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domenica 30 agosto 2020

L’IMPORTANZA DEL RITO

 



Luigi Girardi (a cura di), A partire dal rito (“Caro salutis cardo”, Contributi 35), CLV – Edizioni Liturgiche Roma, Abbazia di Santa Giustina Padova 2020. 289 pp. (€ 35,00).

 

A partire dal rito e dal suo valore nell’esperienza umana e di fede, con questo volume si intende offrire un percorso riflessivo che consenta di appropriarsi della tradizione in modo nuovo, ripensando i temi fondamentali della teologia liturgico-sacramentaria e affrontando con profondità le sfide che il contesto socio-culturale pone oggi alla pastorale.

 

Luigi Girardi, Introduzione.

Michael Meyer Blanck, Riforma – ritualità – risonanza. Qualche riflessione su Lutero e la liturgia.

Aldo Natale Terrin, Il sacro di Rudolf Otto sullo sfondo della visione esperienziale luterana.

Claudio Ubaldo Cortoni, I riti aggiunti ai sacramenti. Oblio e rinascita della liturgia tra Cinque e Seicento.

Andrea Grillo, Il rito nella riflessione della teologia dogmatica attuale. Storia di un rapporto non riconosciuto e riformulazione in prospettiva.

Giorgio Bonaccorso, Partire dal rito o partire dalla Bibbia?

Roberto Tagliaferri, A partire dal rito: una vicenda controversa.

Roberto Marchisio, La società ha ancora bisogno dei riti?

Luigi Gerardi, Quando il rito fallisce?   

 


venerdì 28 agosto 2020

DOMENICA XXII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 30 Agosto 2020

 

Ger 20,7-9; Sal 62 (63); Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

 

Le letture bibliche della presente domenica ci orientano verso l’accettazione del misterioso cammino della croce che hanno percorso i profeti e, in particolare, Cristo stesso. Il profeta Geremia, scelto portavoce di Dio pur non essendosi affatto proposto, diventa motivo di obbrobrio per i suoi a causa della parola di Dio che egli, sedotto dal suo Signore, proclama con libertà (prima lettura). Geremia, a causa della sua obbedienza alla volontà divina, è una commovente figura del Cristo, il Servo di Dio. Anche Gesù è stato fatto oggetto di malevoli sarcasmi e di dure contestazioni, ma è rimasto fedele alla sua missione “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). Nel brano evangelico d’oggi, Gesù annuncia la sua passione che avrà luogo a Gerusalemme, e invita i discepoli a seguirlo e a prendere ciascuno la propria croce. Pietro, che si rifiuta di accettare un Cristo sofferente, denota l’incapacità dell’uomo a pensare secondo Dio. Prigioniero della logica umana, egli tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica divina. Infatti, la logica di Dio è completamente diversa da quella dell’uomo. Ne è consapevole san Paolo quando nella seconda lettura ammonisce: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio”.

 

Le parole di Gesù ai suoi discepoli sono esigenti: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Come spiegare il paradosso della via della croce proposta da Gesù a tutti coloro che lo vogliano seguire? Dio ha scelto di salvare gli uomini non con la ostentazione della sua potenza, ma con la rivelazione del suo amore fedele, condividendo cioè da vicino la miseria dell’uomo. La via della croce percorsa da Gesù è la via dell’amore, del dono totale di sé. Quindi ciò che Gesù chiede ai suoi discepoli, a tutti noi, non è una vita segnata dalla sofferenza, ma trasformata dall’amore, una vita offerta senza condizioni al Signore. Non si tratta di mortificare la vita, ma di arricchirla in modo che, rimanendo vita pienamente umana, sia guidata dalla luce della fede che è soprattutto accettazione del mistero, comunione con l’invisibile, ricerca del progetto di Dio. Possiamo affermare che le parole di san Paolo proposte oggi dalla liturgia sintetizzano bene questo atteggiamento: “vi esorto… a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”. Il corpo e le membra per Paolo sono l’intero essere umano nella sua dimensione storica, personale e relazionale. Egli parla quindi della donazione totale del credente, della sua persona con tutta la sua corporeità. E’ nella realtà concreta di ogni giorno e nei fatti quotidiani che si realizza questo dono di sé. E in questo modo, la nostra vita, modellandosi sull’esistenza di Gesù, diventa un vero culto gradito al Padre. Se vi è scollamento fra la condotta della vita quotidiana e il culto, la pratica religiosa scade nel formalismo e la morale si riduce a moralismo.


domenica 23 agosto 2020

CELEBRARE BENE CONVIENE




Thomas O’Loughlin, Riti corretti. Perché celebrare bene conviene (Guide per la prassi ecclesiale 31), Queriniana, Brescia 2020. 151 pp. (€ 14,00).

Questo volume intende essere una guida all’ars celebrandi. L’Autore getta uno sguardo disincantato sulla liturgia e mette allo scoperto le incoerenze tra parole pronunciate e azioni effettuate, fra concetti espressi e ciò che viene percepito con tutti i cinque sensi. Lo stile della trattazione mi ricorda il libro di Manuel Belli (Tra dire e fare), di cui mi sono occupato in questo blog il 18 novembre del 2018.

Il Prof. O’Loughlin non si limita a denunciare le incoerenze di cui sopra, ma offre un decalogo per una celebrazione efficace: la liturgia deve essere vera, aperta, gioiosa, inclusiva, radicata nella comunità e atta a favorire la partecipazione, basata sulla creazione, fedele al modello dell’incarnazione; deve altresì prestare attenzione agli emarginati ed evitare qualsiasi confusione.

La lunga Postfazione all’edizione italiana (pp. 131-144) del liturgista-pastoralista Alberto Dal Maso, è un ottimo e appassionato commento all’opera. Dal Maso rincara la dose propinata da O’Loughlin; ne raccomando la lettura. Credo che il problema, oggi molto sentito, è come coniugare il rispetto al rito proposto dalla Chiesa e una sua celebrazione che coinvolga i fedeli e li aiuti a percepire la vicinanza di Dio che salva. A p. 31. l’Autore conclude il suo discorso sul ruolo delle rubriche con la seguente affermazione: “una liturgia può ottenere il massimo dei voti per il rispetto delle rubriche (ma lasciando il popolo di Dio indifferente), mentre ci sono liturgie che raggiungono davvero il bersaglio, pur essendo zeppe di errori rubricali”. Certamente, questo può accadere. Le rubriche devono guidare lo svolgimento della celebrazione, ma non sono una camicia di forza e non tutte hanno lo stesso valore. Interpretare il rito proposto dal libro liturgico è un’arte non facile.


venerdì 21 agosto 2020

DOMENICA XXI DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 23 Agosto 2020




Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

La fede ci insegna che Dio non crea l’uomo per abbandonarlo ai bordi di una strada, ma lo segue sempre con amore paterno e premuroso, portando avanti l’iniziativa di salvezza nei suoi confronti, così come fa capire san Paolo nel brano della lettera ai Romani, proposto come. seconda lettura.

Nella prima lettura si parla di un tale Sebna, alto funzionario di corte, uomo disonesto e megalomane. Per mezzo del profeta Isaia viene esautorato da Dio e il suo posto dato ad un umile servo di nome Eliakìm, a cui viene consegnata come simbolo di autorità “la chiave della casa di Davide” e affidato il compito di essere un “padre per gli abitanti di Gerusalemme”. Questo episodio insegna che il potere è dato non per il prestigio e il tornaconto personali, ma per l’utilità comune e il servizio del popolo di Dio. Non c’è dubbio che questo brano di Isaia è stato scelto dalla liturgia odierna a motivo dell’immagine delle “chiavi”, segno di potere, per la chiara corrispondenza con le parole di Gesù a san Pietro riportate dalla lettura evangelica odierna. Gesù si rivolge a san Pietro con queste parole: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa... A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Queste parole Gesù le pronuncia dopo la professione di fede dell’Apostolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. In forza dell’accoglienza del dono di Dio, sulla base di questa fede, Pietro è costituito fondamento, roccia della Chiesa di Gesù. Ma insieme a lui tutti i cristiani siamo “impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (1Pt 2,5; cf. colletta alternativa).

Riprendiamo il simbolismo delle chiavi, presente anche nella prima lettura. Chi possiede la chiave di una casa o di una città ne ha la custodia e la responsabilità. Nel caso di Pietro, si tratta di poteri amministrativi e di governo sul piano spirituale. Il dono fatto al principe degli apostoli è in definitiva un dono fatto a vantaggio di ogni battezzato. La Chiesa è di Cristo (Gesù dice infatti: “edificherò la mia Chiesa”). In essa ci sono uomini e donne di poca fede che hanno sempre bisogno del perdono, dell’amore e della verità per crescere verso il Regno. Il legare e lo sciogliere della Chiesa ci rimanda in definitiva a prendere coscienza che il vero e unico “fedele” di cui ci possiamo fidare è proprio Dio, manifestato nel Figlio Gesù Cristo, e che continua ad agire nel tempo per mezzo dell’umanità di Pietro e dei suoi successori. Nella logica del brano evangelico e nel contesto della prima lettura oggi proposta, il potere conferito a Pietro non è quindi un potere di dominio, ma una investitura con cui Pietro è destinato al servizio dell’uomo in cammino verso il Regno, ad essere un “padre” per i figli di Dio. Il Signore nella sua sapienza imperscrutabile, di cui parla la seconda lettura, non ci abbandona mai. La comunità cristiana non è lasciata sola, ma è sempre vivificata dalla presenza del Cristo risorto. Egli continua ad essere presente in mezzo a noi attraverso molti modi tra cui il servizio di Pietro e dei suoi successori. Come ricorda s. Ignazio di Antiochia, la Chiesa di Roma è chiamata ad essere colei che “presiede nella carità”.

 


domenica 16 agosto 2020

ALCHIMIA E LITURGIA




Giovanni Vannucci, Alchimia e liturgia, a cura di Marco Vannini (Collana La Lucerna 15), Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2019. 148 pp. (€ 12,00).


Giovanni Vannucci (Pistoia 1913 – Firenze 1984) dell’Ordine dei Servi di Maria, ha vissuto come protagonista silenzioso la storia del cattolicesimo italiano della seconda metà del ventesimo secolo, attraversandone con faticosa, dolorosa lealtà le contraddizioni e la crisi. La sua grandezza è apparsa in tutto il suo rilievo solo dopo la morte, attraverso la pubblicazione postuma di una quantità di opere, di cui questa che presentiamo è certamente una delle più importanti. Sono qui raccolte le Lezioni sull’Alchimia e quelle sull’Anno liturgico che Vannucci tenne all’Eremo di San Pietro alle Stinche nell’inverno 1980-1981: si tratta dunque di una delle ultime opere del religioso servita, frutto più maturo della sua lunga, appassionata ricerca a tutto campo nel regno dello spirito.

Troviamo qui illustrata una tesi per molti versi paradossale e sconvolgente: la liturgia cristiana deriva dall’ermetismo antico, attraverso la mediazione dell’alchimia, verso la quale si ha perciò il grosso debito di aver mantenuto vivo, nascostamente, l’insegnamento della tradizione ermetica, da quando, con la chiusura della Scuola di Atene, la filosofia classica fu messa al bando dall’Impero Romano diventato cristiano e braccio armato della Chiesa ormai vincitrice sul paganesimo.

Seguendo questo filo conduttore, appaiono in una luce completamente nuova molte delle pratiche di quella liturgia cristiana cui l’uomo contemporaneo non partecipa più, anche perché non comprende nel suo vero, profondo significato.


(Quarta di copertina)


sabato 15 agosto 2020

DOMENICA XX DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 16 Agosto 2020


 

Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28

La liturgia della Parola orienta la nostra riflessione verso la presa di coscienza che la salvezza donata da Cristo è per tutti i popoli.

La prima lettura, è il brano iniziale del cosiddetto Terzo Isaia (cc. 56-66) che risale al periodo del ritorno di Israele in patria dopo la dolorosa esperienza dell’esilio in Babilonia. Si tratta di uno dei passaggi dell’Antico Testamento che meglio esprime la nuova coscienza religiosa venutasi a formare in Israele: non più la rivendicazione di un Dio nazionale, ma di un Dio che vuol far giungere a tutti i popoli la salvezza. Ecco allora che il tempio, da segno di identità religiosa nazionale diventa per il profeta la “casa di preghiera per tutti i popoli”, per tutti quegli uomini che amano e servono il Signore, anche senza conoscerlo, ma che praticano la sua giustizia, a qualunque razza, popolo o gruppo appartengano. Anche se Isaia esige la “non profanazione del sabato” e il pellegrinaggio al “monte santo” di Sion, atti tipicamente appartenenti al patrimonio culturale e tradizionale ebraico, il testo del profeta lascia intravedere come nel rapporto con Dio ciò che conta veramente è l’alleanza con lui e non steccati e pregiudizi umani

Il brano evangelico illustra e approfondisce lo stesso tema della prima lettura. L’episodio narrato è quello della donna cananea, quindi non appartenente al popolo eletto, che si presenta a Gesù per chiedere la guarigione della propria figlia. Il racconto, nonostante certe asprezze nel dialogo tra Gesù e la cananea, volute appositamente da san Matteo per sottolineare la fede della donna e la precedenza di Israele nel piano della salvezza, indica chiaramente in Gesù la piena disponibilità al dialogo con ogni persona, anche con i pagani, le persone più disprezzate dai suoi connazionali. In questo racconto, Matteo si rende interprete della mentalità circolante in una Chiesa giudeo-cristiana. In essa il senso della priorità di Israele rimane alto, tuttavia deve essere educata a riconoscere, senza riserve, la possibilità per i pagani di essere inclusi nell’orizzonte della salvezza. Per entrare nel regno dei cieli, per appartenere al nuovo popolo di Dio ciò che conta è la fede viva, attiva, perseverante e non l’appartenenza etnica o genealogica, perché la salvezza che Dio offre è destinata a raggiungere tutti i popoli della terra.

San Paolo ci ricorda nella seconda lettura che neppure il popolo di Israele, che non ha riconosciuto in Gesù il Messia, è escluso dalla salvezza. Anzi, questo popolo, scelto da Dio per attuare il suo piano salvifico, è destinato ad essere oggetto particolare della misericordia di Dio. Infatti, la salvezza è offerta a tutti senza eccezioni. Essa si configura quindi come una esperienza di unità e di pace fra gli uomini e non di lotte e divisioni. Tutti sono chiamati alla salvezza, perché essa è opera di Dio, dono gratuito della sua misericordia. L’universalità della salvezza, intuita nell’Antico Testamento, viene chiaramente affermata dall’azione di Gesù a favore della cananea e applicata in modo più esteso da Paolo nel suo impegno missionario.

 



venerdì 14 agosto 2020

ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA – 15 Agosto 2020 Messa del giorno




Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab; Sal 44; 1Cor 15,20-27°; Lc 1,39-56

Nella molteplicità di spunti per la nostra riflessione che offrono le tre letture bibliche di questa festività, ci limitiamo qui a far emergere alcuni elementi che mettono in stretto rapporto il mistero della Chiesa con Maria nel mistero della sua assunzione.

Nella visione, tratta dall’Apocalisse, che riporta la prima lettura, si contrappongono due immagini o “segni”, come dice il testo di Giovanni: la “donna” e il “drago”. Da un lato, la donna vestita di sole che partorisce “un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro”; il figlio è rapito “verso Dio e verso il suo trono”. Sembra chiaro che qui si parla di Cristo che, in virtù della risurrezione e ascensione al cielo, si è assiso alla destra di Dio. La donna invece è in primo luogo segno della Chiesa nella sua dimensione trascendente e terrena che, storicamente, dà alla luce Cristo. Ma il testo fa riferimento anche a Maria, la madre di Gesù, facendone come l’immagine e il “tipo” della Chiesa. Ciò è provato da una lunga tradizione ecclesiale e dal fatto che la liturgia abbia scelto questo brano per la festa odierna: con la sua assunzione in corpo e anima al cielo, Maria partecipa pienamente alla gloria del Figlio; con lui, che siede alla destra del Padre, anche lei è avvolta dallo stesso splendore di gloria.  

L’altro segno è l’ “enorme drago rosso”, che si colloca davanti alla donna, che sta per partorire, in modo da divorare il bambino appena sia nato. Questo drago è simbolo di una forza antagonista di origine demoniaca e di carattere dissacratore che, incarnandosi in fatti e personaggi storici, perseguita la Chiesa e cerca di impedirne la sua missione. L’esito della lotta sarà positivo: il figlio è rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fugge nel deserto, dove Dio le ha preparato un rifugio. Da parte sua, Maria ai piedi della croce perde e acquista il Figlio, divenendo simbolo della Chiesa. Il testo conclude affermando: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”. Il cammino della salvezza è simile al travaglio di un parto.

Nel brano evangelico, notiamo le parole che Elisabetta indirizza a Maria: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. E’ la prima beatitudine che risuona nel vangelo. Maria è lodata perché ha creduto, cioè ha fatto sua la parola del Signore. Come Abramo per la sua fede diedi inizio al popolo di Dio ed è chiamato “Padre dei credenti”, così Maria per la sua fede è diventata la “Madre dei credenti”. La fede di Maria è icona perfetta della fede della Chiesa. Tra Maria e la Chiesa c’è un parallelismo fecondo e ammirevole: entrambe accolgono la parola di Dio, vivono di fede, portano intorno la gioia della fede, partecipano della vita di Cristo. Quello che la Chiesa attende si compia in lei (la risurrezione con Cristo) è già una realtà nell’Assunta.

Il prefazio della Messa riassume bene il rapporto tra la Chiesa e Maria nel mistero della sua assunzione: “In Maria, primizia e immagine della Chiesa, hai rivelato il compimento del mistero di salvezza e hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza”. L’assunzione di Maria non riguarda soltanto lei, le grandi opere compiute da Dio nella sua umile serva (cf. il Magnificat riportato dal vangelo), ma è segno di sicura speranza per tutto il popolo di Dio.

 



domenica 9 agosto 2020

CHIESA E LITURGIA




PILAR RÍO, Chiesa e Liturgia. Apporti del rinnovamento liturgico all’ecclesiologia del XX secolo (Biblioteca di Iniziazione alla Liturgia 6), EDUSC 2020. 268 pp.

Il rinnovamento dell’ecclesiologia, avvenuto durante la prima metà del XX secolo, deve molto all’apporto offerto dal movimento liturgico, e questo per due motivi principali: il risvolto pastorale della liturgia e una rinnovata visione della Chiesa portata alla luce dalla riflessione dei primi teologi della liturgia, assieme ai movimenti di ritorno alle fonti e ai vari fermenti all’interno del pensiero e della vita ecclesiale. Questo volume si occupa proprio di questo prezioso contributo della liturgia al rinnovamento ecclesiologico, che spesso non è debitamente riconosciuto. Accanto a una presentazione del contesto storico, teologico ed ecclesiale, si analizzeranno i contributi di alcuni illustri rappresentanti del movimento liturgico alla rivitalizzazione dell’ecclesiologia.

(Quarta di copertina)

Sono studiati gli apporti di Lambert Beauduin, Romano Guardini, Odo Casel, Aimé-Georges Martimort.

L’Autrice è docente di Ecclesiologia e Sacramenti presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce (Roma).



sabato 8 agosto 2020

DOMENICA XIX DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 9 Agosto 2020




1Re 19,9a.11-13a; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33

Oggi, come di solito nelle altre domeniche del Tempo ordinario, il brano dell’Antico Testamento e quello evangelico del Nuovo Testamento coincidono tematicamente. Non è ozioso rammentare che la nostra fede professa l’unità dei due Testamenti, di cui lo stesso e unico Dio è ispiratore e autore. Nella seconda lettura odierna, san Paolo ricorda ai romani che l’esperienza cristiana non si pone in linea di totale rottura rispetto all’esperienza di Israele, anzi ne è la prosecuzione e il compimento. Vediamo quindi quale sia il messaggio unitario delle letture prima e terza.

La prima lettura narra la manifestazione di Dio ad Elia. L’episodio va collocato nel suo contesto. Dopo che Elia aveva vinto la sfida del Carmelo con i falsi profeti di Baal e li aveva anche fatto uccidere, la regina Gezabele venuta a conoscenza del fatto fece ricercare Elia per ucciderlo. Ecco quindi che il profeta, per evitare le ire di Gezabele, fugge nel deserto, con il cuore carico di amarezza. In questo momento tragico della sua vita avviene l’incontro di Elia con Dio, il quale si manifesta al profeta nel “sussurro di una brezza leggera”. Dio si rivela non tanto nel prodigioso e nel sensazionale, ma piuttosto nel silenzio, nell’interiorità del rapporto con lui. Dio ha dato prova della sua vicinanza al profeta in un momento difficile, ma anche lo invita a riprendere la via del deserto, a rimettersi senza paura nella sua missione.

Anche l’episodio narrato dal vangelo parla di Dio che si rivela in Gesù Cristo. Gesù si manifesta ai discepoli come il Signore che si muove liberamente tra le forze del mare e questo serve a educare la loro fragile fede, a fidarsi di lui. Il fantasma che fa gridare dalla paura i discepoli, quello è Gesù. Il significato dell’episodio è chiaro: Gesù si rivela come colui che è presente per salvare i suoi nei momenti di pericolo, quando tutte le energie sono ormai state spese. Dio è presente, attivo, specialmente nei momenti di difficoltà e di lotta. E’ la fede che apre i nostri occhi alla presenza di Dio nella nostra vita: essa rompe ogni paura, ci fa uscire dalle nostre sicurezze per mandarci incontro a lui. 

Gesù ripete anche a noi le parole indirizzate ai discepoli: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Il Signore che domina tutto il creato rafforza la nostra fede così che possiamo riconoscerlo presente in ogni avvenimento della storia, in ogni circostanza della nostra vita, per affrontare serenamente ogni prova, camminando con lui nella pace. La promessa di Cristo di essere presente nella sua Chiesa, si compie in molte maniere, ma soprattutto quando riuniti in assemblea celebriamo e partecipiamo all’eucaristia.


domenica 2 agosto 2020

LA MORTE DI CRISTO







Enrico Mazza, Sacrificato per i nostri peccati? Una ricerca sull’origine di un’idea, EDB 2020. 244 pp. € 25,00.


Due versetti di Paolo – 1Corinti 15,3 e Romani 3,25 – sono al centro di questa ricerca di storia delle idee. Se legati assieme, essi affermano che Gesù è morto per i peccati degli uomini e che la sua morte fu un sacrificio espiatorio. Queste frasi vanno lette all’interno dell’intero corpus paolino, dove emerge anche un’altra cristologia, basata sul rapporto di contrapposizione tra il primo Adamo e l’ultimo Adamo, che si caratterizza per la sua obbedienza.

In altri termini, con il metodo storico-critico la morte di Cristo non fu sacrificale, né in remissione dei peccati, mentre ciò si può affermare con il metodo tipologico.

Poiché Paolo non utilizzerà mai più la frase di 1Corinti 15,3 e Romani 3,25 non è altro che una trasposizione del linguaggio del sacrificio del kippur sul sangue di Cristo, ne segue che questi è come il Propiziatorio per la giustificazione di tutti gli uomini.

(Dalla Quarta di copertina)

sabato 1 agosto 2020

DOMENICA XVIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 2 Agosto 2020




Is 55,1-3; Sal 144; Rm 8,35.37-39; Mt 14,13-21


Le letture bibliche di questa domenica possono essere interpretate come un invito alla pienezza di vita e alla condivisione. La prima lettura, tratta dal Secondo Isaia, riporta un’esortazione del profeta agli Israeliti esiliati in Babilonia perché ritornino al Signore e partecipino gratuitamente ai beni del regno di Dio rappresentati da un banchetto. In questo modo, il profeta intende alimentare in mezzo al popolo l’ansia del ritorno a Gerusalemme. L’acqua, il vino, il latte, di cui parla il testo, esprimono salute e benessere. Sono immagini di una vita piena, ricevuta in dono da Dio. Tutte le attese dell’uomo sono saziate dall’amore di Dio nei confronti del suo popolo; la menzione dell’alleanza e della promessa davidica nel v. 3 va appunto in questa linea di fedeltà, di salvezza, di amore.


Nel brano evangelico vediamo che Gesù, dopo aver pregato, guarisce gli ammalati e moltiplica i pani ed i pesci, perché ha compassione dell’immensa folla che lo segue. La moltiplicazione dei pani e dei pesci si colloca tra il passato di Israele e il futuro della Chiesa; porta a compimento le promesse di Dio e anticipa il dono di Cristo; è simbolo del grande banchetto a cui Gesù vuol chiamare tutta l’umanità: la condivisione e l’amore. Ciò si realizza nell’ascolto della Parola e nella partecipazione all’eucaristia, di cui la moltiplicazione dei pani è profezia. Nella seconda lettura, san Paolo ci parla dell’amore del Padre, amore che non è stato un generico sentimento di benevolenza per l’uomo, ma un agire concreto, verificabile nella storia, quando si è lasciato coinvolgere nelle vicende umane non risparmiando il proprio Figlio che ha consegnato nelle mani dell’uomo peccatore per offrire perdono e amicizia. Il disegno salvifico di Dio è per la vita; Cristo ha servito la vita con tutto se stesso e a tutti i livelli. Dio è vicino all’uomo ed è pronto a saziare la sua fame e sete di felicità. In questo brano c’è un grande ottimismo, una fiducia incrollabile.


Ogni giorno possiamo constatare che aumenta il numero di coloro che soffrono la fame, nonostante il progresso delle tecnologie alimentari e l’enorme quantità di cibo prodotto. D’altra parte, nella nostra società opulenta tanti uomini vanno in rovina nonostante la loro splendida condizione di benessere. Pur essendo necessario, non basta il cibo del corpo. Abbiamo bisogno di nutrire lo spirito, abbiamo bisogno di una pienezza di vita. È Cristo Gesù colui che può dare pienezza di senso alla nostra vita, colui che può alleviare le nostre sofferenze ed accendere nel cuore la luce della speranza. Ricordiamo le parole di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò” (cf. Mt 11,28). Cristo è sempre lì, al margine della nostra strada, nel mezzo delle nostre vie, pronto a riempire il vuoto dei nostri cuori. Ma Cristo è accanto a noi per insegnarci anche a condividere con gli altri quella pienezza di vita che egli ci dona. Gesù dice ai discepoli: “voi stessi date loro da mangiare”. Ricordiamo però che non basta “dare” qualcosa da mangiare, ma ciò che è veramente importante, ad esempio di Cristo, è “darsi”, divenire noi stessi “cibo” per gli altri.