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domenica 27 settembre 2020

TEOLOGIA DELL’EUCARISTIA

 



 

Fabio Trudu (ed.), Teologia dell’eucaristia. Nuove prospettive a partire dalla forma rituale. Atti della XLVII Settimana di Studio dell’Associazione di Professori di Liturgia (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae”- “Subsidia” 193), CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2020. 222 pp. (€ 22,00).

 

Possono i grandi temi della teologia eucaristica essere colti in prospettiva unitaria a partire dalla forma celebrativa dell’Eucaristia? Se nella presente stagione ecclesiale una tale domanda è sollecitata dalla riconsegna del Messale di Paolo VI nella terza edizione italiana, è tuttavia un interrogativo costante, o tale dovrebbe essere, per chi si interessa di teologia dell’Eucaristia, come anche della sua prassi liturgica e devozionale. Uno sguardo alla storia rivela notevoli oscillazioni nella comprensione dei vari aspetti del mistero eucaristico, trattati ora in modo coerente e organico, ora quasi autonomamente l’uno rispetto agli altri.

 

I contributi raccolti nel volume intendono studiare l’impatto della nuova forma celebrativa scaturita dal Messale di Paolo VI sulla teologia eucaristica a partire dai principali temi della teologia sistematica. Il punto di osservazione è quello delle categorie classiche di presenza, sacrificio e comunione, per cogliere in un secondo momento l’apporto singolare della teologia liturgica a ciascuno di questi temi. Nel dialogo a due voci tra i teologi sistematici e i liturgisti è emersa la necessità che l’odierna teologia dell’Eucaristia integri sempre più nel suo pensiero la nuova forma rituale e il nuovo modo di pensare il sacramento a partire della sua concreta celebrazione.

 

(Quarta di copertina)

 

Contributi di: Andrea Grillo, Matthieu Rouillé D’Orfeuil, Loris Della Pietra, Pierpaolo Caspani, Luigi Girardi, Andrea Bozzolo, Fabio Trudu, Claudio Ubaldo Cortoni, Norbeto Valli – Sergio Arosio.

venerdì 25 settembre 2020

DOMENICA XXVI DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 27 Settembre 2020

 



Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32

 

Nella prima lettura, vediamo che Dio ammonisce i figli d’Israele, tramite il profeta Ezechiele, e li richiama al senso della responsabilità personale di fronte alle scelte della vita: l’uomo è responsabile delle sue azioni, e queste sono strettamente connesse con la giustizia. Perciò, se vogliamo una vita autentica, non possiamo sottrarci a far propri i valori che la determinano; dobbiamo semplicemente accettarli e viverli coerentemente. Anche dal brano evangelico emerge un forte richiamo alla coerenza della vita. Servendosi, come al solito, di una parabola, Gesù parla di due figli, ai quali il padre dà lo stesso ordine: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Il primo risponde con religioso rispetto e docilità, ma non va a lavorare nella vigna come aveva promesso; il secondo figlio, invece, risponde con arroganza e insolenza in senso negativo, ma alla fine si ravvede e va in campagna a lavorare nella vigna. La morale della storia è così chiara che Gesù vuole che siano i suoi stessi ascoltatori a ricavarla: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”, domanda Gesù. Non c’è dubbio dicono tutti: l’ultimo. La parabola sottolinea il contrasto che esiste tra il dire e il fare, tra la parola e l’azione. Non basta la semplice conoscenza teorica del vangelo o l’adesione verbale ad esso, ma occorre una conversione totale in modo che l’insegnamento di Gesù sia tradotto in comportamento di vita. Il sì della bocca è insufficiente, quello decisivo è il sì dei fatti. Possiamo ben dire che non esiste affermazione di fede che non possa e non debba essere verificata nella prassi della vita quotidiana. Nel regno di Dio entra solo chi fa la volontà del Padre: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).

 

Nella seconda lettura, san Paolo ci dà il punto di riferimento della nostra obbedienza al Padre. Siamo infatti invitati ad avere in noi “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione divina […] svuotò se stesso assumendo una condizione di servo […] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Il brano paolino sintetizza le varie tappe del mistero di Cristo: la sua preesistenza divina, l’abbassamento alla condizione di servo nel mistero dell’incarnazione e una ulteriore umiliazione fino alla morte di croce, alla quale fa seguito l’esaltazione. A noi interessa qui sottolineare che queste tappe sono percorse da Cristo sotto il segno dell’obbedienza al Padre.              

 

Nella celebrazione eucaristica noi comunichiamo sacramentalmente proprio con il mistero della morte di Cristo e quindi della sua umiliazione e obbedienza. Notiamo però che la partecipazione sacramentale esige una coerenza esistenziale che va al di là del momento strettamente rituale.

domenica 20 settembre 2020

IL NUOVO MESSALE IN ITALIANO

 



Paolo Tomatis, Al servizio del dono. La nuova edizione del Messale, ELLEDICI, Torino 2020. 83 pp. (€ 9.90).

La terza edizione del Messale in italiano è la traduzione della terza edizione tipica latina del Missale Romanum di Paolo VI, pubblicato nel 2008. In questi giorni è in vendita in alcune librerie. L’opuscolo del Prof. Paolo Tomatis è una guida chiara, immediata e completa alla riscoperta delle particolarità di questa nuova edizione del Messale Romano. Ecco le pagine dedicate all’Ordo Missae (pp. 30-32 dell’opuscolo):

Entrando nel dettaglio della presentazione della nuova edizione del Messale Romano, ci domandiamo quali cambiamenti testuali e gestuali siano stati apportati nella struttura generale della Messa. Per farlo, occorre andare alle pagine centrali del Messale, quelle che presentano il cosiddetto “programma rituale” della Messa con il popolo. Si tratta dell’antico Ordo Missae (Rituale della Messa), che presenta la struttura generale della Messa nella sua parte invariabile.

Scorrendo la Messa dai Riti di inizio, notiamo piccoli cambiamenti. Nel saluto liturgico si utilizza il plurale “siano” al posto del singolare “sia”, quando il soggetto è plurale: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore del Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (cf. 2 Cor 13,13); “La pace, la carità e la fede da parte di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo siano con tutti voi” (cf. Ef 6,23). Alla possibilità di scelta tra un saluto e l’altro, corrisponde il riferimento concorde alle parole tratte dalle Scritture: il fatto che la rubrica dica “oppure” e non “con queste e altre parole” chiede di scegliere tra i saluti biblici proposti, senza inventarne di nuovi.

L’atto penitenziale continua a presentare i diversi formulari offerti dal precedente Messale del 1983. Unica variazione di rilievo è nel Confesso, dove l’assemblea si esprime al maschile e al femminile: “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli e sorelle… e supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro”. La stessa variazione la troviamo nelle altre monizioni della Messa che prima riportavano solo il riferimento generico ai fratelli. Nel Gloria cambia il testo: “E pace in terra agli uomini, amati dal Signore”. Rispetto al testo precedente, che seguiva l’antica traduzione latina della Vulgata di Girolamo (et in terra pax hominibus bonae voluntatis) si è più fedeli all’originale greco del testo di Luca, dove gli uomini sono oggetto della benevolenza e dell’amore di Dio.

La struttura della Liturgia della Parola rimane invariata: anche in questa edizione, come nella precedente, è prevista la possibilità di professare il Simbolo apostolico, al posto di quello niceno-costantinopolitano. Nella liturgia eucaristica, il rito della presentazione dei doni rimane invariato nei testi e nei gesti. Nelle preghiere eucaristiche, invece, sulle quali ci soffermeremo a parte, vi sono piccole variazioni di traduzione, oltre che di posizione (le più recenti poste in appendice, rispetto alle prime quattro).

Nei riti di comunione spicca la nuova traduzione del Padre nostro, su cui tanto si è discusso. Qui le variazioni sono due, è bene ricordarlo: l’aggiunta di un “anche” (rimetti a noi i nostri debiti, come “anche” noi li rimettiamo ai nostri debitori) e il “non abbandonarci alla tentazione”. Anche in questo caso si è cercato di tradurre più fedelmente il testo greco del vangelo, secondo la nuova edizione della Bibbia CEI 2007. Nell’invito alla pace, compare il linguaggio del dono: “Scambiatevi il dono della pace”, anziché il più prosaico “segno di pace”.

Senza dubbio il cambiamento più significativo è quello che troviamo nel momento rituale che segue la frazione del pane eucaristico, relativamente alle parole che accompagnano il gesto del mostrare l’ostia sollevata sulla patena o sul calice. Anziché la successione: “Beati gli invitati alla cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, troveremo la successione: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello”.

Nei riti di conclusione, infine, è stata aggiunta una nuova formula di congedo, proveniente dalla terza edizione latina: “Andate e annunciate a tutti il Vangelo del Signore”. Una piccola variazione riguarda pure la formula: “La gioia del Signore sia la nostra forza”, che diventa, in sintonia con il testo di Neemia 8,10, “la gioia del Signore sia la vostra forza”.

Come si può notare, i cambiamenti rituali sono davvero minimi: circa le parti recitate dall’assemblea, la scelta è stata quella di non apportare alcuna modifica, eccetto quelle ritenute più necessarie (al Confesso, al Gloria, al Padre nostro). Merita comunque sostare su alcune di queste variazioni, che per quanto piccole, sono significative di una sensibilità da affinare e di una ritualità da valorizzare.    

venerdì 18 settembre 2020

DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 20 Settembre 2020

 



Is 55, 6-9; Sal 144; Fil 1, 20c-27a; Mt 20,1-16

 

Le letture bibliche di questa domenica propongono alla nostra riflessione il misterioso modo di agire di Dio nei nostri confronti. Dio non giudica gli uomini con il metro con cui noi non di rado giudichiamo i nostri simili. Perché, come dice il profeta Isaia nella prima lettura, i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri e le nostre vie non sono le sue vie: è un Dio che ha misericordia e perdona largamente. Questo particolar modo di agire di Dio è illustrato da Gesù nella parabola evangelica dei lavoratori della vigna, una parabola volutamente sconcertante, per indurre gli ascoltatori, e quindi anche noi, a rettificare eventualmente la nostra idea della giustizia divina e a interrogarci sul modo in cui comprendiamo e viviamo il nostro rapporto con Dio.

 

Possiamo interpretare la parabola come una risposta di Gesù alla domanda che Pietro e i suoi discepoli gli hanno rivolto poco prima: “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa ne ricaveremo?” (Mt 19,27). Il proprietario della vigna ricompensa ugualmente operai che hanno compiuto lavori di diversa durata: alcuni hanno lavorato una giornata intera, altri un poco meno, altri poi un’ora sola; tutti però vengono retribuiti in modo uguale. Il particolare dell’uguaglianza di retribuzione nella parabola, mira a sottolineare che non c’è proporzione fra ciò che fa l’uomo e ciò che dona Dio. Il padrone della parabola distribuisce i salari non secondo la misura delle prestazioni degli operai, ma in vista del loro benessere e della loro gioia. Dio, infatti, non è un padrone che dà un “salario”, ma un padre che elargisce un “dono”. Dio non è un compagno d’affari, con cui possiamo contrattare la nostra salvezza. La salvezza non va barattata, ma accettata come dono. Il procedere così generoso di Dio ha come unica spiegazione la sua bontà infinita e la sua iniziativa libera e spontanea; la grandezza di Dio non si può misurare: “senza fine è la sua grandezza” (cf. salmo responsoriale).

 

Dio sa donare giustizia e bontà lì dove l’uomo non sa fare altro che un avvilente calcolo matematico. Noi siamo inclini a definire i reciproci rapporti in base alla prestazione effettiva, parametro che inconsciamente trasferiamo alle vicende che riguardano anche i nostri rapporti con Dio. Il Signore invece agisce secondo criteri di gratuità. Davanti alla misericordia sconfinata di Dio ogni uomo, ciascuno di noi, si trova nella medesima posizione. La grettezza del nostro cuore fa sì che sia per noi difficile capire l’amore di un Dio sempre pronto a perdonare, sempre pronto ad accogliere chiunque apra il cuore alla sua grazia, in ogni momento. Se siamo veramente discepoli di Cristo sapremo interpretare la nostra vita secondo criteri di gratuità e di donazione agli altri, i valori che nel Cristo hanno incarnato l’autentico volto del Padre.

 

L’Eucaristia esprime in modo sublime il mistero del donarsi gratuito di Dio a noi. Presentiamo al Signore un po’ di pane e di vino e abbiamo in dono un “cibo di vita eterna” e una “bevanda di salvezza”.

 

 

domenica 13 settembre 2020

L’ASSEMBLEA LITURGICA OGGI

 


Morena Baldacci, Una comunità che celebra. L’assemblea liturgica oggi (Grammatica della liturgia), San Paolo, Cinisello Balsamo 2018. 110 pp. (€ 15,00).

 

Basta andare a messa la domenica per accorgersi che le nostre assemblee liturgiche oggi sono diverse dal passato. Le chiese sono sempre più vuote, e chi ancora le frequenta è per la maggior parte ormai avanti con l’età. Sempre di più inoltre sono quelli che alla fedeltà preferiscono un rapporto “senza impegno”: saltuario, occasionale, di passaggio. Ora, dobbiamo chiederci: come risponderanno le assemblee liturgiche a questi cambiamenti? Sapranno adeguarsi a queste nuove realtà senza tuttavia snaturare se stesse? Il volume ci aiuta a rispondere a queste domande suggerendoci modi e forme nuove attraverso cui la comunità cristiana può celebrare anche oggi i suoi riti.

In questo tempo di trasformazione anche l’assemblea liturgica è chiamata a rinnovare se stessa, per ritrovare il volto di una comunità viva in cui risplende la bellezza dell’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. Parafrasando le parole di papa Francesco, possiamo dire: non lasciamoci rubare la liturgia!

(Risvolto)

 

Un’assemblea che “accorcia le distanze”.

Parole e gesti per le assemblee liturgiche del nostro tempo.

Un’assemblea liturgica a “porte aperte”.

La voce dell’assemblea liturgica: la parola.

La voce dell’assemblea liturgica: il canto.

Nuove ministerialità. Per una parrocchia in trasformazione.

Assemblee liturgiche senza eucaristia.

Una ministerialità condivisa. Il gruppo liturgico e il gruppo lettori.

Un’assemblea di uomini e donne.

Assemblee del futuro.

 

venerdì 11 settembre 2020

DOMENICA XXIV DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 13 Settembre 2020

 


 

Sir 27,30-28,7; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35

 

Riassume bene il tema della domenica il ritornello del salmo responsoriale: “Il Signore è buono e grande nell’amore”; parole che trovano eco nell’orazione colletta, che parla della “potenza” della misericordia di Dio.

 

Il brano del Siracide ci ricorda che se conserviamo nel nostro cuore rancore, non potremo ottenere il perdono di Dio. Ecco il perché del pressante invito del saggio israelita: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati”. Non possiamo chiedere ci venga applicata una logica di perdono e nello stesso tempo rifiutarci di usare questa medesima logica verso i nostri simili. Il racconto evangelico sviluppa lo stesso tema. San Pietro si rivolge a Gesù e gli domanda quante volte si deve perdonare al fratello, ci sono dei limiti? La domanda non è oziosa. Infatti, i maestri d’Israele di quel tempo affermavano generalmente che si doveva perdonare fino a tre volte. San Pietro è più generoso, e domanda: “fino a sette volte?” Ma Gesù dimostra nella sua risposta l’infinita misericordia di Dio quando afferma con un gioco di parole: “fino a settanta volte sette”, cioè sempre. E per imprimere nella mente dei discepoli questa volontà di perdono, ecco che Gesù narra, come è sua abitudine, una significativa parabola.

 

Noi ci troviamo nella condizione descritta dalla seconda scena della parabola: in mezzo alla strada, di fronte ad altri servi come noi del padrone. Come dobbiamo comportarci? Ricordando che prima di ogni nostra scelta abbiamo ricevuto da Dio il perdono gratuito di un debito impagabile. Se questo ricordo rimarrà e sarà operante nel cuore, il nostro comportamento verso gli altri sarà necessariamente fatto di perdono e di gratuità. Se invece dimentichiamo quello che Dio ha fatto per noi, allora rientreremo nella logica della stretta parità e il rapporto con gli altri tenderà a diventare uno scambio commerciale.

 

Anche il breve brano della lettera ai Romani, proposto come seconda lettura, ci invita ad assumere una logica di fede nei rapporti con gli altri. Da dove viene la difficoltà per perdonare? Dal porre se stessi al centro, dal valutarsi più di quanto siamo. San Paolo ci ricorda che nessuno vive per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, siamo del Signore. Si tratta in entrare con chiarezza in questo modo di ragionare proprio della fede. La parola di Dio illumina la nostra fede, ci esorta a non lasciarci travolgere dai sentimenti di odio e di vendetta, ma a vincere il male con il bene.

 

Nell’ultima preghiera di questa santa Messa, che recitiamo dopo la comunione, ci rivolgiamo a Dio e gli chiediamo che la potenza del sacramento ricevuto “ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento ma l’azione del suo Santo Spirito”.

domenica 6 settembre 2020

PREGHIERA EUCARISTICA III

 


 

Modello principale del contenuto di questa preghiera eucaristica è il canone romano (o preghiera eucaristica I), tutto pervaso da temi sacrificali. Ciò spiega bene la marcata insistenza della preghiera eucaristica III nel sacrificio; infatti la parola e il concetto di sacrificio ritornano continuamente nelle sue strofe. Si tratta di una preghiera eucaristica senza un prefazio proprio, che invece hanno le preghiere eucaristiche II e IV.

“Padre veramente santo”. Questa preghiera prolunga il tema del Sanctus e si affaccia sul mistero eucaristico. Dopo l’indirizzo di lode al Padre, il testo si articola in due punti:

-La creazione, contemplata come manifestazione gioiosa di vita e santificazione operata da Dio, è descritta in modo trinitario: il Padre crea per mezzo del Figlio e nella potenza dello Spirito Santo.

-In questo contesto cosmico, celebriamo l’eucaristia (“dall’oriente all’occidente […] si fanno offerte…”: cf. Ml 1,11), che appare qui come lo specchio in cui si ridisegna tutta l’opera trinitaria.

Epiclesi consacratoria: “Ora ti preghiamo umilmente”. Epiclesi, dal greco ἐπίκλησις, significa “invocazione”. Si chiede a Dio che santifichi i doni in modo che divengano il corpo e il sangue di Cristo. Anche qui è la SSma Trinità ad agire: si chiede che il Padre santifichi i doni con l’azione dello Spirito Santo. Questa santificazione richiesta è quella per la quale si attua il mistero eucaristico per mandato di Cristo. Si intende quindi eseguire la volontà dell’Istitutore dell’eucaristia, ripetendo quello che lui stesso ha fatto nell’ultima Cena.

Racconto dell’istituzione. Il racconto dell’istituzione inizia con l’introduzione che si trova solo in san Paolo: “Nella notte in cui veniva tradito” (1 Cor 11,23). Alla fine del racconto c’è l’invocazione: “Mistero della fede”. Come indicano le risposte all’acclamazione, l’eucaristia attua la Pasqua di Cristo, mistero fondamentale della fede cristiana.

A questo punto, possiamo domandarci: quando e come avviene il mistero della consacrazione? La posizione classica del cattolicesimo romano afferma che la consacrazione del pane e del vino avviene quando il sacerdote, che agisce “in persona Christi”, pronuncia le parole di Cristo nell’ultima Cena. Dall’epoca scolastica si parla di “transustanziazione”, ossia di cambiamento della sostanza del pane e del vino in quella del Corpo e del Sangue di Cristo.

Secondo la posizione classica del mondo ortodosso-cattolico o bizantino, la consacrazione del pane e del vino avviene quando il sacerdote, che è tramite tra cielo e terra, nell’epiclesi chiede allo Spirito Santo di intervenire per la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo. Questa teoria non ama una spiegazione razionale come quella della “transustanziazione”, afferma semplicemente la realtà del mistero ed evita volutamente di entrare in altri dettagli.

Le due posizioni sono in un certo modo complementari: la transustanziazione è congiuntamente richiesta e operata dall’epiclesi e dalle parole istituzionali. A questo proposito, ricordo l’accordo sull’eucaristia tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, siglato dalla Congregazione per la dottrina della fede, in cui è considerata valida l’anafora o preghiera eucaristica di Addai e Mari, che ha l’epiclesi ma non contiene le parole istituzionali, anche se vi fa implicitamente riferimento (cf. L’Osservatore Romano del 26 ottobre 2001). Questa anafora è adoperata dai cattolici, tanto Caldei quanto Malabaresi, in essa però i missionari occidentali introdussero le parole istituzionali.

Anamnesi cristologica e offerta del sacrificio. “Anamnesi” deriva dal greco ἀνά-μνησις, “ricordo”. Il testo latino “Memores igitur” collega questa sezione con il comando finale del racconto istituzionale: “Fate questo in memoria di me”. Gesù aveva detto di far memoria di lui. La preghiera eucaristica identifica la persona di Cristo con la storia di lui incentrata principalmente nella sua morte, risurrezione e gloriosa ascensione, in attesa della sua seconda venuta. La partecipazione all’eucaristia ci prepara all’incontro definitivo con il Signore. Altre preghiere eucaristiche ricordano anche altri misteri; così, ad esempio, la preghiera eucaristica IV ricorda anche la discesa di Cristo agli inferi.

Domanda di gradimento del sacrificio. Il sacrificio in quanto è di Cristo è infallibilmente gradito al Padre. Ma il discorso è diverso per noi e per la Chiesa. In quanto è offerta della Chiesa, Dio può gradirla o no. Qui entra in gioco l’adeguamento degli offerenti, di noi partecipanti, all’amore oblativo di Cristo. Naturalmente siamo consci che le condizioni richieste non le abbiamo nella misura che dovremmo averle e per questo, nella preghiera, ci affidiamo alla bontà di Dio, chiedendogli di guardare l’offerta “con amore” e di riconoscere in essa “la vittima immolata per la nostra redenzione”.

Epiclesi di comunione. Dall’accettazione divina dipendono i frutti del sacrificio per “noi che ci nutriamo del corpo e del sangue” di Cristo: nutrirsi indica sia il gesto corporeo del mangiare sia l’attività personale del discepolo che vive e si nutre di ogni cosa che fa parte della vita del maestro. Il frutto principale è l’unità della Chiesa. Infatti si chiede che lo Spirito Santo ci faccia diventare “in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (cf. 1Cor 10,17).

Intercessioni:

-Domanda della vita eterna. La prima domanda delle intercessioni pone una premessa: rendici “un sacrificio perenne a te gradito” per poter possedere poi la vita eterna, e, in questo modo condividere la sorte dei santi “nostri intercessori”. La vita cristiana è concepita come culto sacrificale al Padre secondo quanto afferma san Paolo: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). L’atteggiamento oblativo è la spina dorsale della vita cristiana.

-Domanda per il mondo e per la Chiesa. La preghiera eucaristica volge al suo termine, e la Chiesa continua a pregare collocandosi all’interno della storia del mondo e prega per la pace e salvezza del mondo intero. Si passa poi alla Chiesa “pellegrina sulla terra”, per la quale si chiede che sia confermata “nella fede e nell’amore”. “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb13,14). Secondo l’ecclesiologia del Vaticano II, nell’enumerazione dei ruoli e ministeri ecclesiali sarebbe stato meglio iniziare col popolo di Dio per finire coi ruoli gerarchici.

-Domanda per i vivi. La supplica prima di tutto è per l’assemblea celebrante, e poi l’orizzonte si allarga a tutti gli uomini sparsi e “dispersi” per il mondo. Vi è compresa la domanda dell’unità di tutti i discepoli di Cristo. Secondo Gv 11,52, “l’unità dei figli di Dio che erano dispersi” è lo scopo della morte di Cristo. Il vocabolo dispersione evoca la realtà del peccato.

-Domanda per i defunti. Si prega per tutti i defunti, anche non cristiani: per “tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo”. Dio per instaurare il suo regno di giustizia agisce in modo più ampio di quanto lasciano vedere i confini della Chiesa (cf. Mt 25,31-46).

Dossologia finale. La dossologia finale è trinitaria. Durante tutta la dossologia si eleva l’ostia e il calice come segno della lode che sale alla Trinità, ma anche come segno dell’offerta del Corpo e Sangue di Cristo. Questa offerta esprime la glorificazione trinitaria massima da parte della Chiesa.

Noto che questa è l’unica elevazione dei santi doni del Corpo e Sangue di Cristo. Il Messale infatti usa il verbo latino elevare. Invece, dopo le parole consacratorie sul pane e sul calice, il Messale adopera il verbo ostendere (mostrare).

 

CENNI BIBLIOGRAFICI

Enrico Mazza, Le odierne preghiere eucaristiche. 1/Struttura, Teologia, Fonti (Liturgia e vita), EDB 1984.

Vincenzo Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, nuova edizione (Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae” “Subsidia” 100), CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2003.

Cesare Giraudo, Stupore eucaristico. Per una mistagogia della Messa alla luce dell’enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, Libreria Editrice Vaticana 2004.

Matteo Ferrari, La preghiera eucaristica. Un “cantiere” riaperto dal Concilio (Preghiera e Liturgia 9), Centro Eucaristico, Ponteranica 2014.

 

venerdì 4 settembre 2020

DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 6 Settembre 2020

 


 

Ez 33,1.7-9; Sal 94 (95); Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

 

Nella nostra riflessione, partiamo dalla seconda lettura, in cui abbiamo ascoltato un pressante appello di san Paolo all’amore vicendevole, “perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Con queste parole, l’Apostolo riconduce tutti gli obblighi e tutti i rapporti con i propri simili all’amore (cf. anche 1Cor 13,1-8; Gal 5,14). Il messaggio è chiaro: alla base di ogni rapporto personale, famigliare, ecclesiale o sociale ci deve essere una logica di amore. La morale cristiana non è fondata su una serie di precetti, più o meno negativi, ma sulla responsabilità di ognuno per l’altro.

Questo amore per il prossimo si manifesta anche con la correzione fraterna. Un amore permissivo, incapace di denunciare il male che affligge i nostri fratelli, è un falso amore. Ce lo ricordano le altre due letture bibliche. Il profeta Ezechiele, viene affermato nella prima lettura, è stato costituito dal Signore “sentinella per la casa d’Israele”: egli ha il compito di denunciare la mancanza di fede del popolo, di smascherare gli ingiusti, di richiamare il peccatore perché si converta. Se non lo facesse sarebbe corresponsabile della sua perversione. Sappiamo bene che la presenza del male non riguarda soltanto la società di altri tempi; è un problema con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. Esso ci coinvolge sempre personalmente.

Il brano evangelico riprende le stesse idee della prima lettura ed espone in modo dettagliato le tappe del processo di ricupero dell’errante, l’atteggiamento di avere nei confronti del fratello che ha sbagliato. Non si tratta di norme disciplinari in senso proprio, ma di una pressante esortazione a fare tutto il possibile per riportare il colpevole sul giusto cammino. Assumendo una posizione passiva davanti agli errori del nostro prossimo noi non perseguiamo la via dell’amore, della solidarietà e della corresponsabilità. La correzione fraterna raccomandata da Gesù comporta un atteggiamento di comprensione e di coraggio al fine di consentire al fratello che è in errore di ravvedersi. Una tale correzione non ha il carattere di azione punitiva ma è volta alla conversione del fratello. Possiamo ben dire che la correzione fraterna è anzitutto un grande esercizio di amicizia e perciò suppone che si ami l’altro come un “altro me stesso” nella consapevolezza di essere assieme fragili ma anche forti, se e in quanto uniti nella carità. Il brano evangelico d’oggi riporta alla fine le parole di Gesù sull’efficacia della preghiera comune: la comunità riunita nella carità gode della presenza di Cristo e, in lui, ottiene dal Padre che progredisca la riconciliazione universale. Il Signore è presente là dove c’è un’autentica concordia nella preghiera.

La partecipazione all’eucaristia ha come frutto il rafforzamento della “fedeltà e della concordia” dei figli di Dio (cf. preghiera sulle offerte).