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domenica 31 dicembre 2023

MARIA SS. MADRE DI DIO – 1 Gennaio 2024

 



 

 

Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

 

Il messaggio della liturgia del primo giorno dell’anno è molteplice. Le letture bibliche e gli altri testi della messa tratteggiano la molteplicità dei temi proposti alla nostra attenzione: la maternità divina di Maria, l’ottava del Natale, la circoncisione di Gesù con l’imposizione del nome, la ricorrenza del primo giorno dell’anno, la giornata della pace. Trattandosi della solennità della Madre di Dio, noi qui ci soffermiamo su questo mistero mariano.

 

“Madre di Dio” è il titolo che le Chiese d’oriente e d’occidente danno unanimemente a Maria, quando la ricordano nella preghiera eucaristica e nella celebrazione della nascita del Signore, quando si rivolgono a lei invocandone l’intercessione. Per aver generato colui che si è fatto nostro fratello, Maria è anche nostra madre. La preghiera dopo la comunione la invoca come “madre di Cristo e della Chiesa”.

 

Maria è anzitutto madre del Salvatore. Dio ha voluto realizzare il suo piano di salvezza mediante l’incarnazione del Verbo. Perciò, come dice san Paolo nella seconda lettura, Cristo doveva avere una madre: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…” Anche se non vi compare il nome proprio di “Maria”, questo testo è straordinariamente importante. Vi si trova il primo spunto della riflessione della fede cristiana su Maria, in stretta connessione con il concetto di “maternità”. La maternità divina di Maria però non si limita all’ordine biologico. La sua è una maternità nel senso più completo, si esprime cioè con l’amore specificamente materno, che è unico e irrepetibile. La sua maternità è pure intuizione profonda, assecondamento completo, disponibilità e cooperazione senza riserve. Maria poi conserva e medita nel cuore tutto ciò che ascolta dal Figlio suo (cf. vangelo). Non si tratta solo di un ricordo e neppure di una semplice meditazione, ma di una partecipazione interiore. “Meditare” significa dire e ridire al proprio cuore quello che si è visto e ascoltato finché la realtà di cui si è stato testimoni non entra a formar parte della propria vita.

 

La prima lettura riporta la formula di benedizione sacerdotale, suggerita da Dio ad Aronne, mostrandoci in Maria la “benedetta fra le donne”, diventata causa di benedizione per tutti noi. La carne di Cristo è la carne che egli trasse dal grembo di Maria, figlia come noi di Adamo; e tale carne è la premessa della nostra solidarietà con Cristo (cf. Eb 2,14). Nel grembo della Vergine si è compiuto il “meraviglioso scambio” per il quale Dio si è “fatto uomo” e l’uomo ha accolto in sé la “divinità” (cf. prefazio III di Natale). La via della divinizzazione dell’uomo è l’umanizzazione di Dio.

 

Maria è anche madre nostra. Nella seconda lettura san Paolo afferma che Dio manda il suo Figlio “per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”. Corrado di Sassonia, un teologo francescano del secolo XIII, contemplando questo mistero, esclama: “Benedetta la madre per la quale Cristo è divenuto nostro fratello. E benedetto il fratello per il quale Maria è divenuta la nostra madre”.

 

La celebrazione della divina maternità di Maria è un invito a cominciare il nuovo anno nella consapevolezza che l’amore di Dio, per mezzo di Maria, è entrato nella storia per riscattare la nostra vita dal dominio del tempo e della morte.

venerdì 29 dicembre 2023

DOMENICA DOPO NATALE: SANTA FAMIGLIA DI GESU’ MARIA E GIUSEPPE (B) 31 Dicembre 2023

 



 

Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40

 

È normale che i brani della Bibbia che ci propone la liturgia odierna siano da noi letti alla luce della festa della Santa Famiglia, in funzione della quale essi vengono proposti. In questi brani si parla di due famiglie, quella di Abramo e Sara nella prima e seconda lettura, e quella di Giuseppe e Maria nella lettura evangelica, e quindi, si parla anche dei loro rispettivi figli avuti in modo straordinario: Isacco e Gesù. Nei due racconti viene messa in evidenza la fede di queste famiglie: nella prima lettura si dice che Abramo “credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia”. E la lettera agli Ebrei aggiunge che Sara “per fede [...] ricevette la possibilità di diventare madre...” La lettura evangelica può essere interpretata anche con questa chiave di lettura: Giuseppe e Maria portano Gesù al tempio di Gerusalemme, e compiono ciò che la Legge comanda riguardo a un figlio primogenito, lo consacrano cioè a Dio riconoscendo in questo modo che non loro ma Dio è il Signore; non per fare la loro volontà, ma quella di Dio; per questo hanno ricevuto in dono dal Signore questo bambino. Atteggiamento di fede e sottomissione al volere di Dio.

 

La festa della Santa Famiglia è stimolatrice di molte riflessioni e orientamenti operativi in un contesto culturale come il nostro, in cui la famiglia non è una realtà pacificamente acquisita e da tutti difesa e promossa. Ma la parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a riflettere anzitutto sullo spazio che ha la fede nelle nostre famiglie. La famiglia cristiana, per prima cosa, dovrebbe trovare il coraggio della fede. La nascita straordinaria di Isacco e, soprattutto, quella di Gesù ci fanno capire che i figli sono un dono di Dio più che frutto della scelta dell’uomo. Mettere al mondo un figlio è una scelta che per un cristiano rientra pienamente nell’ambito della sua fede: fede nella vita e fede nel Dio della vita: la fede nella vita, quando diventa piena, senza condizioni, trova la sua giustificazione in un Dio che ha creato e conserva il mondo con amore; e viceversa la fede in Dio, quando è sincera ed efficace, conduce a dire un “sì” gioioso e senza condizione alla vita. Ma questa fede non si esaurisce in un “sì” iniziale. La Lettera agli Ebrei richiama anche al sacrificio di Isacco e, nel racconto evangelico di Luca, ascoltiamo l’anziano Simeone che predice a Maria: tuo Figlio sarà “segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima – affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. La fede dev’essere pronta ad affrontare il momento della prova. Quando i rapporti familiari vengono compromessi dalle incomprensioni o semplicemente logorati dal tempo, è allora che la fede può e deve venire in aiuto per rinsaldare i legami e rilanciare la comunione. E’ il momento di dare una risposta di fede al Dio fedele.

 

Benché all’origine della sua istituzione vi siano considerazioni pastorali e di spiritualità familiare, la festa della Santa Famiglia è, anzitutto, la celebrazione del mistero dell’Incarnazione, di cui essa evidenzia la concretissima realtà.

         



lunedì 25 dicembre 2023

LA CHIESA CHE MORIRÀ

 



Fratel MichaelDavide, La Chiesa che morirà. L’arte di raccogliere i frammenti per impastare nuovo pane, San Paolo, Cinisello Balsamo 2023. 142 pp (€ 14,00).


Morirà la Chiesa dei privilegi.

Morirà la Chiesa clericale talora ancora più grave nei laici che nei ministri ordinati.

Morirà la Chiesa del compromesso con i poteri mondani e con le ideologie “cristianiste” così lontane dallo stile evangelico.

Morirà la Chiesa nostalgica di quei tempi gloriosi che forse così gloriosi non sono mai stati.

Morirà la Chiesa del vittimismo che si ritiene accerchiata e minacciata dalle istanze della percezione antropologica degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Morirà la Chiesa del trionfalismo, delle cose “in grande” e del “come si è sempre fatto”.

Morirà la Chiesa ostile verso coloro che non vogliono e non possono, o non possono e non vogliono vivere né come noi né secondo i nostri criteri.

Morirà la Chiesa affascinata dal sacro e insensibile all’umano.

(p. 135).

domenica 24 dicembre 2023

NATALE DEL SIGNORE – 25 Dicembre 2023 Messa del giorno

 



 

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

 

Tra le letture bibliche della Messa del giorno di Natale, emerge lo splendido brano della prima pagina del vangelo di Giovanni, testo sobrio e solenne al tempo stesso, di profonda dottrina cristologica, vero antidoto contro ogni eventuale lettura sentimentale, fatua e consumistica del mistero natalizio. Oggetto dei 18 versetti del prologo giovanneo è Gesù Cristo, colto nelle sue diverse dimensioni.

 

Anzitutto meritano una particolare attenzione le prime battute del prologo: “In principio era il Verbo…” Il termine “principio” è accompagnato dal verbo essere al tempo imperfetto (“era”). In questo modo, Giovanni intende affermare che una realtà sussiste indipendentemente dai condizionamenti imposti dal decorrere del tempo. Infatti, quando l’evangelista vuole significare la delimitazione temporale utilizza i verbi “essere fatto” per dire che una cosa ha avuto inizio in un determinato momento, e “diventare” per alludere a qualche aspetto della mutabilità. Ecco, quindi, che l’espressione giovannea intende dire che il Verbo era precedentemente all’esistere del tempo, all’ “in principio” in cui l’esistente ha preso inizio, dunque da sempre, dall’eternità. In questo modo, Giovanni ci mostra che il Cristo ingloba in sé non solo l’orizzonte dell’antica Alleanza ma anche quello della creazione.

 

Questo “Verbo” eterno “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. “Carne”, senza ulteriori specificazioni, non significa semplicemente uomo, ma l’uomo legato alla terra, debole e caduco. Si direbbe che Giovanni intenda sottolineare tutta la diversità e distanza fra il divino e l’umano. Il Verbo che era “presso Dio” ora è “fra noi”, non solo vicino a noi ma pienamente partecipe della nostra umanità. Nel linguaggio biblico “carne” non significa il corpo dell’uomo contrapposto allo spirito, ma l’uomo intero colto nella sua caducità, nella sua debolezza, nel suo essere consegnato alla morte. Possiamo quindi affermare che il cosmo e la storia, lo spazio e il tempo, le cose e l’uomo, l’essere tutto acquistano nel mistero dell’Incarnazione un senso perché in essi si inserisce il Verbo eterno di Dio.

 

Qual è l’atteggiamento dell’uomo dinanzi a questo mistero? Giovanni afferma che il Verbo “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio…” Dinanzi a questo mistero la reazione è duplice: il rifiuto aggressivo o l’accoglienza fedele. Giovanni qualche versetto prima usa l’espressione: “il mondo non l’ha riconosciuto”. “Riconoscere” e “accogliere” sono due verbi importanti che il seguito del vangelo di Giovanni chiarisce. Riconoscere non è solo ascoltare la parola di Gesù e neppure solo capirne il senso, ma comprendere che le sue parole provengono dal Padre (cf. anche la seconda lettura). Si tratta quindi di riconoscere, ascoltando le parole e vedendo i segni da lui compiuti, che Gesù è il Figlio che viene dal Padre: è dunque il mistero della persona di Gesù, la sua origine, che va compresa e riconosciuta. E accogliere implica apertura, disponibilità e sequela.

 

Nella colletta della messa, riallacciandoci al v. 12 del prologo, chiediamo a Dio che “possiamo condividere la vita divina di suo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana”.

 

venerdì 22 dicembre 2023

DOMENICA IV DI AVVENTO (B) – 24 Dicembre 2023

 



 

 

2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

 

 

Le letture bibliche di quest’ultima domenica di Avvento, imminente ormai la celebrazione del Natale, mettono in evidenza due temi principali: il primo è quello della fedeltà di Dio, di cui parla il salmo responsoriale. La promessa fatta da Dio per mezzo del profeta Natan a Davide (prima lettura) si è adempiuta nella nascita di Gesù Cristo, il Messia. Egli, infatti, è figlio di Davide e il suo regno è stabile per sempre. Ciò viene messo in evidenza da san Luca nel brano evangelico. Infatti, le parole di Gabriele a Maria si agganciano strettamente a quelle del profeta Natan. A Davide Dio aveva assicurato un “discendente uscito dalle sue viscere”; a Maria è annunciato un figlio del suo grembo, che “sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Per realizzare il suo meraviglioso disegno nascosto da secoli, Dio non ha scelto un re, bensì un’umile ragazza, una vergine dell’oscuro villaggio di Nazaret. Non le ha inviato un profeta, ma il suo angelo, messaggero dell’annuncio più straordinario della storia.

 

Il secondo tema proposto alla nostra attenzione è l’atteggiamento di fede e di obbedienza di Maria, che alle parole dell’angelo risponde: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (parole riprese anche dal canto al vangelo). La bellissima pagina evangelica dell’annunciazione si chiude con l’adesione di Maria ai piani di Dio, a lei svelati dall’angelo. Come Gesù è servo di Dio, offertosi al Padre in un atteggiamento di obbedienza per la salvezza degli uomini, così anche Maria si dichiara serva del Signore pronta a collaborare al suo disegno di salvezza. Dice a questo proposito il Vaticano II: “Dio non si è servito di Maria in modo puramente passivo, ma [...] ella ha cooperato alla salvezza umana nella libertà della sua fede e della sua obbedienza” (Costituzione Lumen Gentium, n.56).

 

Il piano divino della salvezza viene proposto anche a noi perché lo accettiamo sottomettendo ad esso i nostri progetti e la stessa nostra esistenza. La fede appare così come un atto di obbedienza, nel senso che credere significa lasciare che la propria vita sia illuminata e determinata dal piano di Dio (cf. seconda lettura). Il mistero di salvezza iniziato in Maria continua in noi. Nella Vergine di Nazaret troviamo il modello di vita d’ogni uomo che si apre al dono della salvezza. Anche noi, come Maria, siamo chiamati a prepararci a ricevere il Figlio di Dio “nel cuore e nel corpo”, con totale disponibilità, e così cooperare, con libera fede e incondizionata obbedienza, all’avvento del suo regno in noi e nel mondo intero. Sono i nostri sì quotidiani alla giustizia, alla carità, alla condivisione, alla fedeltà verso il vangelo che rendono sempre più vero ed efficace il Natale di salvezza per noi e per il mondo intero.

 

lunedì 18 dicembre 2023

IL SENSO LITURGICO DEI RITI DI BENEDIZIONE

 





Dichiarazione “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni del Dicastero per la Dottrina della Fede, 18.12.2023

 

[…]

l senso liturgico dei riti di benedizione

9. Da un punto di vista strettamente liturgico, la benedizione richiede che quello che si benedice sia conforme alla volontà di Dio espressa negli insegnamenti della Chiesa.

10. Le benedizioni si celebrano infatti in forza della fede e sono ordinate alla lode di Dio e al profitto spirituale del suo popolo. Come spiega il Rituale Romano, «perché questa finalità risulti più evidente, per antica tradizione le formule di benedizione hanno soprattutto lo scopo di rendere gloria a Dio per i suoi doni, chiedere i suoi favori e sconfiggere il potere del maligno nel mondo».[8] Perciò, coloro che invocano la benedizione di Dio per mezzo della Chiesa sono invitati a intensificare «le loro disposizioni, lasciandosi guidare da quella fede alla quale tutto è possibile» e a confidare in «quell’amore che spinge a osservare i comandamenti di Dio».[9] Ecco perché, se da un lato «sempre e dappertutto si offre l’occasione di lodare, invocare e ringraziare Dio per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo», dall’altro la preoccupazione è che «non si tratti di cose, luoghi o contingenze che siano in contrasto con la legge o lo spirito del Vangelo».[10] Questa è una comprensione liturgica delle benedizioni, in quanto esse diventano riti ufficialmente proposti dalla Chiesa.

11. Fondandosi su queste considerazioni, la Nota esplicativa del citato Responsum dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede ricorda che quando, con un apposito rito liturgico, si invoca una benedizione su alcune relazioni umane, occorre che ciò che viene benedetto sia in grado di corrispondere ai disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Per tale motivo, dato che la Chiesa ha da sempre considerato moralmente leciti soltanto quei rapporti sessuali che sono vissuti all’interno del matrimonio, essa non ha il potere di conferire la sua benedizione liturgica quando questa, in qualche modo, possa offrire una forma di legittimazione morale a un’unione che presuma di essere un matrimonio oppure a una prassi sessuale extra-matrimoniale. La sostanza di questo pronunciamento è stata ribadita dal Santo Padre nelle sue Respuestas ai Dubia di due Cardinali.

12. Si deve altresì evitare il rischio di ridurre il senso delle benedizioni soltanto a questo punto di vista, perché ci porterebbe a pretendere, per una semplice benedizione, le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti. Tale rischio esige che si ampli ulteriormente questa prospettiva. Infatti, vi è il pericolo che un gesto pastorale, così amato e diffuso, sia sottoposto a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione.

13. Proprio a questo proposito, Papa Francesco ci ha esortato a non «perdere la carità pastorale, che deve attraversare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti» e ad evitare di «essere giudici che solo negano, respingono, escludono».[11] Rispondiamo allora alla sua proposta sviluppando una comprensione più ampia delle benedizioni.

[…]

 

domenica 17 dicembre 2023

UNA LITURGIA CHE NON PARLA PIÙ?

 


 


La riforma liturgica di Paolo VI ha compiuto più di 50 anni. Alcuni si domandano se si tratta di una liturgia che non parla più a gran parte dei fedeli (cfr. Franco Garelli in Credere oggi 3, 2023, pp. 9-20). Si afferma che molti sono stanchi della liturgia standard, una liturgia sentita come fredda, astrusa, difficilmente comprensibile, lontanissima dalla sensibilità culturale odierna, con le omelie che sono spesso piatte e noiose, lontane dai problemi quotidiani. E quindi nella cerchia dei credenti più impegnati ci sarebbe una crescente domanda di una liturgia di qualità.

Si tratta di accuse forse ingenerose, in quanto frutto di posizioni che sottovalutano le difficoltà di vivere e far vivere il mistero celebrato. Infatti, non si deve dimenticare l’importanza della formazione liturgica dei fedeli, in gran parte carente, a cui la Costituzione sulla liturgia vuole che sia dedicata una specialissima cura (cfr. SC n.14). La riforma liturgica è stata necessaria, ma non è sufficiente. Occorre mettere in atto una formazione che educhi a celebrare. In questo contesto, Romano Guardini affermava che il primo compito della formazione liturgica è che l’uomo diventi nuovamente capace di simboli, capace di leggere i simboli, qualcosa in cui l'uomo moderno è analfabeta. C’è anche il rischio che la domanda di una liturgia di qualità sia alimentata più da attese umane che da prospettive che ci trascendono, più dal desiderio di trovare delle conferme terrene che dalla disponibilità a essere aperti alle sollecitazioni dello Spirito. È il rischio che si corre partecipando a liturgie “significative” in quanto sono più occasione di conforto che di sconvolgimento. Una sana e feconda liturgia è quella che innesca una lotta interiore e tende a trasformare la vita.

venerdì 15 dicembre 2023

DOMENICA III DI AVVENTO (B) – 17 Dicembre 2023

 



 

 

Is 61,1-2.10-11; Lc 1,46-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

 

Le tre letture bibliche dell’odierna domenica contengono altrettanti messaggi, i quali sono da considerarsi complementari. Giovanni Battista annuncia che il Messia viene tra noi come uno “sconosciuto”. Isaia lo presenta come Messia dei “poveri”. Paolo ci invita a “gioire” per la venuta del Messia e ad andargli incontro. Questi temi si collocano come un prolungamento naturale del messaggio della domenica precedente: la gioia che scaturisce dal cuore dell’uomo che riconosce e accoglie Cristo che viene e che è presente nella storia esige una condivisione con i fratelli e, in particolare, un atteggiamento di servizio ai più poveri, come naturale componente della conversione e logica conseguenza dell’incontro con Cristo. Priva di questi segni, la conversione stessa si esaurisce in una sorta di velleitarismo spiritualistico, destinato a rimanere infruttuoso.

 

Il tema della gioia è presente già nell’antifona d’ingresso: “Rallegrateci sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino” (Fil 4,4.5). Lo stesso tema troviamo nell’orazione colletta e in qualche antifona della Liturgia delle ore. La gioia di cui parlano i testi odierni non è una chimera e neppure un sentimento passeggero frutto di un’emozione e di una esaltazione momentanee; è invece una realtà profonda che procede dall’essere stati salvati e dal sapersi, perciò, in pace con “il Dio della pace” (1Ts 5,23), cioè inseriti in quella nuova ed eterna alleanza inaugurata nella storia umana con l’apparizione del Figlio di Dio. È questa presenza, questa “vicinanza”, anzi questa intimità di Dio con l’uomo, oramai liberato, a determinare la gioia autentica, a inaugurare la vera “festa” cristiana che non conosce tramonto.

 

La comunione con Cristo, che realizza in pieno la “visita” di Dio al suo popolo per salvarlo non può rimanere un fatto intimistico, che si esaurisce in una sorta di sterile soddisfazione o di appagamento interiore. Per il fatto che Dio è Padre di tutti e vuole tutti salvi, essa non può non estendersi agli altri. Gesù è mandato “per portare il lieto annuncio ai miseri”, per annunciare l’intervento di Dio che salva tutti coloro che sono nella tribolazione o nel bisogno: gli affamati, i prigionieri, coloro che hanno il cuore spezzato, per “promulgare l’anno di grazia del Signore”.  Questo “anno di grazia” si riferisce all’anno del giubileo (cfr. Lv 25), quell’anno cinquantesimo in cui venivano condonati i debiti e ciascuno rientrava in possesso delle proprietà che aveva dovuto alienare. Il giubileo intende ricostituire quindi la condizione originaria d’integrità delle persone cancellando tutto quello che aveva potuto guastarla. È una prospettiva stupenda secondo la quale comprendere la vita e la missione di Gesù: egli è venuto per liberare l’uomo da ogni malattia e infermità e riportarlo all’integrità della sua condizione iniziale, quando era stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-27).

 

domenica 10 dicembre 2023

IL SACRAMENTO DEL LINGUAGGIO

 



 

Giorgio Agamben, Horkos. Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento (Saggi 82), Quodlibet, Macerata 2023. 102 pp. (€ 14,00).

 

Che cos’è il giuramento, qual è la sua origine e quale il suo scopo, se esso sembra mettere in questione l’uomo stesso come animale politico? L’ “archeologia” del giuramento che questo libro propone cerca di rispondere a queste domande, in una prospettiva in cui il problema del giuramento e il problema del linguaggio appaiono inseparabili. Attraverso un’indagine di prima mano sulle fonti greche e romane, che ne mette in luce il nesso con la legislazione arcaica, la maledizione, i nomi degli dei e la bestemmia, Agamben situa, infatti, l’origine del giuramento in una dimensione nuova, in cui esso appare come l’evento decisivo nell’antropogenesi, nel diventar umano dell’uomo. Il giuramento ha potuto costituirsi come “sacramento del potere” perché esso è innanzitutto il “sacramento del linguaggio”, in cui l’uomo, che si è scoperto parlante, decide di legarsi alla sua parola e di mettere in gioco in essa la sua vita e il suo destino.

(Quarta di copertina)

 

Pag. 9     Horkos. Il sacramento del linguaggio

Pag. 95   Riferimenti bibliografici

Pag. 101 Indice dei nomi

 

venerdì 8 dicembre 2023

DOMENICA II DI AVVENTO (B) – 10 Dicembre 2023

 



 

 

Is 40,1-5.9-11; Sal 84 (85); 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8

 

Di Natale in Natale, le promesse del Signore aprono davanti alla Chiesa la prospettiva dell’Avvento finale di Cristo, in cui pace e giustizia, amore e verità raccoglieranno in un unico abbraccio il cielo e la terra.

Alle parole del profeta Isaia riprese dalla prima lettura: “preparate la via al Signore”, fanno eco le parole di Giovanni Battista raccolte dal brano evangelico: “preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Ogni vero incontro è frutto di un reciproco cammino. Il Signore ci viene incontro, ma ciascuno di noi deve compiere il suo tratto di strada con la propria conversione. Ce lo ricorda san Pietro nella seconda lettura: “nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia”. L’insegnamento di fondo che la parola di Dio ci rivolge in questa domenica è quindi un invito alla conversione per ristabilire la comunione col Signore che viene continuamente a noi. Dio entra nella storia umana e si rivela pienamente in Gesù Cristo, per invitare ed ammettere gli uomini alla comunione con sé e fare di tutti gli uomini una comunità di fratelli, che è la Chiesa - nuova Gerusalemme. Questo fatto, che interpella in prima persona ogni uomo che vive nel mondo, è un’autentica chiamata alla vera vita, alla vera felicità. La risposta all’invito divino esige l’apertura del cuore, un atteggiamento cioè di disponibilità e di accoglienza, permeato di quella semplicità e povertà che è alla base della fede; e richiede che si scavi nella propria vita una strada e la si percorra, con gioia e coerenza, fino all’incontro definitivo con il Signore.

Tra le immagini con cui le letture bibliche d’oggi parlano della conversione c’è quella della “strada” o della “via”, tema biblico classico, che esprime tutto il dinamismo della fede, intesa non tanto come atteggiamento intellettuale, quanto piuttosto come uno stile di vita nel quale si traduce la fedeltà al vangelo e quindi come “sequela” di Cristo. In questa prospettiva la vita cristiana appare come un “cammino” di fede - conversione, compiuto insieme agli altri fratelli per incontrare il Signore che viene e per fare l’esperienza della sua comunione. Ostacoli sul nostro cammino non ne mancano. Vi sono, fra l’altro, le realtà terrene, quando non vengono usate “con la sapienza che viene dal cielo”, come dice la colletta. Perciò nella preghiera dopo la comunione chiediamo a Dio di saper “valutare con sapienza i beni della terra, e tenere fisso lo sguardo su queelli del cielo”.

Il Signore e giudice della storia verrà e “in quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova” (prefazio dell’Avvento I/A). L’eucaristia facendo memoria della morte e risurrezione di Cristo pone per ciascuno di noi che vi partecipiamo un segno e una caparra di salvezza per quel giorno “tremendo e glorioso”. Infatti, nell’eucaristia Cristo ci ammette alla sua comunione, segno e caparra di quella comunione piena e definitiva alla fine dei tempi.

 

mercoledì 6 dicembre 2023

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA – 8 Dicembre 2023

 



 

 

Gn 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26

 

La Chiesa celebra l’Immacolata Concezione della vergine Maria nel Tempo di Avvento, in cui la liturgia fa memoria del progetto della salvezza secondo il quale Dio, nella sua misericordia, chiamò i Patriarchi e strinse con loro un’alleanza d’amore; diede la legge di Mosè; suscitò i Profeti; elesse Davide, dalla cui stirpe doveva nascere il Salvatore del mondo: di questa stirpe Maria è figlia eletta, quasi il punto di arrivo. Il peccato originale ha impreso nello spirito di noi tutti qualcosa di oscuro e ribelle che ci spinge a rifiutare il dialogo con Dio e a fare di noi stessi il centro di ogni progetto di vita. Solo la salvezza divina può operare il cambiamento radicale di questo atteggiamento. Maria è stata preservata di questa macchia perché, “piena di grazia”, diventasse Madre del Salvatore.        

 

Nel brano del vangelo, abbiamo ascoltato le parole dell’angelo: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te”. Comprendiamo molto bene il turbamento di Maria: in quel momento percepisce la bontà di Dio che si riversa su di lei e si sente confusa, come davanti a un dono che giudica troppo prezioso e inatteso per lei. Era quel progetto che Dio rivelava in poche frasi: “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo…” Un progetto che sconcerta Maria: come può avere un figlio se non è andata ancora ad abitare in casa di Giuseppe? Maria non rinuncia ad esprimere il suo smarrimento, il suo bisogno del tutto umano di capire. E quale risposta riceve? “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”. In definitiva viene detto: Fidati Maria. Lascia fare a Dio.

 

E la grandezza di Maria sta proprio in questo, nell’accogliere il disegno di Dio con generosità, anche se non riesce a capire le strade che egli ha scelto per manifestare il suo amore agli uomini… Ecco, questo è l’essenziale. E in questa vicenda noi tocchiamo con mano la bontà di Dio che non ci ha abbandonato alla nostra storia di infedeltà e fragilità. Ma anche la risposta libera e generosa che ha trovato in una donna, che ha acconsentito a diventare madre del Salvatore.

 

In fondo è proprio quello che celebriamo con la festa dell’Immacolata: un Dio che ci precede sempre, che fa grazia, che offre il suo amore prima ancora che noi possiamo riconoscerlo e ricambiarlo. Dio non usa improvvisare: così aveva preparato Maria, l’aveva preservata da ogni contatto con il peccato delle origini. Un privilegio? Certo. Ma che non l’ha esonerata dalla fede, dalla fatica di aderire, giorno dopo giorno, a un progetto troppo bello e troppo grande per essere compreso e previsto.

         

Anche noi, come ci ricorda san Paolo nella seconda lettura, pur sottomessi all’eredità oscura del peccato originale, siamo stati scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a Dio nella carità. Anche noi siamo chiamati a pronunciare il nostro “sì” al progetto che Dio ha su ciascuno di noi. Ciascuno di noi è chiamato a cooperare, come Maria, al grande disegno che Dio ha sull’umanità.

domenica 3 dicembre 2023

MARGINALITÀ DELLA LITURGIA?

 



 

Enzo Bianchi nella sua ultima opera (Dove va la Chiesa?, San Paolo 2023, pp. 63ss) parla della “marginalità assunta dalla liturgia all’interno della vita ecclesiale in questi ultimi anni”. Pur riconoscendo che ci sono delle comunità nelle quali la liturgia è vissuta intensamente, egli afferma che c’è “l’impressione che nella Chiesa italiana la liturgia si trovi oggi in un cono d’ombra rispetto a temi ecclesiali ritenuti centrali come la famiglia, i giovani, l’educazione, i poveri e, più in generale, i temi morali e sociali”. Dopo l’entusiasmo con cui è stata ricevuta la riforma liturgica voluta dal Vaticano II, si è registrata una “battaglia liturgica” che ha stancato i credenti.

 

A questa analisi un po’ pessimista di E. Bianchi, vorrei aggiungere che con la recente Lettera Apostolica di Papa Francesco Desiderio desideravi (2022), il clima sembra che si sia rasserenato. A 60 anni della pubblicazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), possiamo guardare con un certo ottimismo il futuro.

 

venerdì 1 dicembre 2023

DOMENICA I DI AVVENTO (B) – 3 Dicembre 2023

 


 

 

Is 63,16b-17.19b; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

 

 

Il tempo d’Avvento collega la venuta di Cristo a Betlemme con l’attesa del suo secondo avvento glorioso alla fine dei tempi: il Natale è considerata già una festa di trionfo connessa col trionfo redentore della croce e con quello finale del ritorno di Cristo. L’Avvento si presenta quindi come un tempo di attesa del compimento della salvezza: nell’attesa gioiosa della festa della nascita del Redentore, siamo orientati verso il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi. L’Avvento intende suscitare in noi la nostalgia di Dio.

 

In questa prima domenica d’Avvento, la parola d’ordine, ripetuta per ben quattro volte nel breve brano evangelico, è “vegliate!”, siate pronti ad accogliere il Signore che viene per compiere l’opera della salvezza! Come i servi di cui parla il vangelo d’oggi, anche a noi è stato affidato un compito e abbiamo ricevuto molteplici doni di grazia per portarlo a termine. Vegliare vuol dire essere pronti a rendere conto al Padrone della gestione di quanto abbiamo ricevuto da lui. Bisogna vegliare consapevoli del peso di eternità di ogni venuta, di ogni istante che ci è donato. Gesù non dice cosa farà il padrone se, giungendo all’improvviso, troverà i servi addormentati, ma non c’è nemmeno bisogno di annunciare una qualsiasi punizione; l’essenziale in questo caso è il fallimento doloroso del proprio compito. Ci era stato affidato un incarico ed era proprio quello che dava senso alla nostra vita; averlo dimenticato significa che la nostra esistenza precipita nell’inutilità, nell’amarezza del vuoto. La vita cristiana prende inizio dalla prima venuta del Signore, si sviluppa come cammino verso la seconda e si conclude nell’effettivo incontro con il Signore. Non possiamo mancare a questo appuntamento.

 

Nella seconda lettura, san Paolo ci ricorda che, nell’imprevedibilità del momento preciso del ritorno del Signore, la vigilanza deve diventare impegno e testimonianza davanti al mondo, come tra i cristiani di Corinto a cui è indirizzata la sua lettera: “La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente, che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”. Vivere da cristiani significa assumere responsabilmente un compito che ci è stato affidato. Ma nell’adempimento di questo compito non siamo soli. Nel brano della prima lettura, il profeta Isaia è consapevole della radicale incapacità dell’uomo di salvarsi da solo. È necessario che Dio intervenga in nostro aiuto con l’azione trasformante della sua grazia: Egli va incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle sue vie. La colletta del giorno riprende questo concetto quando si rivolge a Dio affinché “susciti in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al Cristo che viene…” 


domenica 26 novembre 2023

L’EUCARISTIA SECONDO ZWINGLI

 



 

Il riformatore Zwingli Ulrico (1484-1531) si trovava ad operare tra il gruppo radicale degli anabattisti che intendevano creare una Chiesa “libera” e il fronte cattolico tradizionale che non intendeva accogliere le novità dei riformatori. Zwingli l’11 aprile 1525 presentò al Consiglio della città di Zurigo una nuova liturgia eucaristica. Il testo fu accolto e, con alcuni ritocchi, sostituì la messa tradizionale. Non intendo analizzare questo nuovo rito della santa cena. Vorrei soltanto indicare quali siano stati i criteri che hanno guidato a Zwingli nella sua riforma, che costituisce una vera e propria creazione liturgica.

Zwingli rifiuta il termine “messa”, ma accetta il vocabolo “eucaristia”, che è “memoriale” (Wiedergedächtnis), “ringraziamento” (Danksagung) e “esultanza” (Frohlocken). Partendo dal principio della “sola Scriptura”, tutto ciò che non si conforma alla parola di Dio deve essere eliminato. Il rito della cena del Signore è sato istituito da Cristo. È opportuno, pertanto, evitare lo sfarzo e la pompa delle cerimonie per non ricadere negli errori del passato. Il riformatore, poi, intende favorire la partecipazione di tutta la popolazione.

Non è difficile notare nei suddetti criteri del riformatore di Zurigo, tre criteri fondamentali della riforma cattolica della santa messa promossi dal Vaticano II ed enunciati nella Costituzione Sacrosanctum Concilium: una più grande ricchezza biblica (SC n. 51); la partecipazione attiva dei fedeli (SC nn.48-49); la ricerca di una nobile semplicità dei riti (SC nn.34, 50). Naturalmente, c’è una notevole differenza nel modo di applicare questi tre criteri nel rito di Zwingli e nel Missale Romanum di Paolo VI. Nondimeno, prendere atto di quanto abbiamo indicato può essere un punto di partenza per un fruttuoso dialogo ecumenico. 

 

Fonte: Per quanto riguarda la santa cena di Zwingli, si può consultare Ermanno Genre, Il culto cristiano. Una prospettiva protestante. Claudiana, Torino 2022, 244-247.   

venerdì 24 novembre 2023

DOMENICA XXXIV DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 26 Novembre 2023 NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

 



 

Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

 

Celebriamo Cristo “Re dell’universo”. Per comprendere correttamente questo titolo dato a Cristo bisogna riferirsi alla tradizione biblica del Dio re-pastore. L’immagine del “re” e del “pastore” nell’antichità erano interscambiabili; così come quelle del “gregge” e del “regno”. Il Sal 22 parla di Dio Pastore buono che pasce il suo popolo, lo fa riposare su pascoli erbosi e lo conduce ad acque tranquille. Nella persona di Cristo, il Dio che fu Pastore e Ospite di Israele, si è fatto incontro agli uomini con un volto umano e con amore e bontà che superano ogni intendimento. Il salmo esprime la grande fiducia nel Signore che illumina, conforta e guida i credenti nei sentieri della vita.

 

L’anno liturgico si chiude sottolineando la centralità di Cristo nella storia e nella vita dell’uomo nonché il suo primato sull’universo. In effetti la solennità di Cristo Re dell’universo non intende riconoscere a Cristo un semplice titolo onorifico, ma il suo diritto a essere il centro della storia umana, la sua chiave di lettura. Il senso della storia del mondo e della vita dell’uomo si decide nel rapporto con Gesù Cristo e il rapporto con Gesù Cristo si decide nel rapporto coi fratelli. Questo doppio tema è quello che illustrano le letture bibliche odierne.

 

La prima lettura contiene un annuncio di speranza che il profeta Ezechiele fa pervenire al popolo d’Israele in un momento travagliato della sua storia. Dinanzi alla incapacità dei capi politici e religiosi d’Israele di essere autentiche guide al servizio del popolo, è Dio stesso che promette di prendersi cura d’Israele. Il Signore “pascerà” direttamente il suo gregge, nella speranza che questi risponderà alle sue premure. La tenerezza infinita di Dio è l’altra faccia della sua sovrana autorità, della sua onnipotenza.

 

La profezia di Ezechiele trova pieno compimento in Cristo. Il brano della lettera ai Corinzi della seconda lettura contempla la storia come un processo attraverso il quale il mondo deve essere sottomesso alla sovranità redentrice di Gesù. Il progetto di Dio è l’uomo liberato dalla schiavitù del peccato e ricondotto alla pienezza della verità e dell’amore e questo progetto è stato realizzato da Gesù Cristo. E quando tutto sarà stato sottomesso a Cristo, “anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”. Queste parole ci introducono nel brano evangelico d’oggi. Infatti, san Matteo ci presenta a Cristo Signore quando verrà nella sua gloria a giudicare il mondo. Il criterio con cui Cristo giudicherà “tutti i popoli” sarà quello di aver amato, servito, aiutato, consolato chi si sia trovato in situazione di miseria, di povertà, di sofferenza, di malattia, di ingiustizia. Gesù afferma che in ognuna di queste situazioni lui era presente, per cui ogni gesto compiuto in favore del fratello in realtà era diretto a lui. Chi ha amato i fratelli di fatto ha amato Cristo. Ecco perché riconoscere la regalità di Cristo significa imitarne lo spirito, incontrarlo nel fratello e impegnarsi a liberarlo dalle sue necessità. L’amore attua e dilata i confini del regno di Cristo, che non è una realtà né geografica né spaziale né temporale, ma è la sovranità del suo amore, che si attua già nel cuore di ogni uomo e nelle realizzazioni terrene e si compirà in pienezza alla fine quando “Dio sarà tutto in tutti” (cf. seconda lettura). Sintetizzando possiamo dire, riferendoci al grandioso scenario del giudizio finale che “alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore” (San Giovanni della Croce).

 

domenica 19 novembre 2023

IL NOME DI DIO

 



 

In Ex 3,14, a Mosè che gli chiede come dovrà rispondere agli ebrei che lo interrogano sul nome di Dio, Jahwèh risponde ehyé ašer ehyé, “sono colui che sono”. La Settanta, prodotta in un ambiente allenistico, e quindi a contatto con la filosofia greca, traduce questo nome con egó eimi ho õn, cioè col termine tecnico per l’essere (ho õn). Maimonide, commentando questo passo, si mostra perfettamente cosciente delle implicazioni filosofiche di questo nome di Dio: “Dio gli diede allora una conoscenza che doveva comunicare loro per l’affermazione dell’esistenza di Dio, cioè ehyé ašer ehyé. Si tratta di un nome derivato da haya, che designa l’esistenza, poiché haya significa “fu” e la lingua ebraica non distingue tra “essere” e “esistere”. Tutto il mistero è nella ripetizione, in forma di attributo, di questo termine che significa l’esistenza, poiché la parola ašer (chi), essendo un nome incompleto […] esige che si esprima l’attributo che gli è congiunto. Esprimendo il primo termine, che è il soggetto, con ehyé e il secondo termine, che gli funge da attributo, con lo stesso nome ehyé, si afferma che il soggetto è identico all’attributo. E questa è una spiegazione dell’idea che “Dio esiste, ma non attraverso un aggiungere l’esistenza”, il che si interpreta in questo modo: “L’essere che è l’essere”, cioè l’essere necessario.

Fonte: Giorgio Agamben, Horkos. Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento (Saggi 82), Quodlibet, Macerata 2023, 69-70.

venerdì 17 novembre 2023

DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 19 Novembre 2023

 



 

 

Prv 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

 

Vicini ormai alla fine dell’anno liturgico, anche questa domenica è dominata dal pensiero delle ultime realtà, ma con una particolare sottolineatura: il rimando alla responsabilità personale nel presente come fatto decisivo in ordine al giudizio del futuro. Siamo liberi di scegliere come spendere la propria esistenza terrena, ma solo chi segue fedelmente le vie indicate dal Signore raggiungerà un traguardo luminoso. La prima lettura fa l’elogio della donna perfetta, di cui si loda sia la sua integrità morale sia la sua capacità di gestire con fermezza, intelligenza ed amabilità la sua casa. La parabola dei talenti riportata dal vangelo si muove su una linea simile ma superiore.

 

Nella lettura della parabola sui talenti, occorre concentrare l’attenzione sul comportamento del servo cattivo. Infatti, la chiave dell'intera parabola è il dialogo fra il servo malvagio e il padrone. Il servo ha una sua idea del padrone e cioè quella di un uomo duro che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso. In una simile concezione di Dio c'è posto soltanto per la paura e la scrupolosa osservanza della legge, tutto ciò che è prescritto e nulla di più. Il servo non intende correre rischi e mette al sicuro il denaro, credendosi giusto allorché può ridare al padrone quanto ha ricevuto. Noi lettori siamo tentati di ritenere giusto il ragionamento del servo, e ingiusta la pretesa di un tale padrone. Questa reazione è quella degli scribi, dei farisei e degli zelanti e scrupolosi osservanti della legge. Essi concepiscono la giustizia come un rapporto di parità: tanto-quanto. Gesù invece si muove nella prospettiva dell’amore che è senza calcoli ma anche senza paure. Il servo non deve porre limite al proprio servizio, perché l’amore non ha limiti. E non deve avere paura di correre rischi, perché non c’è paura nell’amore.

 

La parabola dunque, fondamentalmente, ha lo scopo di far comprendere la vera natura del rapporto che corre fra Dio e noi sue creature. È tutto l’opposto di quel timore servile che cerca rifugio e sicurezza nell’osservanza esatta delle norme. È invece un rapporto di amore, dal quale soltanto possono scaturire coraggio, generosità e libertà.

 

Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore; ci incontreremo solo con ciò che avremo costruito, ma anche con tutto ciò che avremo avuto il coraggio di aspettarci da Dio. La venuta dell’ultimo giorno, del giorno del Signore, sarà un’amara sorpresa solo per chi avrà sistematicamente ignorato le proprie responsabilità e avrà chiuso il suo cuore alla speranza. Nella seconda lettura, san Paolo ribadisce la stessa dottrina: conoscendo le ultime realtà a cui andiamo incontro, non possiamo comportarci come se non esistessero, ignorandole o adagiandoci in una passiva e inattiva attesa. Ciò che Dio ci chiede è ben poca cosa: la fedeltà alla sua grazia, l’apertura del nostro cuore al suo amore.

 

Possiamo ben dire che la santa eucaristia a cui partecipiamo costituisce la sintesi massima dei talenti datici da Dio. Perciò la partecipazione fruttuosa ad essa è pegno della gloria futura: ci ottiene la grazia di servire il Signore con generosità e ci prepara il futuro di un’eternità beata.

 

 


domenica 12 novembre 2023

I NEMICI DELLA CARNE

 



A Buddha, insieme a Pitagora, dobbiamo una delle due filosofie che hanno gettato le basi dell'alimentazione non violenta. Per uno strano scherzo del destino, sono vissuti entrambi nel sesto secolo prima di Cristo, ma in due mondi paralleli, l'India è stata l'orizzonte del primo, l'Italia greca la patria di elezione del secondo.

A dire il vero, sia Buddha sia Pitagora pensano da filosofi più che da religiosi. L'uno e l'altro, infatti, elaborano una riflessione sulla vita e sul rapporto tra l'uomo e le altre creature. E propongono un'alimentazione al servizio della pace interiore e dell'armonia. E soprattutto condannano i sacrifici animali che a quel tempo sono una pratica frequentatissima tanto nel mondo orientale che in quello occidentale. Così il vegetarianismo diventa molto più di una dieta. È a tutti gli effetti una obiezione di coscienza alimentare in nome dei diritti del vivente. E al tempo stesso una presa di posizione politica. Molte altre fedi dopo di loro promuoveranno l'embargo alla caccia e alla pesca. In Asia, per limitarci agli esempi più significativi, verranno i seguaci di Krishna e i seguaci di Jina il Vittorioso. Nel Mediterraneo si avvicenderanno orfici, neoplatonici, ermetici, gnostici e manichei, e nel Medioevo bogomili e catari, conosciuti anche come albigesi. Fino ai vegetariani e vegani di oggi, che evitano di cibarsi di altre creature viventi non per obbedire a un comandamento di Dio, ma per togliere un peso dalla coscienza dell'io.

 

Fonte: Elisabetta Moro – Marino Niola, Mangiare come Dio comanda (Vele 213), Giulio Einaudi editore, Torino 2023, pp. 121-122.

 

 

venerdì 10 novembre 2023

DOMENICA XXXII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) - 12 Novembre 2023

 



 

Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

 

 

L’anno liturgico volge ormai al termine. Le tre domeniche che lo chiudono orientano la nostra attenzione verso il traguardo delle “cose ultime” (i cosiddetti “novissimi”). Il tema odierno è la venuta gloriosa e definitiva del Signore alla fine dei tempi. In questo contesto, siamo invitati a vivere in attesa vigilante. La prima lettura parla della sapienza che si fa volentieri trovare da coloro che la cercano. Questo brano anticotestamentario si deve leggere in funzione del vangelo, che ci propone la parabola delle vergini stolte e sagge che sono in attesa dello sposo. Così come le vergini sagge erano pronte ad accogliere lo sposo e sono entrate con lui alla sala del banchetto di nozze, così l’uomo saggio è pronto ad accogliere il Signore quando egli verrà per entrare con lui nel regno del Padre. La sapienza di cui parla la Bibbia non è quindi una pura conoscenza intellettuale; è piuttosto quella capacità di trovare il giusto cammino della vita. Il saggio è colui che sa leggere alla luce di Dio i fatti, le persone, i sentimenti, i segni il più delle volte ambigui o ambivalenti delle evenienze storiche; in questo modo, il vero saggio vive con consapevolezza la logica della tensione tra possesso e attesa, tra certezza e speranza. In altre parti del vangelo l’incontro definitivo con il Signore è talvolta rappresentato come un giudizio. In questa parabola invece emerge un altro simbolo, quello delle nozze, proprio per sottolineare la dimensione dell’amore, della comunione di vita. Questo ci rivela come davanti a Dio non siamo passivi, ma chiamati a collaborare con lui per divenire artefici della nostra salvezza.

 

La vigilanza a cui ci esorta la parola di Dio oggi è un invito a pensare all’atteggiamento fondamentale della nostra vita, impegnata nel tempo ma senza mai perdere di vista l’eternità. Nella seconda lettura san Paolo si rivolge ai primi cristiani di Tessalonica che soffrono con angoscia per il distacco dai propri cari e s’interrogano sulla sorte dei defunti. L’apostolo ricorda a questi primi cristiani la fede nella morte e risurrezione del Cristo, quale premessa e fondamento della speranza in una vita ultraterrena. Nonostante la morte e al di là della morte, noi speriamo che la vicenda storica avrà una conclusione positiva. Non il vuoto ma l’incontro definitivo con il Cristo definisce la visione cristiana sulla conclusione della vicenda terrena.

 

Ogni celebrazione eucaristica di per sé è già partecipazione al banchetto celeste, realizzata però nel segno sacramentale, nell’attesa cioè della sua completa e definitiva manifestazione. Ecco perché noi cristiani preghiamo, soprattutto nella celebrazione eucaristica, per affrettare il ritorno di Cristo dicendogli: “Vieni, Signore” (1Cor 16,22; Ap 22,17-20).

 

 

 

 

domenica 5 novembre 2023

55 ANNI DOPO

 


 

Mercoledì, 6 novembre 1968 – ore 19-20.30

Abbiamo letto nuovamente, col Rev. P. Annibale Bugnini, il nuovo “Ordo Missae”, compilato dal “Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia”, in seguito alle osservazioni fatte da noi, dalla Curia Romana, dalla S. Congregazione dei Riti, dai partecipanti alla XI sessione plenaria del “Consilium” stesso, e da altri ecclesiastici e fedeli; e dopo attenta considerazione delle varie modifiche proposte, di cui molte sono state accolte, abbiamo dato al nuovo “Ordo Missae” la nostra approvazione, in Domino.

                                                                               Paulus P.P. VI