.

(Quarta di copertina)

 

venerdì 6 settembre 2024

DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO (B) – 8 Settembre 2024

 



 

 

Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37

 

 

Il messaggio racchiuso nelle letture bibliche odierne può essere riassunto con le parole della lettera di san Giacomo, ascoltate alla fine della seconda lettura: “Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”

 

In un momento in cui i figli d’Israele in esilio si sentivano dimenticati da Dio, oppressi dal potere straniero e abbandonati alla loro sfortuna, Isaia (cf. prima lettura) rivolge ad essi parole di speranza: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio […] viene a salvarvi”. E tra le opere meravigliose di Dio che viene a salvare, il profeta include: “si schiuderanno gli orecchi dei sordi”. Queste promesse di salvezza si compiranno pienamente solo con l’avvento di Gesù Cristo. Egli stesso si è riferito a questo passaggio di Is 35 per spiegare la sua missione ai discepoli inviati da Giovanni Battista (cf. Mt 11,4-6). La guarigione del sordomuto, di cui parla il brano evangelico odierno è uno dei segni con i quali Gesù si manifesta alle folle come colui che adempie gli annunci di Isaia e degli altri profeti. Notiamo i dettagli del racconto: Gesù prende il sordomuto in disparte, gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua; poi, teso verso il cielo, emette un sospiro e dice: “Effatà”, cioè “Apriti”. I gesti compiuti da Gesù assumono qui un ruolo sacramentale, indicano e vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, è annuncio di quanto avverrà ai discepoli, sui quali verrà pronunciata quella parola “Effatà”. Marco si premura subito di tradurla per farci capire che Gesù non è un mago che pronuncia parole strane, ma è portatore di salvezza. La guarigione non passa attraverso gesti strani, esoterici, magici, ma semplicemente attraverso un contatto che esprime la compassione, l’amore, la tenerezza di Dio verso colui che soffre. L’evangelista conclude il racconto della guarigione del sordomuto con queste parole: “…pieni di stupore, dicevano: ‘Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti’!”. Di fronte al gesto di Gesù la folla non può trattenersi dal riconoscervi i segni dell’azione di Dio. Nelle opere e nelle parole di Gesù si manifesta la pienezza dell’amore salvifico di Dio.


Nel mondo attuale, nonostante il moltiplicarsi del benessere, c’è gente stanca, sfiduciata, disorientata, gente in cerca di felicità, persone che hanno smarrito il senso della vita. Nessuno può vivere senza speranza. Tutti abbiamo bisogno di un ideale che dia senso alla nostra vita. Ognuno di noi attende dal futuro qualcosa che sia migliore del presente. Come Israele nel momento duro della prova, come il sordomuto di cui parla il vangelo, anche noi siamo chiamati a rivolgere lo sguardo a Dio ci manda un messaggio di speranza. Nonostante le apparenze contrarie e l’apparente trionfo della prepotenza, Dio rende giustizia agli oppressi (cf. salmo responsoriale). Questo messaggio di ottimismo ci invita a superare tutto ciò che sa di rassegnazione a quanto mortifica e opprime l’uomo, e ad essere protagonisti di questa speranza nell’ambiente in cui viviamo: in famiglia, nel lavoro, nella società. Chiediamo al Signore di poter dire anche noi una parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore che incontriamo sulla nostra strada, perché possiamo ripetere con loro le parole del ritornello del salmo responsoriale che abbiamo pregato:Loda il Signore anima mia”.

 

 

 

domenica 1 settembre 2024

LA MESSA SBIADITA

 



Luca Diotallevi, La Messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019 (Problemi aperti 278), Rubbettino Editore 2024. 122 pp. (€ 13,00).

Il libro si pone essenzialmente tre domande. Quanto è cambiata la componente più importante della partecipazione religiosa in Italia tra il 1993 ed il 2019? (Si dirà anche qualcosa sugli anni della sindemia da Covid e del lock-down, e si vedrà che non hanno prodotto inversioni di tendenza).

Come è cambiata l’influenza di altri fattori sociali su questa forma di partecipazione religiosa?

Come è cambiata l’influenza di questa forma di partecipazione su altri aspetti della vita sociale?

Non si tratta solo di documentare un calo, ma di provare a guardare cosa avviene dentro una porzione più piccola, ma pur sempre molto importante, della società italiana. Quanto e come pesa il sesso, la generazione di appartenenza, l’età e quanto ha pesato essere nati o essere cresciuti in certi periodi storici invece che in altri?

Tra i tanti segni “meno” si vede però emergere anche un segno “più”: quello della influenza di questa forma di partecipazione religiosa sulla disponibilità a gesti di solidarietà, accoglienza ed aiuto nei confronti di altre persone.

I “praticanti” sono oggi un gruppo sociale molto diverso da quello che erano un quarto di secolo fa. E si avviano a diventare presto qualcosa di ancora diverso da ciò che sono oggi: alcune dinamiche di quella trasformazione vengono qui evidenziate e discusse.

(Quarta di copertina)