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domenica 29 gennaio 2017

Memoria di sant’Agata, Vergine e Martire (5 febbraio)




Agata subì il martirio a Catania, probabilmente sotto l’imperatore Decio (251). Nel canone romano il suo nome è associato a quello di santa Lucia. L’antico Martirologio geronimiano (secolo V) colloca la sua “deposizione” al 5 febbraio, data in cui la memoria della santa è stata sempre celebrata nella liturgia romana. Il  papa san Simmaco (498-514) introdusse il culto della santa a Roma. E nel secolo VI sant’Agata era venerata sia in Occidente che in Oriente. 

Colletta del MR 1962:

Deus, qui inter cetera potentiae tuae miracula etiam in sexu fragili victoriam martyrii contulisti: concede propitius; ut, qui beatae Agathae Virginis et Martyris tuae natalicia colimus, per eius ad te exempla gradiamur.

Colletta del MR 2002:

Indulgentiam nobis, quaesumus, Domine, beata Agatha virgo et martyr imploret, quae tibi grata semper exstitit et virtute martyrii et merito castitatis.

“Donaci, Signore, la tua misericordia, per intercessione di sant’Agata, che risplende nella Chiesa per la gloria della verginità e del martirio”.

La colletta del Messale Romano del 1962 fa un generico riferimento all’imitazione degli esempi della santa. La colletta del Messale Romano del 2002 è presa con qualche leggera variante redazionale dal Sacramentario Gregoriano Adrianeo, n. 131: “Indulgentiam nobis, domine, beata agathe martyr imploret, quae tibi semper existit et merito castitatis et tuae professione virtutis”. Notiamo che la traduzione italiana non distingue tra la “virtus” del martirio e il “merito” della castità del testo latino del Messale, forse perché sia il martirio che la castità pur essendo anzitutto doni della potenza della grazia di Dio sono anche merito della creatura umana. Altre traduzioni, come quella spagnola, conservano l'espressione del testo latino: "...por la fortaleza che mostrò en su martirio y por el mérito de su castidad". Giustamente, poi, il MR 2002, come la prima edizione del 1970, ha cancellato il riferimento al sesso fragile (“sexu fragili”) del MR 1962; si tratta di una espressione che non corrisponde all’attuale visione che si ha della donna. 

venerdì 27 gennaio 2017

DOMENICA IV DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 29 Gennaio 2017


 

Sof  2,3; 3,12-13; Sal 145 (146); 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a

 
Il Sal 145 è un inno di gioia e di lode in onore del Dio fedele e liberatore degli oppressi. Nella litania di lode si inserisce in forma di ritornello la beatitudine evangelica “Beati i poveri in spirito”. Con questo salmo la Chiesa ringrazia il Padre e Gesù Cristo, perché hanno portato ai poveri la buona novella ed hanno messo l’onnipotenza divina a favore degli umili. E’ questo il tema centrale della domenica.

 
Nella prima lettura il profeta Sofonia  ci ricorda che il resto fedele di Israele sarà un popolo umile e povero capace di cercare il Signore. Nella seconda lettura san Paolo, invitando i Corinzi a considerare la vocazione cristiana, dice loro, riferendosi alla croce di Cristo, che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Infine, la lettura evangelica riporta il testo delle beatitudini che iniziano proclamando “beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Due concetti dobbiamo chiarire: che significato hanno le beatitudini nel vangelo e, in particolare, chi sono questi “poveri in spirito” proclamati beati.

 
Il brano del vangelo odierno inizia così: “vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo...” In questo modo solenne viene introdotto il cosiddetto discorso della montagna che rappresenta il cuore del vangelo di san Matteo e il modello di vita del cristiano. Come Mosè sul Sinai ricevette da Dio la legge fondamentale del suo popolo, così Gesù sale sulla montagna per proclamare la nuova legge che dà compimento alla legge antica. Le beatitudini sono il sunto di questa nuova legge, vera carta costituzionale del nuovo popolo di Dio. Esse hanno trovato in Cristo la  perfetta attuazione. Le beatitudine diventano allora l’identikit del discepolo di Gesù che cerca di seguire il suo Maestro. Più che le singole affermazioni del testo delle beatitudini interessa rilevare il movimento che orienta la vita secondo un itinerario che va da un presente di croce verso un futuro di gloria: “Beati... perché saranno consolati... avranno in eredità la terra... saranno saziati... troveranno misericordia... vedranno Dio... saranno chiamati figli di Dio”. Questo programma trova riscontro nella vita di Gesù, soprattutto nella sua passione, morte e risurrezione. In sintesi, possiamo affermare che le beatitudini ci collocano di fronte alla presenza di Dio affinché riusciamo a misurare la nostra vita non secondo i valori del mondo e le possibilità di successo ad essi collegate ma secondo i valori di Dio e i doni che da lui ci vengono gratuitamente elargiti  e che hanno trovato nell’esistenza di Gesù perfetta realizzazione.

 
La “povertà in spirito” è la prima beatitudine del vangelo, animatrice di ogni altra beatitudine. “Beati i poveri in spirito - dice Gesù - perché di essi è il regno dei cieli”. Che s’intende qui per poveri? I poveri non sono persone particolarmente virtuose, ma semplicemente persone particolarmente bisognose. La loro beatitudine significa quindi risposta al loro bisogno da parte di Dio che è ricco di misericordia. La condizione di povertà, poi, pone l’uomo davanti a Dio nella condizione del bisognoso. La povertà così intesa apre l’uomo alla fiducia semplice e docile nel Signore. A questo punto, è lecito dire che la povertà può diventare addirittura un ideale di vita, perché apre degli spazi per Dio, strappa dalle sicurezze mondane e orienta verso altri traguardi, altre gioie. In poche parole, la povertà in spirito significa una disposizione interiore di abbandono, di disponibilità a Dio, alla sua volontà, alla sua provvidenza.

domenica 22 gennaio 2017

TROPPE PAROLE!



Il rito va celebrato, non spiegato. Il linguaggio liturgico (parole, gesti, silenzi), se è osservato nel modo dovuto, è già da per sé una vera catechesi che introduce nella comprensione del mistero.

1. Le parole sono quelle del libro liturgico, non quelle che, come capita frequentemente, il sacerdote inserisce talvolta qua e là. Solo in tre casi, il Messale prevede questi liberi interventi:

Si prevede che “il sacerdote o il diacono o un ministro laico possano fare una brevissima (brevissimis verbis) introduzione alla messa del giorno” (OGMR 50; anche 124).

Nella preghiera universale o preghiera dei fedeli (cf. OGMR 71).

Alla fine della messa, prima del saluto liturgico e della benedizione, si prevede la possibilità di “brevi avvisi, se necessari” (OGMR 90).

Non di rado, si fanno (lunghe) introduzioni al Padrenostro. Il Messale italiano invece propone quattro testi, a scelta, testi ricchi di contenuto, che vanno rispettati.

2. L’assemblea compie i gesti indicati dal Messale, gesti non di rado omessi o fatti malamente: segni della croce, inchini, posizioni diverse (in piedi, in ginocchio, seduti), ecc.

Per quanto riguardo i gesti, le precisazioni della CEI permettono a tutti i fedeli che compongono l’assemblea di tenere le braccia allargate durante la recita o canto del Padrenostro, conformando così il loro atteggiamento a quello del sacerdote che presiede l’eucaristia (cf. Messale Romano, Precisazioni CEI, 1).

3. La natura dei silenzi previsti dal Messale dipende dal momento in cui questi hanno luogo nel corso della celebrazione: durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera è un silenzio che aiuta al raccoglimento; dopo le letture e l’omelia, è un silenzio che invita a meditare brevemente quanto è stato ascoltato; dopo la comunione intende favorire la preghiera di lode e supplica (OGMR 45).

In genere, le celebrazioni con molte parole e commenti (non previsti dal libro liturgico) sono al tempo stesso le celebrazioni in cui il silenzio è praticamente assente.

C’è una vecchia barzelletta che dice: “con un terrorista si può dialogare, ma con un liturgista no”. La mia esperienza mi insegna invece che quando i “liturgisti” parliamo al clero nelle diverse diocesi, molte volte è come parlare nel deserto perché c’è una parte del clero che, oltre ad ignorare la normativa liturgica, si considera padrone della celebrazione e la gestisce di conseguenza. 

venerdì 20 gennaio 2017

DOMENICA III DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 22 Gennaio 2017


 

Is 8,23b-9,3; Sal 26 (27); 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23
 

Il salmo responsoriale esprime una sconfinata fiducia nel Signore. La tradizione dei primi secoli ha fatto recitare questa preghiera ai neo-battezzati. Nel battesimo infatti siamo stati “illuminati” dalla luce che è Cristo, e siamo quindi passati dalle tenebre del peccato alla luce della grazia. Lo dice san Paolo quando ricorda ai cristiani di Efeso: “Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Ef 5,8). Perciò possiamo cantare: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”.

 
Il simbolismo della luce, che abbiamo già trovato nella domenica precedente nonché nella liturgia natalizia e ritroveremo in quella pasquale, esprime, nella Bibbia, la realtà della salvezza donata dal Signore per mezzo di Cristo. San Matteo, nel brano evangelico d’oggi, racconta gli inizi del ministero pubblico di Gesù che comincia dalla Galilea, dopo l’arresto di Giovanni. Gesù sceglie come punto di partenza della sua predicazione una regione religiosamente sottosviluppata, dove la religione d’Israele era a stretto contatto col paganesimo. Nel secolo VIII a. C. gli abitanti di Galilea erano stati deportati in esilio, “immersi nelle tenebre della schiavitù”. Ricordiamo che uno degli argomenti che verranno portati contro la messianicità di Gesù è appunto questo: “Il Cristo viene forse dalla Galilea?” (Gv 7,41). In questa scelta fatta da Gesù per iniziare l’annuncio del Regno di Dio e l’invito alla conversione, l’evangelista Matteo vede il compimento delle parole del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “...il popolo che cammina nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. La Galilea, terra di tenebra da dove la predicazione di Gesù inizia a irradiarsi come luce, è il simbolo del buio che avvolge la vita dell’uomo che non è stato illuminato dalla luce del Vangelo di Gesù.

 
La lieta novella che Gesù reca all’uomo è un messaggio di liberazione morale e fisica, perché rinnova l’uomo. Gesù predica il vangelo del Regno e guarisce ogni malattia e infermità mettendo l’uomo in grado di individuare e percorrere la strada che lo può realizzare, che è capace di dare senso alla propria vita, come i fratelli Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni che, lasciata ogni cosa, seguono Gesù e trovano in lui il senso della loro esistenza. San Matteo sottolinea che i primi discepoli sono fratelli nel sangue per indicare l’effetto della conversione che conduce oltre, verso la fraternità in Cristo, la sola capace di non divenire mai esclusiva, ma comprensiva di ogni uomo. Convertirsi al Regno di Dio significa quindi scoprire anche i profondi rapporti che ci uniscono gli uni gli altri. Fare di Cristo il centro della vita vuol dire spezzare ogni barriera e ogni divisione. Perciò nella comunità di coloro che sono stati illuminati dal Vangelo di Gesù non hanno senso le discordie, le divisioni. E’ quanto ricorda san Paolo nella seconda lettura quando esorta i fratelli della comunità di Corinto ad essere “in perfetta unione di pensiero e di sentire”. Se Cristo non può essere diviso, nemmeno la comunità di Cristo, che è vero “corpo di Cristo”, può essere divisa. Le divisioni nella Chiesa sono lacerazioni di Cristo.

 
Riassumendo, possiamo affermare che negli inizi della sua predicazione Gesù annuncia la liberazione dall’oppressione in cui si trovano gli uomini che vivono nelle tenebre e nella schiavitù del peccato, perché essi, “illuminati” dalla luce che è Cristo, possano ritrovare il senso della loro esistenza nella comunione e solidarietà reciproca. Questo messaggio trova una sua realizzazione vera e paradigmatica nella partecipazione all’eucaristia, in cui per opera dello Spirito “diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (preghiera eucaristica III).

martedì 17 gennaio 2017

APPARTENENZA E “PRATICA RELIGIOSA”


 
 

Ogni credente è definito dalla sua appartenenza e ne diviene consapevole appropriandosi soggettivamente della sua tradizione. Per questa ragione ogni comunità – non solo religiosa – ha riti d’iniziazione e d’avviamento, possiede un sistema pedagogico di trasmissione per cui la fede dei padri trapassa nei figli. Ma ogni eredità, come dice Hegel, è un ricevere e un far fruttare; ciò vuol dire che si perpetua solo se gli individui la assumono in proprio e la rinnovano.

 

C’è quindi una modalità di credere che è oggettivamente un appartenere, soggettivamente un aderire. È evidente che ove questa adesione non avviene il credo si dissolve. È tipico delle appartenenze – specie in età di secolarizzazione – che vengano meno non tanto per opposizione né per negazione, ma per semplice estenuazione: abbandono progressivo delle pratiche, disserzione dalla comunità e dai riti, conoscenza sempre più indeterminata e generica dei miti fondatori. Le credenze si perpetuano nel tempo fino a quando riti, miti, regola di condotta si mostrano adeguati ad affrontare le emergenze della vita, e soprattutto a dare senso al proprio stare al mondo e, ancora di più, all’esistenza del mondo stesso.

 

Cf. Salvatore Natoli, Il rischio di fidarsi (Voci), Il Mulino, Bologna 2016, pp. 145-148.

sabato 14 gennaio 2017

Nomina di Consultori della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti


 

Il Santo Padre ha annoverato tra i Consultori della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti i Rev.di: Mons. Giovanni Di Napoli, Docente di liturgia alla Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, Sezione San Luigi di Napoli, e al Seminario di Salerno, Segretario del Centro di Azione Liturgica; Mons. Claudio Magnoli, Docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica dell'Italia settentrionale, Responsabile Servizio per la Pastorale Liturgica dell'Arcidiocesi di Milano, Preside del Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra; Mons. Vincenzo De Gregorio, Preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra; Mons. Massimo Palombella, S.D.B., Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia; José Luis Gutiérrez Martín, della Prelatura dell'Opus Dei, Direttore dell'Istituto di Liturgia della Pontificia Università della Santa Croce in Roma; P. Marko Rupnik, S.I., Docente di arte liturgica presso il Pontificio Istituto Liturgico, Direttore del Centro Aletti di Roma; Mons. Bruce Edward Harbert, già Docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria, Parroco; Jaume Gonzáles Padrós, Direttore dell'Istituto Superiore di Liturgia di Barcelona; P. D. Olivier‑Marie Sarr, O.S.B., Docente al Pontificio Istituto Liturgico Sant'Anselmo in Roma; Elias Frank, Docente di diritto liturgico presso la Pontificia Università Urbaniana; Mons. Patrick Chauvet, Docente di Teologia, Arciprete della Cattedrale Notre‑Dame in Parigi; P. Robert McCulloch, S.S.C.M.E., Procuratore Generale della Società di San Colombano per le Missioni Estere; P. Olivier Thomas Venard, O.P., Vice‑Direttore dell'Ecole biblique et archéologique francaise de Jérusalem; Marc‑Aeilko Aris, Docente alla Ludwig-Maximilian-Universität in München; Prof.ssa Donna Lynn Orsuto, Docente all'Istituto di Spiritualità della Pontificia Università Gregoriana, alla Pontificia Università San Tommaso d'Aquino e all'Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, Co-Fondatrice e Direttore del The Lay Centre at Foyer Unitas in Roma; Dott.ssa Valeria Trapani, Docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica di Sicilia San Giovanni Evangelista di Palermo, Membro della Commissione Liturgica Diocesana di Palermo; Dott. Adelindo Giuliani, Addetto presso l'Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma
Fonte: Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede (14.01.2016).
Auguri di cuore ai nuovi Consultori, tra i quali anche due donne!

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 15 Gennaio 2017


 





Is 49,3.5-6; Sal 39 (40); 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34

 
Alcuni versetti del Sal 39 saranno poi ripresi dalla Lettera agli Ebrei e posti sulla bocca del Cristo, che obbedisce al Padre venendo al mondo per la salvezza dell’uomo (cf. Eb 10,5-10). Cristo ha compiuto il sacrificio totale e interiore della propria volontà, l’unico gradito al Padre, nella sottomissione e obbedienza che manifestò già nel momento dell’incarnazione e consumò nella sua immolazione sulla croce. Tutta la vita di Gesù può essere riassunta con le parole del ritornello: “Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà”. In questa domenica, che viene dopo le feste natalizie, siamo invitati a contemplare Gesù, all’inizio della sua missione, quale fedele esecutore della volontà del Padre.
 

La prima lettura parla profeticamente di un misterioso “servo”, scelto da Dio dal seno materno per salvare Israele, anzi la missione di questo servo del Signore, chiamato “luce delle nazioni”, ha il compito di portare la salvezza “fino all’estremità della terra”. I cristiani dei tempi apostolici non hanno faticato e riconoscere nella vita di Gesù Cristo e nella missione della Chiesa le caratteristiche del “Servo del Signore” donato per la salvezza dell’umanità. Le attese di Israele trovano in Cristo il loro compimento. Nella lingua aramaica (parlata da Gesù e da Giovanni Battista) la parola talya significa “servo” e “agnello”. Con questa parola usata da Isaia, nel vangelo d’oggi vediamo che Giovanni Battista indica Gesù, annunciando che egli è il “servo di Dio”, che libera il mondo dal peccato: Gesù è “l’agnello [servo] di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”, strumento perfettamente docile nelle mani del Padre per compiere la salvezza del mondo. Attraverso la testimonianza del Battista viene consolidata la nostra fede in Gesù che è stato consacrato dallo Spirito Santo come Messia e nel quale siamo invitati a porre ogni fiducia e speranza perché non c’è altra salvezza se non quella che lui ci offre.

 
Credere in Gesù non significa fare un’esperienza personale puramente interiore e intimista. La Chiesa chiama Giovanni Battista “testimone della luce” (Secondi vespri, Ant. al Magn.). Come Giovanni Battista, tutti i seguaci di Gesù siamo chiamati ad essere decisamente e senza ambiguità testimoni di Cristo “luce delle nazioni” davanti al mondo. La testimonianza di Giovanni è frutto del vedere e del conoscere: ciascuno di noi dà di Cristo una testimonianza proporzionata alla vita di fede e di relazione che intrattiene con lui. Per san Paolo, di cui abbiamo letto il brano iniziale della prima lettera ai Corinzi, l’esperienza che egli ha avuto della fede è stata contemporaneamente consapevolezza della chiamata ad “essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio”. Queste parole riassumono l’esperienza della vocazione di Paolo e riflettono la coscienza che egli ha della propria missione. San Paolo si considera chiamato da Dio con il compito di far conoscere Gesù Cristo. Come in Giovanni Battista e come in Paolo, la testimonianza non si esaurisce nell’annuncio, ma comporta una vita coerente con quanto si crede e si annuncia. L’opera della salvezza attuata da Gesù continua ora attraverso l’impegno e la testimonianza di noi tutti.
 
Quando ci avviciniamo alla comunione eucaristica, ci viene presentata l’ostia santa con le parole di Giovanni Battista: “...Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. L’eucaristia ci rende partecipi della salvezza portata a termine da Gesù nel sacrificio della croce, di cui la comunione e partecipazione sacramentale. Al tempo stesso, nella partecipazione all’eucaristia prendiamo coscienza di essere coinvolti con Cristo nella salvezza del mondo.

 
 

venerdì 13 gennaio 2017

LA CHIESA (E LA LITURGIA) VA GOVERNATA




Il vaticanista Sandro Magister, mercoledì 11 gennaio 2017, ha scritto, tra l’altro, nel suo blog Settimo Cielo:

«Diretta dal segretario della congregazione del culto divino, l'arcivescovo inglese Arthur Roche, è stata istituita per volontà di Francesco all'interno del dicastero una commissione il cui obiettivo non è la correzione delle degenerazioni della riforma liturgica postconciliare – cioè quella "riforma della riforma" che è il sogno del cardinale Sarah – ma è proprio il contrario: la demolizione di uno dei muri di resistenza agli eccessi dei liturgisti postconciliari, l'istruzione “Liturgiam authenticam”, emessa nel 2001 che fissa i criteri per la traduzione dei testi liturgici dal latino alle lingue moderne».

Non c’è dubbio che in genere Sandro Magister è ben informato e quindi possiamo dar credito alla notizia. Ma è anche vero che il noto giornalista il più delle volte dimostra di avere il dente avvelenato contro papa Francesco. Nel dare la notizia, qui sopra, parla di una commissione il cui compito sarebbe la “demolizione” dell’Istruzione Liturgiam authenticam. Questa Istruzione che regola la traduzione dei libri liturgici alle diverse lingue parlate è stata pubblicata 16 anni fa e ha preso il posto del documento anteriore che regolava la materia. Sandro Magister dovrebbe sapere che la suddetta Istruzione è stata oggetto di critiche più o meno giustificate (non solo dai liturgisti) e ha creato dei problemi ai traduttori che non sempre riescono ad essere fedeli alla “lettera” del testo latino come vorrebbe l’Istruzione. C’è addirittura qualche episcopato che si è negato a tradurre l’ultima edizione latina del Messale con questa normativa. Insomma, c’è un problema, un malessere che non intendo approfondire qui. In questi casi, il buon governo consiste nell’ascoltare le critiche e vedere se sono giustificate e fino a che punto vi si può venire incontro. In questa commissione non ci vedo quindi nessun pericolo di demolizione. Così come 16 anni fa, quando fu aggiornata la normativa delle traduzioni, non si trattò di una demolizione del documento anteriore. Le notizie possono essere date in tanti modi, ma il buon giornalista dovrebbe informarsi e spiegare il contesto in cui si trova l’evento comunicato.    
M. A.

mercoledì 11 gennaio 2017

NESSUNA RISPOSTA AI "DUBIA"


andrea tornielli

città del vaticano

PUBBLICITÀ 
Sulla vicenda dei «dubia» espressi dai quattro cardinali sull'esortazione «Amoris laetitia» interviene nuovamente il cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, affermando che «in questo momento non è possibile una correzione al Papa perché non c'è alcun pericolo per la fede». Il porporato, intervistato dal vaticanista del Tgcom24, Fabio Marchese Ragona nell'ambito della trasmissione «Stanze Vaticane», ha anche espresso il suo disaccordo sulla pubblicazione dei «dubia».

Come si ricorderà, poco più di un mese dopo aver presentato cinque «dubia» - interrogativi sull'interpretazione di «Amoris laetitia» a proposito della questione dei sacramenti per i divorziati in seconda unione presentati secondo la modalità tecnica delle richieste di chiarimento alla Congregazione per la dottrina della fede -
i quattro cardinali firmatari, Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner, hanno deciso di renderli pubblici diffondendoli sui media. La pubblicazione è avvenuta alcuni giorni prima del concistoro di ottobre. Nelle settimane successive il cardinale Burke ha più volte parlato di una possibile e prossima «correzione formale» del Papa, in caso di mancata risposta. Intervistato da Vatican Insider, il cardinale Brandmüller precisava che questa correzione sarebbe avvenuta in prima istanza «in camera caritatis» e dunque non sarebbe stata pubblica.

Ora il Prefetto della dottrina della fede, sembra allontanare l'ipotesi della «correzione». «Ognuno», ha detto Müller a Tgcom24, «soprattutto i cardinali della Chiesa Romana, hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. Anche una possibile correzione fraterna del Papa», ha continuato, «mi sembra molto lontana, non è possibile in questo momento perché non si tratta di un pericolo per la fede come San Tommaso ha detto».

Il Prefetto dell'ex Sant'Uffizio ha poi aggiunto: «Siamo molto lontani da una correzione e dico che è un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente. "Amoris Laetitia" è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia». Papa Francesco, ha concluso il cardinale, «chiede di discernere la situazione di queste persone che vivono un'unione non regolare, cioè non secondo la dottrina della Chiesa su matrimonio, e chiede di aiutare queste persone a trovare un cammino per una nuova integrazione nella Chiesa secondo le condizioni dei sacramenti, del messaggio cristiano sul matrimonio. Ma io non vedo alcuna contrapposizione: da un lato abbiamo la dottrina chiara sul matrimonio, dall'altro l'obbligazione della Chiesa di preoccuparsi di queste persone in difficoltà». 
 

Fonte: Vatican Insider

domenica 8 gennaio 2017

UNA MISTAGOGIA DEL SACRAMENTO DEL PERDONO



Juan Rego (ed.), Celebrare la misericordia di Dio. Contributi per una mistagogia del sacramento del perdono (Biblioteca di Iniziazione alla liturgia 2), Pontifica Università della Santa Croce – Istituto di Liturgia, EDUSC, Roma 2016. 148 pp.

Il volume raccoglie gli interventi presentati alla Giornata di Studio “Celebrare la misericordia di Dio”, organizzata dall’Istituto di Liturgia della Pontifica Università della Santa Croce, il 13 aprile 2016. Il volume raccoglie anche altri contributi che cercano di ampliare il quadro di riferimento.

José Luis Gutiérrez, L’abbraccio della misericordia del Padre.

Angel García Ibáñez, Il sacramento della penitenza, via per accogliere il perdono di Dio.

Antonio Miralles, La misericordia nel rito per la riconciliazione dei singoli.

Juan Rego, Il grembo della misericordia.

Fernando López Arias, Architettura della misericordia.

Norberto Valli, Eucaristia e remissione dei peccati.

 

venerdì 6 gennaio 2017

BATTESIMO DEL SIGNORE ( A ) - 8 Gennaio 2017


 


Is 42,1-4.6-7; Sal 28 (29); At 10,34-38; Mt 3,13-17

 
Il Sal 28 descrive la manifestazione della potenza di Dio in una tempesta quasi apocalittica. La voce di Dio, configurata nei tuoni e nei lampi, domina tutta la scena. Con un linguaggio arcaico, ci viene ricordato che nel gorgo ciclonico della storia e della natura noi abbiamo un punto fermo nel Signore che “siede re per sempre”. Dio dominatore dell’universo viene a salvare il suo popolo con forza e potenza. La Chiesa, nella liturgia odierna, accosta la rivelazione della potenza di Dio descritta nel salmo alla manifestazione della divinità di Cristo durante il suo battesimo nel Giordano.

La festa del Battesimo del Signore fa da ponte tra le feste natalizie e le domeniche del Tempo ordinario, ormai iniziato. Il battesimo per Gesù rappresenta la fine della vita nascosta di Nazaret e l’inizio della sua attività pubblica mediante l’investimento ufficiale del Padre che lo presenta alle folle come Figlio prediletto su cui si posa lo Spirito Santo. E’ una festa che ci invita quindi ad approfondire l’identità di Gesù e la sua missione.

Il battesimo di Giovanni era una confessione dei propri peccati e il tentativo di deporre una vecchia vita mal spesa per riceverne una nuova. Gesù non poteva confessare peccato alcuno; però sottomettendosi al rito del battesimo di Giovanni egli intende manifestare la sua disponibilità ad ascoltare la voce di Dio, la sua solidarietà con i peccatori e l’impegno per la loro conversione, e l’accettazione della vita come dedizione agli altri. La lettura evangelica narra l’evento: alle perplessità di Giovanni, Gesù risponde dicendo che occorre che “adempiamo ogni giustizia”. Con queste parole, Gesù afferma che c’è una giustizia da compiere, e cioè una volontà divina cui obbedire. Gesù afferma quindi la sua disponibilità a dedicarsi totalmente all’adempimento del volere salvifico divino, che d’ora in poi sarà la matrice di ogni sua azione fino al momento del battesimo di sangue sulla croce. A questa disponibilità di Gesù, il Padre risponde proclamandolo: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Queste parole richiamano le parole d’Isaia che abbiamo letto nella prima lettura. Il Padre si compiace nel suo Figlio, lo guarda con benevolenza e con gioia. Segno di questa benevolenza è la presenza dello Spirito Santo che si posa su Gesù.

Alla domanda iniziale sull’identità di Gesù, possiamo rispondere con le stesse parole di san Pietro, riportate dalla seconda lettura:  Gesù è un uomo consacrato “in  Spirito Santo e potenza”, e cioè nella potenza dello Spirito, che ha percorso tutta la Palestina “beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo”. La sua azione è stata vittoriosa, “perché Dio era con lui”.

Il battesimo cristiano attraverso il segno dell’acqua versata manifesta e realizza la nostra personale immersione nella vita di Cristo per poter vivere come lui è vissuto, con la forza dello Spirito Santo. Così come per Gesù il battesimo è stato il momento decisivo della sua vocazione, in cui egli ha espresso la sua decisione di realizzare la missione affidatagli dal Padre, così anche per noi il battesimo rappresenta il punto di partenza di una vita donata a Cristo e al suo vangelo.

mercoledì 4 gennaio 2017

EPIFANIA DEL SIGNORE - 6 GENNAIO 2017


 
Is 60,1-6; Sal 71 (72); Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

Il Sal 71, di cui la prima parte è ripresa come salmo responsoriale, proiettando lo sguardo oltre gli orizzonti storici del tempo in cui fu scritto, annuncia una salvezza, che verrà offerta dal Messia, senza limiti geografici e sociali: la sua giustizia sarà perfetta, il suo dominio universale, il suo regno eterno, il cosmo intero sarà coinvolto nella pace offerta in abbondanza dal Signore. I Padri scorgono in questo salmo la preghiera con la quale la Chiesa invoca l’avvento del regno di Cristo, affinché tutte le nazioni possano essere partecipi della sua luce. 

Isaia, nella prima lettura, proietta lo sguardo oltre gli orizzonti storici di quell’epoca e annuncia la vocazione universale di Gerusalemme. Vocazione di cui è erede la Chiesa, nuova Gerusalemme chiamata ad illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo. Paolo nella seconda lettura parla di un “mistero”, termine che nella sua radice greca indica qualcosa di “silenzioso” e segreto che è racchiuso nell’orizzonte invalicabile di Dio. L’Apostolo dichiara che questo silenzio è stato squarciato e il messaggio che era nascosto nella mente divina è stato rivelato e proclamato al mondo: i pagani di una volta e i giudei di un tempo sono ora a parità di diritti. Di fronte al Signore che viene, ciò che conta non è la razza o la cultura o la prudenza umana, ma la disponibilità della fede e l’attenzione ai segni dei tempi. Infatti, vediamo che la salvezza, offerta a tutti gli uomini, è accolta in primo luogo dai “lontani”. Gli “esperti”, scribi e farisei, che sapevano tutto riguardo alle Scritture, non hanno cercato e perciò non hanno trovato il Messia. I Magi, invece, si sono messi in cammino, hanno interrogato, cercato, hanno osservato i segni del cielo, si sono informato sulle Scritture e hanno trovato. I Magi insegnano che il credente non è un semplice possessore, ma un instancabile cercatore di Dio. Il senso dinamico della fede si esprime poi nella chiamata a rendere testimonianza, ad annunziare a tutti la salvezza sperimentata, come i Magi nel loro ritorno da Betlemme. La buona novella del vangelo è indirizzata a tutti e deve perciò essere annunciata a tutti.

La simbologia della luce, già presente nella liturgia natalizia, la ritroviamo nella liturgia dell’Epifania con una sottolineatura particolarmente “epifanica” che si proietta sul mondo intero: “Oggi in Cristo luce del mondo tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza…” Queste parole del prefazio invitano ad interpretare in senso cristologico la luce di cui parlano la prima lettura e il brano evangelico. La luce è il simbolo della presenza e del rivelarsi di Dio all’umanità che si realizza pienamente in Cristo. L’Apocalisse chiama il Cristo “la stella del mattino” (Ap 2,28; 22,16). Nella preghiera dopo la comunione supplichiamo Dio affinché questa sua luce “ci accompagni sempre in ogni luogo…”

Il nocciolo del messaggio dell’Epifania è quindi che Dio si manifesta, si fa uomo e chiama tutti a sé nel suo regno. Dice san Leone Magno: “Celebriamo nella gioia [...] l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti” (Liturgia delle Ore: Ufficio delle letture, seconda lettura). L’Epifania ci ricorda che Cristo è venuto per chiamare alla salvezza tutta l’umanità, simbolicamente rappresentata dai Magi di cui parla il vangelo. La Chiesa non può tenere per sé questo mistero, ma deve annunciarlo al mondo. Essa non può venir meno a questo compito che la rende insieme destinataria e serva della buona novella del vangelo. Ecco dunque che la solennità dell’Epifania diventa la logica e naturale conclusione del Natale e proietta tutti noi, come i pastori e come i Magi, sulle strade del mondo per annunciare a tutti gli uomini le meraviglie di Dio.

 

domenica 1 gennaio 2017

L'EUCARISTIA SACRAMENTO DELLA NUOVA ALLEANZA


 
Vittorio Croce, Il sacramento della Nuova Alleanza. L’Eucaristia fonte e culmine della liturgia e della vita cristiana, ELLEDICI, Torino 2016. 215 pp.

Parte prima: Festa dell’incontro. Il senso cristiano della liturgia. Cap. I: Una crisi dai molti volti; Cap. II: Re-Visione biblica; Cap. III: Il pendolo della storia; Cap. IV: Che cos’è la liturgia? Una sintesi in sette punti.

Parte seconda: Teologia dell’azione eucaristica. Cap. I: Eucaristia, cioè Cristo, al centro; Cap. II: Sacramento del sacrificio di Cristo, dono di una vita; Cap. III: Sacramento della vita della Chiesa, corpo di Cristo nel mondo; Cap. IV: Sacramento dell’esistenza cristiana come comunione trinitaria; Cap. V: Tutto opera dello Spirito Santo.

Questo volume è frutto di una lunga pratica pastorale e di una paziente fatica di spiegazione catechistica, sempre accompagnata da uno sforzo di attenta riflessione teologica e spirituale.