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lunedì 27 febbraio 2017

MERCOLEDI DELLE CENERI – 1 Marzo 2017


 

Gl 2,12-18; Sal 50 (51); 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18


Il salmo responsoriale riprende alcuni versetti del Sal 50, una delle più belle e profonde suppliche del salterio. Il Miserere, grande salmo penitenziale, accompagna la Chiesa nell’esercizio della penitenza quaresimale e nella preparazione alla Pasqua. Il salmista si rivolge a Dio supplicandogli che intervenga attuando una nuova creazione nel cuore del credente, purificato dal suo peccato, affinché questi possa proclamare la lode del Signore. All’inizio della Quaresima, questo salmo ci colloca nel giusto atteggiamento penitenziale per intraprendere “un cammino di conversione” (colletta della messa) che ci conduca a celebrare con “cuore puro” e “spirito saldo” la Pasqua del Signore.


Le due prime letture della messa d’oggi parlano della conversione. Le calamità che ai tempi di Gioele hanno colpito la terra di Giuda (la siccità e l’invasione delle cavallette) diventano per il profeta un segno per invitare il popolo alla conversione: “Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (prima lettura). San Paolo, nella seconda lettura, ci ricorda che la conversione, nella prospettiva cristiana, non è il cammino che noi dobbiamo fare per andare a Dio, ma piuttosto il cammino di riscoperta di quanto Dio in Cristo Gesù ha fatto per noi: “lasciatevi riconciliare con Dio”. Notiamo inoltre che il verbo greco (kattalàssô) usato per indicare la riconciliazione è quello usato per la riconciliazione tra due sposi dopo una infedeltà. Ritorna così un simbolismo caro ai profeti: la relazione che intercorre tra Dio e la sua creatura è analoga a quella che unisce due persone innamorate. L’Apostolo ci invita a non perdere le occasione per riallacciare questo legame di intimità con Dio. La Quaresima è il “momento favorevole” per ritrovare o rinsaldare tale legame.


Il brano evangelico illustra il significato delle pratiche quaresimali tradizionali: l’elemosina, la preghiera e il digiuno, con un continuo richiamo a superare il formalismo. Gesù ne parla nel contesto del discorso sulla nuova giustizia, superiore all’antica; egli illustra le caratteristiche di questa nuova giustizia e le applica alle tre pratiche fondamentali della pietà giudaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Gesù non elimina queste pratiche; egli vuole solo che le compiamo con sincerità, senza ipocrisia di sorta. Siamo chiamati a vivere ogni giorno una continua lotta contro l’ipocrisia, per non falsare la nostra relazione con il Padre, che dev’essere vissuta nell’intimità del cuore.
   

La Quaresima, che iniziamo oggi, è un tempo propizio per la maturazione individuale e collettiva della fede. Fuori di una prospettiva di fede, essa corre il pericolo di svilirsi in un periodo di tempo in cui lo sforzo morale e le pratiche ascetiche rischiano di diventare fine a se stesse e pertanto possono condizionare negativamente l’approfondimento di una autentica esperienza di vita cristiana. La Chiesa non insiste più, come ha fatto in tempi passati, nelle pratiche penitenziali in sé come gesti puntuali da compiere. Mutati i tempi, possono e debbono cambiare anche i modi concreti di esprimere l’ascesi; non può scomparire però il sincero slancio di conversione verso Dio. L’austero rito delle ceneri, che sostituisce oggi l’atto penitenziale dell’inizio della messa, è un invito a intraprendere l’itinerario spirituale della Quaresima per giungere completamente rinnovati a celebrare la Pasqua di Cristo Signore (cf preghiera di benedizione delle ceneri). La partecipazione all’eucaristia ci è di sostegno in questo cammino (cf orazione dopo la comunione).

 

 

 

venerdì 24 febbraio 2017

DOMENICA VIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 26 Febbraio 2017


 
Is 49,14-15; Sal 61 (62); 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34.

Il motivo centrale del Sal 61 è espresso nel ritornello in cui l’orante proclama che solo Dio è il suo riposo, la sua salvezza e la sua incrollabile difesa. Il fondamento della nostra speranza  non è negli uomini, nel potere o nelle ricchezze; solo in Dio possiamo trovare sicurezza e pace. Recitando questo salmo siamo invitati ad esprime il nostro fiducioso abbandono fra le braccia di Dio che ci è padre, madre, rifugio sicuro e sostegno nel cammino della vita.


Il brevissimo brano del profeta Isaia, proposto come prima lettura, applica a Dio la simbologia materna, piena di tenerezza e di amore istintivo; Dio ci ama con amore materno. Sulla stessa linea, il brano del vangelo raccoglie alcune parole di Gesù sulla fiducia nell’amore di Dio per noi. Gesù ci invita a non cadere nella tentazione dell’affanno, dell’ansia, come se tutto dipendesse da noi stessi. Siamo invitati non solo a gestire la vita con serenità ma ad avere uno sguardo che va oltre i nostri bisogni quotidiani, ad avere fiducia nella provvidenza, il che non significa pigrizia o sfruttamento degli altri; sarebbe tentare Dio. Anzi Gesù ci invita ad agire, a cercare: “Cercate, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Notiamo bene la parola “anzitutto”. Non è che non dobbiamo darci da fare per risolvere i problemi della vita quotidiana. Ci viene ricordato però che, in fondo, il bene supremo che cerchiamo, anche inconsapevolmente, lo si trova solo in Dio. Siamo quindi invitati ad orientare la nostra vita diversamente di quello che di solito facciamo, a collocare al primo posto certi beni e non altri. Quali beni? Gesù dice “il regno di Dio e la sua giustizia”. 

 
Cos’è il regno di Dio che dobbiamo cercare? Si tratta di un concetto molto generale che è però centrale nella Bibbia, in particolare nella predicazione di Gesù. In poche parole, possiamo dire che con questa espressione si intende indicare la piena e definitiva sovranità di Dio sul mondo, sulla storia e su gli uomini, il pieno compimento cioè del disegno salvifico di Dio. E’ lo stesso che chiediamo nel Padrenostro quando diciamo “venga il tuo regno”. Questo regno sarà pienamente realizzato soltanto nella gloria futura, ma già ora è presente in mezzo a noi e cresce secondo il disegno di Dio. E’ compito di tutti noi cooperare a questo disegno che il Signore ha sulla storia. Possiamo quindi affermare che cercare il regno di Dio significa che il benessere che perseguiamo e nel quale poniamo la nostra fiducia deve essere un benessere globale, deve comprendere tutte le dimensioni dell’uomo, e deve dare un contributo alla costruzione di quella nuova umanità nata dalla croce di Cristo. Siamo amministratori, non padroni della nostra vita.

 
Tutto ciò che è negativo, tutto ciò che mortifica la dignità dell’uomo, ostacola la venuta del regno di Dio. Si oppongono quindi al regno di Dio la malattia, la violenza, la morte, la povertà opprimente, l’oppressione politica e sociale, la guerra. Cercare il regno di Dio significa quindi lottare anche contro tutte queste situazioni negative. Gesù infatti dice “cercate il regno di Dio e la sua giustizia”. Esprime bene questi concetti l’orazione colletta della Messa: “Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio”. E’ compito nostro operare per la libertà e la giustizia del regno di Dio.

domenica 19 febbraio 2017

Memoria di san Policarpo, Vescovo e Martire (23 febbraio)


 

La memoria di San Policarpo (69 circa -155) nel Messale Romano del 1962 si celebra il 26 gennaio, invece nel Messale Romano del 2002 è stata assegnata al 23 febbraio, giorno del martirio di Policarpo. Il culto del santo in Occidente si era diffuso, celebrato il 26 gennaio, per un errore di omonimia  con un tale Policarpo di Nicea, di cui sono molto incerte le notizie. La Chiesa orientale ha invece commemorato sempre san Policarpo di Smirne il 23 febbraio. Policarpo è stato discepolo dell’apostolo san Giovanni. Il resoconto del suo martirio è il più antico documento che testimonia il culto dei martiri. Si tratta di una lettera della Chiesa di Dio che dimora a Smirne alla Chiesa di Dio che è a Filomelio e a tutte le comunità della santa Chiesa cattolica di ogni luogo sul martirio del vescovo Policarpo.

Colletta del MR 1962:

Deus, qui nos beati Polycarpi Martyris tui atque Pontificis annua solemnitate laetificas: concede propitius; ut, cuius natalicia colimus, de eiusdem etiam protectione gaudeamus.

Colletta del MR 2002:

Deus, universae creaturae, qui beatum Polycarpum episcopum in numerum martyrum dignatus es aggregare, eius nobis intercessione concede, ut cum illo partem calicis Christi capientes, per Spiritum Sanctum in vitam resurgamus aeternam.

“O Dio, Signore e Padre di tutti gli uomini, che hai unito alla schiera dei martiri il vescovo san Policarpo, concedi anche a noi per sua intercessione di bere al calice della passione del Cristo e di comunicare alla gloria della risurrezione”.

L’espressione “per Spiritum Sanctum” non si trova nell’edizione tipica del MR 1970. Perciò la versione italiana non l’ha ripresa.

La colletta del MR 1962 è generica; si può applicare a qualsiasi vescovo martire: parla di un vescovo martire di cui si chiede la protezione. La colletta del MR 2002 fa invece riferimento puntuale al santo. Il testo è ispirato alla preghiera detta da Policarpo quando andava al martirio, preghiera che si legge nell’Ufficio delle letture della Liturgia delle ore: “… Dio […] io ti benedico perché mi hai stimato degno in questo giorno e in quest’ora di partecipare con tutti i martiri, al calice del tuo Cristo, per la risurrezione dell’anima e del corpo nella vita eterna, nell’incorruttibilità per mezzo dello Spirito Santo …” Si noti la menzione dello Spirito Santo, che è stata opportunamente introdotta nel testo dell’edizione tipica del MR 2002.

sabato 18 febbraio 2017

DOMENICA VII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 19 Febbraio 2017


 
Il Signore è buono e grande nell’amore

Lv 19,1-2.17-18; Sal 102 (103); 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48

Il Sal 102 è una toccante preghiera che celebra la bontà e l’amore misericordioso di Dio. Il salmista loda il Signore per gli innumerevoli benefici a lui concessi, egli li ricorda ed enumera con animo riconoscente. La bontà e l’amore di Dio, nostro Salvatore, sono apparse soprattutto in Cristo Gesù; in lui si sono realizzati tutti i benefici divini ricordati dal salmo.

Possiamo soffermarci sulle ultime parole del brano evangelico. Gesù afferma: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Un ideale immenso che però è già proposto nell’Antico Testamento come ci ricorda la prima lettura d’oggi presa dal libro del Levitico: “Il Signore parlò a Mosè e disse: Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro:  Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Il fatto che Gesù esiga da noi la perfezione del Padre, significa che esiste in noi questa capacità, avendoci trasformati in veri figli di Dio. Possiamo dire che in noi c’è il DNA di Dio Padre e del suo Figlio Gesù Cristo.

Gesù esige da noi la perfezione e santità di Dio in un contesto ben preciso. Lo fa parlando della paternità e tenerezza di Dio che ama tutti i suoi figli, e fa sorgere il suo sole anche sui cattivi e fa piovere anche sugli ingiusti, beneficando con i suoi doni anche i peccatori. Orbene Dio vuole che lo imitiamo, soprattutto in questo suo amore. Perciò dobbiamo impegnarci ad astenerci dall’odio, dalla vendetta e dal rancore verso il prossimo.

Nella nostra società, attraversata tuttora dall’odio e dalla violenza, il messaggio della fraternità universale esercita sempre un certo fascino. Non di rado però in nome della decantata fraternità universale si calpestano i valori più sacrosanti della coscienza cristiana e religiosa in genere predicando e imponendo di fatto un relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia di valori. Non essendo riconosciuta a priori alcuna verità come unico criterio pratico di discernimento dei valori, ci si affida all’opinione della maggioranza per stabilire le norme della convivenza pacifica tra gli uomini. Ogni scelta che riesce ad avere il consenso dei più diventa vincolante per tutti. Non è questa la fraternità universale proposta dal Vangelo. Essa svanisce se non è fondata nella verità della nostra comune figliolanza nei riguardi di Dio Padre di tutti. Non si può costruire una società fraterna che non rispetti la coscienza religiosa di ogni singola persona e il suo diritto a manifestarla. 

“Nella libertà religiosa trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana” (Benedetto XVI).

domenica 12 febbraio 2017

IL MINISTERO DELLE DONNE


 

Giancarla Codrignani, Tacete! Ma davvero? Se le donne potessero predicare. Prefazione di Luigi Bettazzi (Oasi 15), Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2016. 108 pp.

Questo volumetto è una raccolta di alcuni commenti al Vangelo domenicale. L’autrice è docente e giornalista, esperta di problemi internazionali e laicamente cattolica. Nella Prefazione, Mons. Luigi Bettazzi, l’unico vescovo italiano presente al Concilio Vaticano II oggi vivente, nota che “vi sono osservazioni che vanno discusse e riprese sul piano dell’esegesi biblica come su quello delle tradizioni ecclesiali”. In ogni caso, la lettura di questo piccolo volume è interessante e fa pensare al ruolo secondario che le donne hanno sempre avuto nella Chiesa.

Dire ministra costa una fatica che non si sperimenta nello speculare maestra. Come dice la Codrignani, “la difficoltà è di fatto concettuale: il linguaggio infatti rivela perfino nella morfologia il persistere della gerarchia di valori ritenuti ‘oggettivi’ anche quando si sono trasformati in pregiudizi che mortificano le donne”.

Alla fine della sua Prefazione, Mons. Bettazzi scrive: “Il lieto annuncio trova molte vie. Poiché il libro di Giancarla è destinato a persone intelligenti, starà a loro accogliere e – se credenti – valutare, anche eventualmente criticare, quanto viene offerto, che comunque, anche per coloro che non li condividessero pienamente (c’è sempre qualcuno che lamenta ‘discontinuità insopportabili’ secondo l’espressione di un Cardinale), costituisce un invito ad accogliere la Parola di Dio, prima che come conferma di tutte le nostre interpretazioni tradizionali, come un grande messaggio di novità, di amore e dii comunione”.

M. A.

venerdì 10 febbraio 2017

DOMENICA VI DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 12 Febbraio 2017


 
Sir 15,15-20 (nv 16-21); Sal 118 (119); 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Il salmo responsoriale propone alcuni versetti delle cinque prime strofe del Sal 118, il più lungo del Salterio. Il tema fondamentale del salmo è la legge divina nel suo senso più vasto e religioso di rivelazione del volere divino nella storia sacra, con efficacia sulla vita dei singoli credenti. Possiamo considerare questo testo salmico come una specie di meditazione della legge di amore insegnata da Cristo a compimento della legge mosaica. Ognuno è libero di scegliere la strada che preferisce, ma soltanto  chi cammina alla luce della legge del Signore raggiungerà il traguardo della vita. Ecco il messaggio di questa domenica.
  
Nel brano evangelico, Gesù afferma che non è venuto ad abolire la Legge, ma a dare pieno compimento ad essa. Tra l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento c’è continuità ma c’è anche progresso, anzi tra i due Testamenti ci sono pure delle vere e proprie rotture. Infatti, Gesù dopo aver affermato che non è venuto ad abolire ma a dare compimento, continua il suo discorso dicendo “Avete inteso che fu detto agli antichi … Ma io vi dico …” Gesù non distrugge il passato, ma lo completa definitivamente nel campo della conoscenza di Dio  e in quello morale. Con il suo ripetuto “ma io vi dico”, Gesù manifesta una consapevolezza che va oltre quella dei profeti dell’Antico Testamento: la sua è l’autorità del Messia, superiore a Mosè. La legge di Mosè e la legge di Cristo non sono quindi leggi in contrasto fra loro, ma bisogna pure coglierne le diversità anche profonde. Più in concreto, possiamo domandarci in che cosa consiste lo specifico della legge cristiana e come può dirsi in continuità e al tempo stesso in una certa rottura con la legge degli antichi?

 
Il brano del vangelo odierno ci pone di fronte ad una serie di antitesi che toccano diversi punti della Legge anticotestamentaria, scelti evidentemente tra i molti altri possibili. Non è però una scelta fatta a caso: tre riguardano il comportamento verso il prossimo e tutti e tre mettono in luce la carità. Possiamo dire che ad un’etica del “lecito” viene sostituita un’etica dell’ “amore”. In Cristo il regno di Dio si è fatto vicino, l’amore di Dio si è rivelato con una più grande chiarezza, il perdono ci è offerto con una misericordia gratuita e senza limiti, allora il nostro comportamento deve esprimersi con una generosità nuova, anzi con la generosità dell’amore. Ci viene rivelata in modo nuovo la paternità di Dio e ci viene quindi chiesta con maggiore enfasi un’etica filiale. Più che preoccuparci di determinare fino a che punto possiamo spingerci per non cadere sotto il giudizio di condanna, occorre chiederci che cosa ci faccia crescere con maggiore vigore nell’amore di Dio e del prossimo.

Come i profeti dell’Antico Testamento che l’hanno preceduto, anche Gesù si è sforzato di ricuperare il centro della volontà di Dio, e cioè il primato della carità. Tutto deve essere letto alla luce di questo centro, e tutto deve essere valutato in base ad esso. Nel Nuovo Testamento il comportamento morale diventa maggiormente opera dell’uomo integrale e si unifica assai più nella legge suprema dell’amore di Dio e degli uomini. Nella Nuova Alleanza l’amore diventa quindi il principio che ispira tutta la vita dei discepoli di Cristo. Come dice l’orazione colletta della messa, Dio ha promesso di essere presente in coloro che lo amano e con cuore retto e sincero custodiscono la sua parola.

 

domenica 5 febbraio 2017

UN’ANTOLOGIA EUCARISTICA


 

Emanuele Borsotti (ed.), Un solo corpo. Mistagogia della liturgia eucaristica attraverso i testi dei Padri latini. Scelta, traduzione dal latino e note a cura di Emanuele Borsotti e Cecilia Falchini, monaci di Bose. Prefazione di Enzo Bianchi, priore di Bose, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2016. 1802 pp.

Nelle pagine di questa antologia risuonano molte voci differenti, attestanti la fede eucaristica della Chiesa sparsa nelle varie regioni della latinità occidentale, una fede creduta e celebrata lungo i secoli, testimoniata da una polifonia di autori che si collocano su un’estensione cronologica molto vasta (dal III al XIII secolo) e in una pluralità di contesti ecclesiali. Un millennio di riflessioni, di parole, di commenti a partire dalla celebrazione delle missarum sollemnia, a partire dall’esperienza del popolo di Dio convocato e radunato per l’ascolto della Parola e la frazione del pane. In compagnia dei padri e degli autori medievali, il lettore viene portato per mano, sino a entrare nei misteri di Cristo, nell’esperienza di quel corpo che, come un prisma dalle molte facce, fa convergere e, insieme, riflette la luce del corpo di Gesù Cristo, del corpo eucaristico, del corpo ecclesiale, del corpo “vero” e “mistico”, del corpo dell’uomo e dell’assemblea liturgica.

Percorrendo il rito della messa nella sua integralità, dal radunarsi dell’assemblea liturgica fino al momento del suo sciogliersi, le parole degli antichi possono ancora illuminare l’oggi delle nostre liturgie, insegnandoci a discernere, da un lato, la “parte immutabile” della liturgia “perché di istituzione divina” e, dall’altro, “le parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondente all’intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni” (Sacrosanctum Concilium 21).

Un possente volume, importante per lo studio, per la meditazione, per la pastorale. Facile da consultare attraverso i dettagliati indici: biblico, dei testi e tematico.

sabato 4 febbraio 2017

DOMENICA V DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 5 Febbraio 2017


 
Is 58,7-10; Sal 111 (112); 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16

 
Il Sal 111 è composto di brevi sentenze che fanno l’elogio dell’uomo giusto e celebrano la sua felicità. Il giusto è esaltato soprattutto per la sua generosità sociale: egli dà in prestito, dona largamente ai poveri e la giustizia è la lampada sempre accesa sul cammino della sua vita. L’ideale dell’uomo giusto, proposto nel salmo, si è rivelato al mondo in Cristo. La liturgia adopera questo salmo soprattutto nelle memorie dei santi.
 
Il brano del vangelo d’oggi inizia con queste impegnative parole di Gesù: “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo”. I discepoli di Gesù siamo chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo e come tali dobbiamo apparire apertamente e pubblicamente agli occhi degli uomini. Come discepoli del Signore dobbiamo vivere le beatitudini in questo mondo. Perciò siamo chiamati a testimoniare ciò in cui crediamo per il bene degli uomini di questo mondo. Essere luce, essere sale. Due immagini semplici che danno però il senso di ciò che intendono esprimere: sapore e luminosità. I discepoli di Gesù siamo uomini e donne come tutti gli altri, viviamo e operiamo in mezzo alla società. Eppure Gesù afferma che qualcosa ci deve distinguere dagli altri: dovremmo essere capaci di conferire alla vita della nostra società il vero sapore delle cose, fare gustare ai nostri simili i veri valori del Vangelo, e dovremmo essere capaci di illuminarli col buon esempio della nostra vita. 
 
Siamo quindi chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo attraverso il nostro modo di vivere. Gesù lo dice esplicitamente quando esige che gli uomini possano vedere “le nostre opere buone”. La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, specifica questa esigenza della vita cristiana attraverso l’elenco di quelle che la tradizione ha chiamato “opere di misericordia”. Attraverso queste opere di misericordia, la luce dell’amore di Dio si diffonde nel mondo. Non si è luce del mondo perché messaggeri di una dottrina sublime o propagatori di un grande movimento religioso, ma perché il vangelo delle beatitudini, incarnato nella nostra vita, diventa segno luminoso in mezzo al mondo.
 
I cristiani abbiamo ricevuto un compito da eseguire. Un compito a servizio del mondo. Lo possiamo riassumere dicendo che siamo chiamati a dare senso al vivere, il vero senso alle cose. La vita è fatta da piccole cose, in famiglia, nel lavoro, nel riposo, nell’amicizia. E’ in questo piccole cose che si deve trovare il senso dell’esistere. Così come non è difficile per chi è innamorato dare alle piccole cose un valore grande, così non dovrebbe essere difficile per chi è innamorato di Cristo e ha una fede viva dare ad ogni piccolo impegno della sua esistenza un riferimento essenziale a Dio. In questo modo ogni cosa acquisterebbe sapore. Cristo insapora l’esistenza umana con il suo Vangelo, e noi saremo sale della terra se la nostra vita diventerà tuta compenetrata del Vangelo di Cristo.
 
La preghiera che recitiamo alla fine della messa riassume bene il messaggio della parola di Dio di questa domenica, adoperando un’altra immagine cara al Vangelo: chiediamo di essere uniti a Cristo per portare “frutti di vita eterna per la salvezza del mondo” (preghiera dopo la comunione).

venerdì 3 febbraio 2017

CELEBRAZIONI FUNEBRI A DOMICILIO


Tokyo, il monaco via app

Religiosi a domicilio con un clic su Amazon Un business florido mentre i templi si svuotano

 
Accende incenso e candele, legge i sacri sutra come se fosse al tempio il monaco buddista Kaichi Watanabe. Invece si trova nella stanza di un appartamento di un sobborgo di Tokyo. Tende tirate e altare improvvisato, dopo l’inchino agli astanti, commemora il primo anniversario della morte di una donna. A chiamarlo per celebrare una cerimonia funebre domestica è stato il marito, ricorso a un servizio sempre più popolare in Giappone: l’Obo-san bin, ovvero la «consegna del monaco»: a domicilio. Mezz’ora di preghiere nel salotto di casa costa sui 260 euro. Molto meno rispetto a quanto di solito si destina per una cerimonia al tempio, dove vige la consuetudine di lasciare una donazione generosa (in media l’equivalente di 800-900 euro).
 
Il business, ideato nel 2013 in Giappone da una start-up locale, la Minrevi, non solo non è stato fermato dall’ostilità dei leader religiosi ma sta riscuotendo un successo crescente, impennatosi quando l’anno scorso è approdato su Amazon.
 
Cerimonie on demand, a portata di clic, che ben si adattano a un Paese dove il 70% degli abitanti si definisce non religioso o ateo ma poi resta comunque, in gran parte, legato a diversi rituali (buddisti o scintoisti), soprattutto funebri. Così non stupisce che nonostante le aspre critiche dei leader religiosi, l’azienda – che conta su una rete di 700 monaci «viaggiatori» su tutto il territorio nazionale – preveda un’ulteriore crescita del 20 per cento del fatturato entro l’anno. Minrevi trattiene circa il 30% del prezzo pagato dai clienti, il resto va ai religiosi.
 
«Ai monaci che fanno il proprio dovere non dovrebbe spettare un compenso, così viene meno lo spirito della donazione, la si mercifica» è insorto Chiko Iwagami della Federazione buddista giapponese. Il fatto è che i templi buddisti (per lo più situati nelle zone rurali) sono sempre meno frequentati, molti sono in declino: il 30% dei 74 mila templi giapponesi è a rischio chiusura entro il 2040, stima Keji Ishii, docente di religione alla Kokugakuin University di Tokyo. Complice anche il progressivo invecchiamento della popolazione (il Giappone possiede la più alta percentuale di anziani al mondo: 1 abitante su 4 ha più di 65 anni) e la contrazione dei residenti nelle campagne.
 
Il servizio è utile per preservare le tradizioni buddiste rendendole accessibili a milioni di giapponesi diventati estranei alla religione, si difendono i «monaci a domicilio».
 
A favorire il suo decollo è stato infatti proprio il distacco dei giapponesi, soprattutto dei più giovani, dai luoghi di culto. «Ci sono diversi templi nei dintorni ma non sapevo a rivolgermi – ha spiegato il figlio della defunta commemorata dal monaco Watanabe parlando con l’Ap –. Poi non avevamo idea di quanto avremmo dovuto donare. Questo sistema è molto più chiaro».
 
«Rimasi colpito quando appresi che molta gente non sapeva come contattare un monaco — racconta il vice presidente di Minrevi Masashi Akita —: ho voluto essere io quel ponte».
 
Fonte: Corriere della Sera (03.02.2017) amuglia@corriere.it