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domenica 27 aprile 2025

LA DANZA LITURGICA

 



 

Un cenno particolare vorremmo riservare alla danza liturgica. Abbiamo già visto la rilevanza che ha quest’arte nell’ambito della vita d’Israele e della sua stessa teologia (Pr 8,30-31). Ora ci fermeremo brevemente sull’uso cultico della danza. Anche nella religiosità cananea la danza con finalità “estatiche” era molto praticata. È la Bibbia stessa a ricordarlo con la rappresentazione dell’adorazione del vitello d’oro, tipico simbolo del Baal cananeo: quando Mosè, scendendo dal monte e avvicinandosi all’accampamento degli israeliti, ode “il grido di chi canta a due cori”, s’accorge subito del “vitello e delle danze” (Es 32,18-19). Nella sfida tra Elia e i sacerdoti di Baal sul Carmelo, questi ultimi “continuavano a saltare intorno all’altare che avevano eretto…; gridavano a voce più forte, si facevano incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue… agivano da invasati” (1Re 18,26.28-29).

L’esempio più alto della danza liturgica di Israele è, ancora una volta, quello di Davide davanti all’arca mentre viene trasferita nella nuova capitale, Gerusalemme: “Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore… Ora, mentre l’arca del Signore entrava nella città di Davide, Mikal, figlia di Saul, guardò dalla finestra; vedendo il re Davide che saltava e danzava davanti al Signore, lo disprezzò in cuor suo” (2Sam 6,14,16; cfr. 1Cr 13,8). La danza accompagna spesso anche il Salterio perché la lode divina deve coinvolgere tutto l’essere (Sal 149,3; 10,4). Un esempio suggestivo anche dal punto di vista rubricario è proposto dal Sal 118 che è strutturato su un vero e proprio spartito rituale: “Ordinate la danza con rami frondosi sino ai lati dell’altare!” (v. 27). Si ha qui forse un’allusione alla festa delle Capanne, durante la quale si agitava il lulav, un mazzetto di fronde di palma, di mirto e di salice (Lv 2,40). È, comunque, degno di nota che il termine biblico per indicare la “festa”, hag, deriva proprio dal verbo hag che significa “danzare”. E il salmo citato raffigura appunto una scena di danza liturgica processionale durante una festa ebraica.  

Fonte: Gianfranco Ravasi, Il canto della rana. Musica e teologia nella Bibbia, Milano 2025, pp. 85-87.

venerdì 25 aprile 2025

DOMENICA II DI PASQUA (C) – 27 Aprile 2025 o della Divina Misericordia

 



 

At 5,12-16; Sal 117 (118); Ap 1,9-11a.12-13.17-19; Gv 20,19-31

    

 

Il contenuto delle tre letture di questa domenica può essere considerato da diverse prospettive, ma tutte e tre le letture hanno al centro Gesù Cristo risorto e la fede in lui. La prima lettura ci racconta che il numero di coloro che credevano nel Signore aumentava. La seconda lettura è un brano del primo capitolo dell’Apocalisse, dove san Giovanni narra la visione che egli ha avuto di Cristo risorto, il quale al tempo stesso che lo incoraggia a scrivere le cose che ha visto, proclama solennemente: “Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiave della morte e degli inferi”. Finalmente, il brano evangelico ci tramanda la toccante storia dell’atto di fede in Cristo risorto dell’apostolo san Tommaso.

 

Il grande pensatore cristiano Dietrich Bonhoeffer, scrivendo dal carcere berlinese nel 1944, pochi giorni prima di essere impiccato, riassumeva così il senso di tutta la sua esistenza: “Io vorrei imparare a credere…” Il cristiano è colui che impara a credere giorno per giorno sino al termine della sua vita. L’odierno racconto evangelico è il ritratto della storia della fede di un uomo che ha dovuto imparare a credere, e che ha avuto bisogno dei suoi tempi. Dinanzi alla testimonianza degli altri apostoli che hanno visto il Risorto, Tommaso afferma che se non mette il dito nel posto dei chiodi e non mette la mano nel costato del Cristo, non crederà. Tommaso ha bisogno di vedere e toccare, ha bisogno dei suoi tempi. Al termine della prova di appello offertagli dal Signore, Tommaso proclama la sua professione di fede, la più sublime dell’intero vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”. La Chiesa annuncia al mondo l’evento pasquale: “Abbiamo visto il Signore”, ma con pazienza e umiltà deve attendere che il mistero della libertà umana possa lentamente e gioiosamente giungere all’atto di fede: “Mio Signore e mio Dio!” Cristo risorto non diventerà mai “Signore” della Chiesa, se non diventa prima ancora “Signore” del cuore e della vita di ciascuno di noi.

 

La fede di Tommaso, come quella degli altri primi discepoli, si fonda sull’incontro personale con Gesù risorto. Questi fatti sono documentati nel vangelo che è stato scritto, dice san Giovanni, “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Infatti, la nostra fede si fonda sulla solida piattaforma della testimonianza storica documentata nei vangeli e si trasmette nella lunga catena dei credenti che formano la Chiesa. Ricordiamo che Gesù chiama beati coloro che crederanno per testimonianza (come noi). Anche se la nostra fede ha travagli simili a quella di Tommaso, siamo certi che anche per noi è possibile alla fine proclamare in totale limpidità la nostra fede nel Risorto. Siamo invitati a farlo ogni volta che ci avviciniamo alla comunione, quando alle parole del ministro “Il corpo di Cristo”, rispondiamo “Amen”.

 

lunedì 21 aprile 2025

PAPA FRANCESCO (2013-2025)

 



     IL PAPA CHE COL SUO MAGISTERO HA DATO UN NUOVO SLANCIO ALLA LITURGIA .  

domenica 20 aprile 2025

MUSICA E TEOLOGIA NELLA BIBBIA




Gianfranco Ravasi, Il canto della rana. Musica e teologia nella Bibbia, Fondazione Terra Santa, Milano 2025. 122 pp. (€ 12,00).

Si racconta che quando Davide ebbe finito il libro dei Salmi, si sentì molto orgoglioso. Egli disse a Dio: “Padrone del mondo, chi fra tutti gli esseri che hai creato canta più di me la tua gloria?”. In quel momento sopraggiunse una rana che gli disse: “Davide non inorgoglirti! Io canto più di te in onore di Dio”.

(Quarta di copertina e p. 27)

 

Il musicale biblico

Il musicale e il teologico

Il silenzio della musica

sabato 19 aprile 2025

DOMENICA DI PASQUA: RISURREZIONE DEL SIGNORE MESSA DEL GIORNO 20 Aprile 2025

 



 

 

At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4 (oppure: 1Cor 5,6b-8); Gv 20,1-9

 

Il salmo responsoriale è tratto dal Sal 117, inno di gioia e di vittoria che era recitato nella cena pasquale giudaica. Esso ricordava agli ebrei i giorni in cui Dio era intervenuto per liberarli dalla schiavitù dell’Egitto e da tutti i loro nemici; ricordava i giorni gloriosi nei quali la destra del Signore aveva operato con potenza; la Pasqua era la grande festa del popolo ebraico, il giorno che il Signore aveva fatto per il suo popolo. La nostra Pasqua è Cristo (cf. seconda lettura alternativa); nel mistero della sua risurrezione dai morti si compiono tutte le speranze di salvezza dell’umanità: è questo il giorno di Cristo Signore; è questo il giorno dell’uomo rinato a vita nuova per mezzo di Cristo. Il Sal 117 è proclamato in ogni eucaristia della settimana pasquale e nella liturgia delle ore di tutte le domeniche.

 

La risurrezione di Cristo rappresenta il centro del mistero cristiano, e la base e la sostanza della nostra fede. “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14). Con queste parole l’apostolo Paolo esprime il cuore di tutto il messaggio cristiano. Il vangelo parla di Pietro e Giovanni che vanno a visitare il sepolcro di Gesù e lo trovano vuoto. Il sepolcro vuoto è il primo segno della risurrezione. Da quella tomba vuota inizia il cristianesimo. Nella prima lettura, ascoltiamo san Pietro che annuncia con decisione al popolo il mistero della risurrezione del Signore di cui egli e gli altri apostoli sono testimoni. Nella seconda lettura, san Paolo trae da questo evento le conseguenze per una vita cristiana rinnovata.

 

Illustriamo brevemente il contenuto della seconda lettura (Col 3,1-4), perché in essa il mistero che celebriamo viene visto in stretto rapporto con la vita cristiana. San Paolo nella Lettera ai Colossesi sviluppa il tema della centralità di Cristo nella vita del cristiano: la vita del cristiano è una vita in Cristo. In questo contesto acquista senso il breve brano odierno. Se il cristiano è risorto in Cristo, non può che condurre una vita da risorto, interessandosi cioè delle “cose di lassù” (v.2). Le “cose di lassù” di cui parla san Paolo è Cristo stesso “seduto alla destra di Dio” (v.1), cioè il Risorto costituito in potere rappresenta “le cose di lassù”: non un mondo evanescente, astratto, fantastico ma illusorio, un mondo quindi fuori della storia, ma una persona storica, la cui vicenda di morte e risurrezione diventa norma di comportamento, profezia, tipo di ogni vita impegnata per i valori del regno di Dio. L’Apostolo pone quindi alla base dell’etica cristiana non una filosofia, ma un concreto evento di salvezza con cui confrontarsi, anzi, una persona: la persona di Cristo. Cercare le “cose di lassù” significa spogliarsi dell’uomo vecchio con le sue azioni e rivestirsi dell’uomo nuovo. Sentimenti, ovvero “valori” pasquali che presiedono a questa novità di vita, sono: misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza, perdono, soprattutto carità, pace e fedeltà alla Parola di Cristo (cf. Col 3,5-17). Ecco qui un programma di vita cristiana pasquale.

 

L’eucaristia si conosce, si celebra e si vive alla luce della fede nella morte e risurrezione del Signore. Compiendo il rito della Pasqua i figli d’Israele sono stati partecipi, di generazione in generazione, della stessa liberazione e salvezza sperimentata dai loro padri nella notte in cui il Signore li fece uscire dal paese d’Egitto. Celebrando l’eucaristia, i cristiani, di generazione in generazione, siamo partecipi del “corpo donato” e del “sangue versato” di Cristo, quale evento decisivo della liberazione di tutta l’umanità dalla forza del peccato e dal potere della morte.

 

 

 

venerdì 18 aprile 2025

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA – 20 Aprile 2025

 



 

 

Gn 1,1-2,2; Gn 22,1-18; Es 14,15-15,1; Is 54,5-14; Is 55,1-11; Bar 3,9-15.32-4,4; Ez 36,16-17a.18-28; Rm 6,3-11; dal Sal 117 (118); Lc24,1-12

 

La struttura di questa celebrazione vigiliare ci introduce nella contemplazione della Pasqua in tutte le sue dimensioni: la liturgia della luce o “lucernario” (benedizione del fuoco nuovo, accensione del cero pasquale e canto del annuncio pasquale) celebra la Pasqua cosmica, che segna il passaggio dalle tenebre alla luce; la liturgia della Parola (con sette letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo) celebra la Pasqua storica evocando i principali momenti della storia della salvezza; la liturgia battesimale celebra la Pasqua della Chiesa, popolo nuovo suscitato dal fonte battesimale; la liturgia eucaristica celebra la Pasqua perenne e definitiva con la partecipazione al convitto eucaristico, immagine della vita nuova e del regno promesso. I diversi momenti celebrativi della Veglia hanno un filo conduttore: l’unità del disegno salvifico di Dio che si compie nella Pasqua di Cristo per noi.      

 

La Pasqua celebra quindi un passaggio. “Pasqua” significa appunto “passare oltre”. Vediamo infatti che questo è il significato fondamentale della Pasqua ebraica. Israele, guidato da Mosè, passa dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della terra promessa (Es 14,15-15,1), come cantiamo nell’Annuncio pasquale: “Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso”. Questo è poi il significato della Pasqua di Cristo: all’inizio di questa Veglia ci viene ricordato che “in questa santissima notte…Gesù Cristo nostro Signore passò dalla morte alla vita”. Finalmente, questo è il significato della Pasqua della Chiesa, in cui si compie il nuovo esodo di tutta l’umanità, guidata da Cristo, nuovo Mosè, verso la vera e definitiva terra promessa.

 

La Chiesa, cioè tutti noi, abbiamo già partecipato a questo passaggio attraverso il sacramento del battesimo. E’ un passaggio spirituale ma reale che segna tutta quanta la vita cristiana. Il Risorto ha aperto un varco, una breccia per tutti coloro che credono in lui e accolgono con il battesimo e una condotta ad esso conforme la novità di vita nello Spirito. Così spiega san Paolo il mistero della Pasqua ai primi cristiani di Roma (cf. la lettura apostolica: Rom 6,3-11): “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Quindi anche noi siamo passati dalla morte alla vita. Questa “novità di vita”, che sarà totale e definitiva solo alla fine dei tempi, si manifesta già fin d’ora mediante la vita secondo lo Spirito.

 

Certo, noi continuiamo a vivere la vita nel mondo e conosciamo perciò tutti i limiti e tutte le dimensioni mondane della vita presente: la dimensione biologica, quella psicologica e quella sociale, e naturalmente la sofferenza e la morte. Ma nessuna di queste realtà si presenta ormai come ultima e definitiva. La nostra vita infatti è aperta a qualcosa di nuovo e più grande, quell’esistenza segnata dal dono pasquale che è stata inaugurata dalla risurrezione del Signore.

 

La celebrazione della Pasqua significa quindi per noi tutti la ripresa di un programma di vita che si realizza in un impegno permanente di rinnovamento mai pienamente raggiunto. Solo la nostra morte vissuta “in Cristo” potrà compiere il senso dell’esistenza cristiana. Nel frattempo, si tratta di rimanere fedeli a quel germe di vita nuova che abbiamo ricevuto nel battesimo e cresce e si consolida nell’eucaristia fino al compiersi in noi della Pasqua definitiva.

 

giovedì 17 aprile 2025

VENERDI’ SANTO: PASSIONE DEL SIGNORE – 18 Aprile 2025

 



 

 

Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

 

Pasqua significa “passaggio”, il passaggio di Gesù, attraverso la morte, alla vita nuova. Il Venerdì Santo è il primo atto di questo passaggio. La celebrazione pomeridiana in onore della Passione del Signore è divisa in tre parti: liturgia della Parola, adorazione della Croce, comunione eucaristica. In ogni caso, il simbolo centrale del Venerdì Santo è la Croce gloriosa e vittoriosa di Cristo Gesù. Dopo il silenzio iniziale, l’orazione con cui si apre la celebrazione fa riferimento al Cristo crocifisso che “inaugurò nel suo sangue il mistero pasquale”.

 

I tre brani biblici della liturgia della Parola accentuano la dimensione gloriosa della croce, anche se non manca il simbolismo della croce – scandalo. Nel racconto della passione secondo Giovanni e, in genere nel quarto vangelo, la croce è già la gloria di Dio anticipata. Il canto al vangelo, tratto da Fil 2,8-9, si colloca in questa stessa ottica quando annuncia l’esaltazione di Cristo fatto obbediente fino alla morte di croce. Giovanni nel racconto della Passione ha voluto evidenziare la maestà serena della morte di Gesù: non riferisce il grido di dolore di cui parlano Mt 27,46 e Mc 15,34. Giovanni è il solo a raccontare che dal costato di Cristo fluirono sangue e acqua (Gv 19,34): il sangue evoca il dono della vita e il dono di sé per la vita (Gv 10,11; 15,13); l’acqua è metafora di vita rigogliosa legata al dono dello Spirito (Gv 3,5; 4,10-14). Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore, e donando a noi lo Spirito. Il brano profetico di Isaia ci propone il quarto canto del Servo del Signore: le persecuzioni che il servo sopporterà con grande pazienza sono uno scandalo per gli spettatori, ma “dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità”. La seconda lettura ci ricorda che il nostro sommo sacerdote Gesù, “nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. La passione – morte di Cristo viene celebrata anzitutto nella sua dimensione soteriologica, che culmina nell’invito: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,16). Il cuore della passione di Cristo è l’amore, non la violenza.

 

Nell’ostensione e adorazione della Croce notiamo l’antifona che accompagna il Sal 66 (67),2: “Adoriamo la tua Croce, Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa risurrezione. Dal legno della Croce è venuta la gioia in tutto il mondo”. Il testo esprime in modo eccellente l’unità del mistero della croce e della risurrezione. Gli Improperi o Lamenti del Signore sono dei veri rimproveri che il Signore in croce rivolge al suo popolo: in essi si ripercorrono le prime tappe della storia d’Israele in cui Dio si manifesta come salvatore; questi eventi si mettono poi a confronto con la condotta riprovevole del popolo nei fatti della Passione. Gli Improperi sono da intendere come espressione del continuo rifiuto della comunità, sia giudaica che cristiana, di fronte a Dio che opera la salvezza.

 

Segue il rito della comunione dei fedeli, visto in stretto rapporto con il mistero della Croce gloriosa, simbolo centrale del Venerdì santo: le due preghiere conclusive si rivolgono al Padre e fanno riferimento alla “gloriosa morte e risurrezione del tuo Cristo” (orazione dopo la comunione), e alla “morte del tuo Figlio nella speranza di risorgere con lui” (orazione sul popolo).

 

martedì 15 aprile 2025

GIOVEDI SANTO: MESSA VESPERTINA “IN CENA DOMINI” 17 Aprile 2025

 



 

 

Es 12,1-8.11-14; Sal 115 (116); 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

 

Il brano evangelico d’oggi inizia con queste parole: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”.  La sera del Giovedì Santo celebriamo l’ora di Gesù, l’ora in cui egli manifesta pienamente se stesso facendosi dono per noi. Infatti, in questa celebrazione del Giovedì Santo la Chiesa fa memoria di tre avvenimenti, apparentemente diversi, ma in realtà strettamente connessi: l’istituzione dell’eucaristia, l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il comandamento nuovo della carità fraterna. Questi tre doni di Cristo alla sua Chiesa sono l’autentico testamento di Gesù vicino ormai alla sua ora, cioè al passaggio da questo mondo al Padre. È un testamento dettato dal grande amore di Gesù per noi, segno vivo ed efficace della sua presenza a nostro favore.

 

Qual è il senso profondo di questo testamento? Possiamo coglierne il significato nel gesto della lavanda dei piedi: Gesù lava i piedi ai suoi discepoli. Questo gesto non è solo un atto di umiltà. E’ qualcosa di più profondo. San Giovanni ha voluto parlarne al posto del racconto dell’ultima cena. Tutti gli altri evangelisti, e anche san Paolo (cf. seconda lettura), ci narrano con grande cura l’istituzione dell’eucaristia e, implicitamente, quella del sacerdozio ministeriale (cf. “Fate questo in memoria di me”). San Giovanni invece ha voluto darci attraverso il gesto della lavanda dei piedi il significato del dono offerto a noi da Cristo nell’eucaristia: “Se io – dice Gesù – il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Non è tassativamente la lavanda dei piedi in se stessa che prescrive Gesù, quanto piuttosto quella disponibilità totale di servizio, di dono di sé ai fratelli che si esprime nel gesto della lavanda. Gesù compie un gesto di servizio e di abbassamento, di dono di sé per il bene degli altri. San Giovanni presenta quindi l’eucaristia come il sacramento dell’abbassamento, dell’obbedienza, del sacrificio spirituale e dell’amore di Cristo, del dono totale di sé per la salvezza di noi tutti.

 

Il dono di sé che Gesù consuma il Venerdì Santo quando porta a compimento la sua missione in totale sottomissione alla volontà del Padre fino alla morte e morte di croce, è perennemente presente nell’eucaristia affinché noi possiamo ricevere i frutti di questo donarsi del Signore per noi. Quando Gesù prende il pane fra le sue mani dice: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi...” Quando prende il calice del vino dice: “Questo è il calice del mio sangue versato per voi...” Ecco quindi che quando Gesù istituisce l’eucaristia ci spiega il significato della sua morte come dono di sé per la vita del mondo, dono perennemente presente in mezzo a noi nei segni del pane e del vino.

 

Possiamo affermare che il messaggio del Giovedì Santo è tutto qui. Vivere, ad esempio di Cristo, la nostra fede come dono di noi stessi al servizio dei nostri fratelli e sorelle, nella obbedienza a Dio Padre. Questo è il senso dell’eucaristia, questa è la missione fondamentale del sacerdozio ministeriale nella Chiesa e questo è il nocciolo della vita cristiana sintetizzata nel comandamento nuovo dato da Gesù quando dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12).

 

venerdì 11 aprile 2025

DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE (C) 13 Aprile 2025

 



 

Is 50,4-7; Sal 21 (22) ; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56

 

Gesù agonizzante attribuisce a sé il Sal 21, preghiera di lamentazione, riprendendone le prime battute: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (cf. Mc 15,34), parole che noi ripetiamo oggi come ritornello del salmo responsoriale. Il salmo in questione è un testo di grande desolazione, segnato da immagini forti. L’orante, immerso nella sofferenza e vicino alla morte, sente il silenzio di Dio e l’ostilità degli uomini. Ma all’improvviso, la supplica diventa fiduciosa attesa dell’aiuto di Dio e poi ringraziamento festoso al Signore, re dell’universo. All’inizio della settimana di passione, questo salmo ci introduce adeguatamente nella celebrazione del mistero pasquale di Gesù, che va dalla morte alla vita, dalle ombre del sepolcro alla luce della risurrezione. Su questa linea, la colletta della messa ci invita ad avere sempre presente il grande insegnamento della passione di Cristo, per poter partecipare alla gloria della sua risurrezione.

 

Nella celebrazione odierna sono evocati i due momenti del mistero pasquale: la commemorazione del trionfale ingresso di Gesù in Gerusalemme, con cui egli afferma la sua dignità messianica, e la sua morte in croce, che indica il modo con cui essa si esprime. La passione e morte sono narrate con dovizia di dettagli nella lettura evangelica della passione secondo Luca, a cui si affiancano le altre due letture, che creano il clima adatto per l’ascolto della passione: la lettura profetica presenta la figura misteriosa del Servo sofferente, che assume su di sé le colpe di tutti e le riscatta; quella apostolica è un inno cristologico in cui si afferma che il Figlio di Dio proprio perché ha accettato i limiti e la povertà della condizione umana, Dio “l’ha esaltato”.

 

Il racconto della passione è così denso che non avrebbe bisogno di commenti. Tuttavia, notiamo alcune caratteristiche della redazione di Luca, un racconto pieno di tenerezza, impostato secondo un’ottica personale ed esortativa: spuntano nel succedersi degli eventi le continue reazioni tra il discepolo che assiste e il Cristo sofferente. Seguendo Gesù nella passione, il discepolo – ciascuno di noi – è invitato ad una adesione personale ed esistenziale. Come Simone di Cirene e le pie donne, che seguono Gesù anche in questi momenti decisivi e drammatici, pure noi siamo invitati a seguirlo e a portare la croce dietro a lui. Nel racconto del momento supremo della crocifissione e morte di Gesù, san Luca ricorda tre espressioni del Salvatore che non trovano riscontro negli altri evangelisti. Anzitutto le parole di perdono per i crocifissori: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Il Salvatore con la sua preghiera di perdono per i suoi carnefici si fa norma ed esempio vivente di quanto aveva insegnato ai discepoli. Poi al buon ladrone Gesù morente rivolge queste parole: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Anche queste sono parole di perdono e di bontà; parole, poi, che aprono il cuore di tutti noi alla speranza e invitano a guardare in avanti verso la luce della Pasqua di risurrezione. Finalmente nel racconto lucano, Gesù muore con la preghiera sulle labbra: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, parole prese dal Sal 31,6 che faceva parte della preghiera serale degli ebrei. Con queste parole Gesù morente non manifesta soltanto il suo abbandono fiducioso, ma anche la sua piena accettazione del piano di salvezza voluto dal Padre; in tal modo Gesù muore come il perfetto giusto che si rimette nelle mani del Padre.   

 

“Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza” (prefazio). Questo mistero si ripresenta sacramentalmente nel sacrificio eucaristico.

domenica 6 aprile 2025

L’EUCARISTIA

 



 

Antonio Miralles, Teologia liturgica dei sacramenti. I. Eucaristia (Veritatem inquirere 9), EDUSC, Roma 2022. 438 pp. (€ 35,00)

L’estrema luminosità del Mistero eucaristico e la sua importanza per la vita della Chiesa, si manifesta nella celebrazione. Il presente volume si propone di indagare la celebrazione eucaristica sotto il profilo teologico-liturgico, prendendone in esame lo sviluppo storico ma anche, e soprattutto, la comprensione teologica delle diverse parti. Non manca uno studio, nella seconda parte del trattato, della concelebrazione e del culto eucaristico fuori della Messa.
La trattazione riguarda il Rito romano. Punto di riferimento continuo è pertanto il Missale Romanum nella sua ultima edizione tipica. L’oggetto di studio non è propriamente il libro in se stesso, ma la Messa in quanto viene celebrata, donde l’attenzione particolare al libro liturgico, ma sempre in vista della realtà della celebrazione.

Fonte: Quarta di copertina.

 

venerdì 4 aprile 2025

DOMENICA V DI QUARESIMA (C) – 6 aprile 2025

 



 

 

Is 43,16-21; Sal 125 (126); Fil 3,8-14; Gv 8,1-11

 

 

In questa V Domenica di Quaresima, il messaggio della Parola di Dio possiamo riassumerlo dicendo che Dio dona sempre la possibilità di un futuro migliore. Lo ha fatto per bocca del profeta Isaia con Israele umiliato e deportato a Babilonia. Lo ha fatto con san Paolo che da persecutore è diventato il grande apostolo di Cristo. Lo ha fatto con la donna sorpresa in adulterio: “va’ e d’ora in poi non peccare più”.

 

Soffermiamoci brevemente sul brano evangelico. Gli scribi e i farisei trascinano una donna sorpresa in adulterio, la presentano a Gesù e gli ricordano che secondo la legge di Mosè dev’essere lapidata: “Maestro, tu che ne dici?”. Gesù non poteva negare il dettato della legge. D’altra parte, però, applicando la legge era costretto a rinnegare quell’annuncio di perdono che aveva caratterizzato la sua predicazione, quel volto di Dio tenero e compassionevole che aveva presentato a chi lo ascoltava.

 

Se, per caso, si fosse discostato dalla legge, sarebbe apparso blasfemo, avrebbe attirato su di sé la riprovazione di tutti. Tranello ben congegnato. Situazione senza via di uscita. Per questo Gesù va fino in fondo.

 

E prende sul serio questa richiesta di giustizia, motivata dalla fedeltà alla legge di Dio. Tanto sul serio da lanciare una sfida: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Gesù ha capovolto il giudizio. Il giudizio non riguarda solo quella donna, ma tutti, E non è solo questione di adulterio… L’orrore del peccato è importante, ma non può proiettarsi solo verso il peccato degli altri. Esige altrettanta attenzione e decisione verso il proprio peccato, quello che si annida nell’intimità del nostro cuore.

 

È come se avesse detto a quegli scribi e farisei. Il vostro atteggiamento è lodevole, perché volete far rispettare la legge. Siate conseguenti, però. Esaminate voi stessi, e se non trovate in voi nessun peccato, allora procedete a fare giustizia. Ma chi può raccogliere una simile sfida, chi può considerarsi esente da peccato ed ergersi a giudice dei propri simili? Uno dopo l’altro gli accusatori se ne vanno. Senza umanità la legge può uccidere, schiacciare, umiliare. Per Gesù, più del comandamento infranto, è ormai importante la donna con la sua vita infranta. A questa vita infranta Gesù dà un futuro perché possa riprendersi: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.